Campioni senza "corona": Graziano Rossi, (non solo) il papà di Valentino
Campioni senza "corona": Graziano Rossi, (non solo) il papà di Valentino
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Fra i non pochi meriti di Graziano Rossi c’è anche quello di avere… “distrutto” la concezione egualitaria del comunismo rilanciando la corsa al guadagno dei cinesi. Non è una balla e non siamo fuori tema. Accadde che un giorno a metà degli anni ’80, chi scrive queste note e Graziano, furono invitati a Roma dall’ambasciatore cinese in Italia che, digiuno di corse, chiese perché anche l’ultimo pilota della griglia gareggiasse e con quali stimoli.
Secca la risposta di Rossi: “Perché anche l’ultimo vuole diventare primo”. L’ambasciatore disse che Rossi aveva interpretato magistralmente la linea del presidente Deng Xiaoping, l’architetto delle riforme economiche e della modernizzazione della Cina, con lo slogan: “Correte ad arricchirvi!”.
Questa storiella per far capire quanto eclettico e arguto sia stato (e sia) Rossi senior, classe 1954, pesarese doc con la fissa di andare forte, cantante mancato, chitarrista mancato, maestro elementare mancato, forte corridore dal talento naturale più d’istinto che di ragione, più incline all’applauso che al risultato, più da pole che da podio, grande staccatore e piegatore da brivido, corse perse per impennate e traversi da circo, avido esibizionista e show man in pista e fuori, in altalena fra idealità e cinismo, aperto e disponibile quanto votato all’ego, capace di costruire profondi rapporti di amicizia basati su grandi valori e distruggerli in un amen, istrionico colto e dalla battuta arguta e pungente, maniaco dell’immagine, insuperabile talent scout (Valentino docet).
Graziano gira scanzonato in bretelle e cravattini sgargianti e con la treccia, sbeffeggia le neo ricche signore dei mobilieri pesaresi allo struscio di Via Branca coi cagnolini di razza incappottati portando al guinzaglio la gallina Cristina emblema di una lotta di classe coccodè, travestito da operaio Sip la notte di San Silvestro si arrampica su una scala di 20 metri mettendo indietro di un’ora le lancette dell’orologione di Piazza del Popolo mandando in tilt il brindisi di mezzanotte dei suoi concittadini, viaggia su una Fiat 600 multipla col mappamondo quando i suoi colleghi entrano nel paddok in Porsche e Rolls-Royce, rende artistici i suoi caschi di gara usati anche per intimorire gli avversari, nell’era di Valentino imperatore si sposta con una Peugeot 205-rottame rossa da pescatore con la dicitura “esche vive” e dialoga con interlocutori immaginari con un finto telefono-giocattolo rosa pallido. E, per carità di patria, ci fermiamo qui.
Graziano, soprattutto, ha amato e ama le corse e lo spettacolo derivante, ma gareggia con Pinocchio quando afferma: “Non me ne frega di non aver vinto il campionato del Mondo!”. A dire il vero, il titolo iridato arrivò a sfiorarlo nella 250, gettato via da “patacca”, per una “cappellata” che solo il “maestro volante” pesarese poteva fare. Nel 1979, al GP d’Inghilterra a Silverstone, per superare un doppiato, una caduta all’ultima curva dell’ultimo giro mandava a gambe all’aria vittoria e titolo iridato. Patron Giancarlo Morbidelli, dopo oltre 30 anni, non si dà ancora pace.
A fine stagione, dopo aver vinto magistralmente tre Gran Premi (ad Assen-Olanda, a Rijeka-Jugoslavia, a Karlskoga-Svezia) e conquistato cinque podi, Rossi si ritrova nel mondiale solo terzo dietro al binomio delle Kawasaki, il sudafricano Kork Ballington e l’australiano Gregg Hansford. La Morbidelli si era attardata ad inizio stagione negli USA dietro ad un inedito telaio e Rossi iniziò il mondiale in ritardo, debuttando ad Assen (col vecchio telaio).
Ballington e Hansford prima di Assen avevano dominato, non interessandosi di chi saliva terzo sul podio. In Olanda invece, per la prima volta, i due piloti delle “verdone” non credevano ai loro occhi: sulla linea di partenza si trovavano divisi da un intruso, Rossi, secondo tempo in prova e poi lepre e trionfatore di una corsa storica.
Erano passati solo sette anni dal debutto di Graziano (nel motocross con una Aermacchi 125) e solo cinque anni dalla prima stagione nella velocità juniores, con una Benelli 250 2t bicilindrica che l’amico Carlino Molinelli trasformò da catorcio a … quasi bolide permettendo a Rossi un secondo posto nella corsa del debutto e due vittorie consecutive, battendo piloti in sella alle ben più performanti Harley-Davidson.
Ancora un po’ di gavetta fra i seniores con una Yamaha 350 da dimenticare e poi l’ingaggio quale pilota ufficiale della Morbidelli, al gran salto prima nella 250 poi nella 500. A fine del ’79 Rossi è il pilota italiano più quotato (e amato), tant’è che il Team Gallina-Olio Fiat lo ingaggia insieme a Marco Lucchinelli, affidandogli la non facile Suzuki 500 4 cilindri ufficiale. Graziano è a un passo dal Paradiso quando, a pochi giorni dal debutto di Monza, è coinvolto in un gravissimo incidente stradale in auto, a due passi da Pesaro. Recupera però miracolosamente e corre vincendo a Monza la 500 davanti a Lucchinelli.
Ma qualcosa si era inceppato nel delicato “meccanismo artistico” del campione pesarese: una stagione con (pochi) alti e (molti) bassi, inficiata da difficoltà di rapporti all’interno del Team e soprattutto di “guerra” aperta fra i due piloti, incontenibili galletti. Da lì, la successiva rottura e il passaggio al Team di Giacomo Agostini con la Yamaha ufficiale 500, irto di difficoltà per la non competitività iniziale del mezzo, poi per la caduta in prova al GP di Misano e quindi il drammatico volo a Imola, con Graziano salvato dalla Clinica Mobile e dal Bellaria di Bologna e miracolato dalla dea bendata. Carriera chiusa. Ripresa successivamente con le quattro ruote, prima con lampi con la Lancia nei rally e poi in pista con la splendida vittoria del titolo tricolore nelle “sport-turismo”.
Rossi aveva anche brillato con la grezza Morbidelli 500 4 cilindri impensierendo non poco le Case giapponesi e con la Suzuki 750 nelle 200 Miglia in riva al Santerno, ingaggiando duelli da incorniciare con il mitico Kenny Roberts. Dei “quattro moschettieri” italiani del dopo Agostini (oltre il pesarese, Lucchinelli, Uncini, Ferrari), Graziano è l’unico a non essersi fregiato del titolo iridato. Sicuramente, però, è stato il più applaudito, fortissimo in pista e fuori dagli schemi nella vita di tutti i giorni, felice che un Rossi, poi, il titolo a casa l’ha portato: anzi nove. E lui, Graziano, a un passo dal traguardo dei sessanta, fa ancora oggi ciò che gli piace di più: giocare.
foto | Cesenabikers
foto | Google Images