Nepal "Racing" 2006

Di Gianluca
Pubblicato il 23 dic 2007
Nepal


Dopo avervi parlato di Suleskar come itinerario nordico, Pirovanoli ci ha inviato il racconto del suo itinerario in Nepal. Racconto che lo stesso Pirovanoli definisce alla “Jo Bar” e che non sarà “invernale” come itinerario ma ugualmente interessante. Le foto sono piccole ma sono comunque interessanti.

Non ero venuto per fare questo… ma è un’altra storia e, a zonzo per il Nepal diretto a sud e il Parco Nazionale di Chitwan, mi trovo a stringere tra le gambe non la fida bicicletta ( ecco come sono venuto qui !! ) ma il serbatoio d’ una 4 tempi enduro coreana; 150cc scarsi, nel senso di “spompati”, garantiscono una velocità di crociera sufficiente a gustarsi il panorama, ma non sono in grado di trasmettere la necessaria tranquillità in fase di sorpasso.

Nepal Racing 2006
Nepal Racing 2006
Nepal Racing 2006
Nepal Racing 2006
Nepal Racing 2006
Nepal Racing 2006
Nepal Racing 2006
Nepal Racing 2006

Già, il “sorpasso” , un “must” in Nepal, specie fuori dalla città, tra camion, bus, carretti e chi più ne ha più ne metta, comunque stracarichi. Veicoli impazziti, un senso di marcia “all’ inglese” che di certo non aiuta, e via, respirando smog, specie nei centri abitati o ai posti di blocco militari, ma anche tanta aria “racing” che mi pare d’ esser ingarellato con gli amici sulle strade dietro casa.

Se siete cresciuti come me a pane e moto-tecnica , se al “topolino” avete preferito le vicende del “jo bar”, non sarà difficile trovare delle similitudini nell’ approcciare un simile itinerario, su un simile trabiccolo, ( a proposito, la mia bici ai 70 all’ ora in discesa non sbandiera mica così !! ) anche se abitualmente cavalcate l’ ultima ipersportiva.

E allora, la cronaca semiseria, se mi permettete : il noleggio è già tutto un programma e, per un giro “stradale” come questo, si battono per propinarti l’ ultima versione di Honda Hero dalle dimensioni poco europee. Metteteci pure gli “optional”, paragambe e portapacchi, e la trappola è bell’ e pronta. Consiglio : meglio una più confortevole enduro.

Lascio il formicaio, pardon, Kathmandù di prima mattina e, nella fiumana di clacson “puntati”, mi lascio portare, è il caso di dire così, fuori città. La regola è che non ci sono regole e, credo che a scuola-guida venga solo sottolineato di dovere rispetto alla mucca di turno che bruca l’ aiuola spartitraffico beatamente. Gli altri invece,che non provino ad attraversare !!

Tutto sommato il carosello di motorette del quale faccio involontariamente parte è divertente, snocciolo le marce senza andare a limitatore, la schiena del motore fa si che non perda contatto coi primi ( a dirla tutta è grazie alla discesa !! ) e recupero nei tornanti grazie alla staccata che mi porto come bagaglio dai tempi delle sfide in pista negli anni novanta. Ho detto bagaglio : una sacca a tenuta stagna, poche cose per giocarmi al meglio il rapporto peso/potenza.

Una quarantina sono i chilometri in discesa, tornanti stretti, cigli non protetti e terrazzamenti che invitano a non esagerare con il gas, o con la leva del freno, pena ritrovarsi troppi metri più in basso in caso d’ errore. Per fortuna, andando avanti, la strada diventa più protetta, da una parte parallelo scorre il fiume, con muretti all’ altezza del cambio, di qua invece larghi fossi di scolo per l’ acqua all’estremo margine della carreggiata e un costone friabile, alto che pare d’ esser in un canyon e che regala frammenti di roccia ogni tanto.

Non è nemmeno il caso di chiamarli ostacoli, digeriti benissimo dall’ endurina, al pari dei rattoppi di catrame posticci che fanno tanto “casa nostra”, piuttosto è meglio concentrarsi nella guida e metter fuori il cupolino affinchè dagli specchietti l’ autista del colorato truck , che mi precede, possa lasciarmi strada.

Macchè, è lui che attacca, guidando “ad orecchio” e vi spiego la tecnica : curva cieca, ti butti fuori strombazzando e se non ricevi risposta, beh, sorpasso guadagnato, non “saliva” nessuno e si è pronti per il successivo . Un modo di stare al volante che stride, cosi come i freni, con la vita flemmatica di questi omini una volta giù dal sedile.

Oltretutto poi, nel cercare di migliorare i loro record di consegna, ostacolano non poco il mio recupero e la “zona podio” si allontana specie più in giù, lasciato il bivio con la strada che su un ponte a destra prosegue verso Pokkara, a ovest, seconda città del Paese, dove il percorso si fa più veloce e la poca potenza del mio mezzo deve arrendersi. 60 chilometri e sarà finita.

E’ andata così, ho dato il massimo e questo è quello che conta. Nell’ avvicinarmi alla Riserva, passando l’ ennesimo controllo militare ( non ve l’ ho detto, ma a febbraio scorso, tra blocchi di maoisti e ribellioni interne la situazione non era mica troppo tranquilla ), faccio a mente il calcolo di quelli che mi sono lasciato alle spalle, comprendendo anche “le soluzioni” con moglie aggrappata di traverso sul sellino e un paio di figli appollaiati sul serbatoio, gli stessi che incontri lungo la via, con un martello tra le mani a spaccare pietre per farne…ghiaia !!

Siamo arrivati sani e salvi, attraversando scenari da cartolina, pranzando “on the road” a contatto con questa gente, estremamente cordiale e fiera, giocherellando davvero con sorpassi impossibili ( pur se a velocità estremamente modeste ) e pronti al ritorno, non prima di una cena che riporta anch’ essa alle pieghe di casa e “l’ aria racing” di cui parlavo in apertura : pesci essicati che ricordano tanto i “missoltini” del mio Lario….e, chi mastica di moto, sa bene quali sfide evochi questo nome !!

Sette ore a motore acceso, uno sfarfallio di valvole che ricorda una frizione a secco, un caldo sopportabile e un infinità di moskitos attratti dal faro della coreana… di ferro, che metto a riposare con me nel bungalow.

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