MV Agusta: nel 1950 il debutto iridato del "mito"
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Fa notizia, in questi giorni, la MV Agusta. A dire il vero più per le vicende legate a voci di passaggi di proprietà che ai modelli veri e propri. Alla Casa varesina sono interessate le indiane Tata e Mahindra. Anche se le sorti della gloriosa Marca di Cascina Costa sembrano legate alla “trattativa” aperta dalla Harley-Davidson intenzionata a prelevare e rilanciare l’azienda italiana, indubbiamente la più prestigiosa e vincente del nostro motociclismo a livello agonistico.
Forse pochi ricorderanno il debutto della MV nelle competizioni iridate che avvenne con una 125 bialbero monocilindrica 4 T, nel 1950, al Gran Premio d’Olanda. Moto che dopo varie vicissitudini, più volte migliorata, nel 1952 vinse addirittura il titolo delle ottavo di litro con Cecyl Sandford.
Amarcord vuole invece ricordare il debutto assoluto della MV Agusta nella classe regina (allora la 500) con una quattro cilindri 4 T, antesignana della moto da Gran premio più vittoriosa di tutti i tempi.
L’esordio avvenne il 2 luglio 1950 sul velocissimo e infido tracciato montagnoso di Spa Francorchamps, lo stesso giorno in cui debuttarono le nuove Gilera 500 “quattro” che fecero il vuoto con Umberto Masetti (primo centro iridato), Nello Pagani, Carlo Bandirola piegando le moto dell’industria inglese e tedesca.
La plurifrazionata di Cascina Costa, affidata all’ottimo bolognese Artesiani, giunse quinta, impressionando per la velocità di punta e per lo straordinario “rombo” prodotto dai quattro scarichi a tromboncino.
A Cascina Costa il conte Domenico Agusta aveva fatto (come sempre) le cose in grande affidando i suoi sogni di vittoria alla fantasia progettuale e all’eclettico ingegno di Pietro Remor, acuto ed esperto ingegnere cui il motociclismo deve splendide realizzazioni.
Remor progettò e costruì un bolide inedito. Il motore aveva il gruppo dei quattro cilindri trasversali, inclinati in avanti di 30° e con distribuzione a doppio albero delle camme in testa comandata da treno di ingranaggi centrali, valvole inclinate a 90° comandate direttamente dalle camme e richiamate in sede dalle molle elicoidali. Alesaggio e corsa mm 54x54x4 pari a 494,5 cc.
La rivoluzione era soprattutto nella parte delle trasmissioni. Prendendo il moto dall’albero motore, una coppia di ingranaggi conici lavorava direttamente sul tamburo della frizione; il cambio in blocco a 4 rapporti era disposto ad asse longitudinale e inserito in un lungo carter in lega. Il comando del cambio era a due leve: sulla sinistra una leva comandava l’innesto delle marce dalla prima alla quarta, una seconda leva sulla destra comandava la “scalata”. La trasmissione finale era ad albero cardanico. Per mantenere inalterati gli angoli di entrata ed uscita dell’albero cardanico, la forcella posteriore era a doppio braccio in lamiera ed agiva come una sorta di parallelogramma snodato; la sospensione posteriore era a doppia barra di torsione. Freni a tamburo centrale in lega leggera, pneumatici da 3×20” anteriore e da 3,25×20 dietro. Alimentazione con due carburatori e due vaschette separate, lubrificazione con olio nel carter, accensione a magnete, scarichi a megafono.
Era una moto splendida anche a vedersi. Il motore erogava 50 CV alla ruota a oltre 9 mila giri e la velocità massima toccava i 210 kmh (165,550 la media sul giro a Monza!).
L’esordio nel circuito delle Ardenne incuriosì e mise gran timore negli avversari. Ma poi ci furono problemi. Sospensioni e trasmissione finale “frenavano” la moto sui circuiti misti.
Ci furono molte modifiche. E la moto fu quasi completamente rifatta in pochi mesi. Addirittura cambiando alesaggio e corsa (mm 53×56,4×4 = 498 cc), i cilindri furono fusi separatamente, cambio portato a cinque rapporti, eliminazione del cardano e ritorno alla catena, , telaio in tubi a culla doppia continua, sospensioni telescopiche davanti e dietro, nuovo serbatoio allungato, nuove ruote di minor diametro e nuovi pneumatici ribassati. La macchina così rifatta pesava a secco 143 Kg e il motore diede una potenza straordinaria: oltre 60 CV a quasi 11.000 giri, con velocità superiore ai 220 kmh.
La moto era molto performante su qualsiasi tracciato (a Monza il giro veloce a 174,059 Kmh!). Solo la sfortuna, nel 1953, privò la MV Agusta del primo titolo mondiale nella mezzo litro.
Addirittura Lesley Graham, che tanto aveva contribuito al rinnovamento della nuova plurifrazionata varesina, perse la vita in corsa al Tourist Trophy dopo aver dominato con la mono di Cascina Costa la 125 e dopo aver guidato la corsa delle 500 fino alla caduta fatale.
Fu il periodo più difficile per la MV Agusta, che vacillò ma non spense le luci. In pista, con Gilera, Guzzi, Norton, Ajs, BMW, i bolidi rosso-grigi ingaggiavano la battaglia dei “giganti”. Furono giorni di successi e di sconfitte e anche di dolore.
Per la gloria vera, bisognerà aspettare l’arrivo a Gallarate di John Surtees. Da quel momento, con il “figlio del vento”, inizia un’altra storia.
E’ la svolta. Anche i giganti dovranno piegarsi. E la MV Agusta diventerà imbattibile. E fu subito mito.
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