Per un goccio di benzina. Non piange solo Hayden. Quel 1963 a Hockenheim ...
Per un goccio di benzina si può perdere un podio, addirittura la vittoria. Forse la faccia. Ne sa qualcosa Nicky Hayden, che ad Assen, proprio per questo problema ha gettato al vento un bel piazzamento e punti pesanti. Ma l’americano campione del Mondo MotoGP non è certo l’unica vittima di una defaillance tecnica, solo apparentemente banale.
Un esempio? Amarcord torna indietro. E’ il 26 maggio 1963: Hockenheim, GP di Germania, secondo appuntamento iridato dopo l’apertura del GP di Spagna, a Barcellona. Assente la 500, ritenuta dagli organizzatori non interessante, la corsa clou è la 250.
Due settimane prima, sui saliscendi del Montjuich, con numeri incredibili nelle esse della “Roselada”, Tarquinio Provini, un indomito “gladiatore” iridato dai lineamenti marcati e dai capelli neri e riccioluti, numero uno dei piloti italiani, aveva battuto le moto giapponesi regalando alla bolognese Morini una splendida vittoria, giunta dopo quella ottenuta con Emilio Mendogni a Monza nel 1958.
In Germania gli avversari si presentano in gran forza e soprattutto la Honda schiera uno squadrone straordinario affidando le sue nuovissime quattro cilindri oro-argento dell’ingegner Kawashima al longilineo e taciturno rodesiano Jim Redman, (vincerà 6 titoli mondiali, nuovo caposquadra dopo la morte dell’australiano Tom Phillis al TT e dello scozzese Bob Mc Intyre a Oulton Park), al sorridente lentigginoso irlandese Tommy Robb, al piccolo e rugoso elvetico Luigi Taveri, ai rookies nipponici Teisuke Tanaka e Kummitsu Takahashi, all’allampanato inglese dagli occhi di ghiaccio Stuart Graham, figlio dell’indimenticabile Leslie, perito al TT con la MV Agusta. Poi Yamaha, Mz, Cz, Cm, Aermacchi, Seeley.
E soprattutto la rientrante Benelli quattro cilindri ufficiale (all’epoca la moto più moderna e promettente dell’industria italiana: aveva debuttato l’anno prima con il trionfale exploit di Cesenatico) con il giovane pesarese Silvio Grassetti (già pilota ufficiale Bianchi 350 e 500), nel 1963 anche driver ufficiale della MV Agusta nella classe 500, in squadra con Mike Hailwood.
Sul “vecchio” velocissimo ellisse di km 7,563 (il nuovo tracciato col “motodromo” è del 1966) oltre 200 mila spettatori attendono la partenza sotto un cielo di piombo che minaccia tempesta.
Motori spenti. Partenza a spinta. 52 tute nere di nove nazioni. All’abbassarsi della bandiera a scacchi è Fumio Ito a scattare in testa con la inedita agilissima sibilante Yamaha 2 T bicilindrica bianco-rossa a disco rotante, seguito dagli altri due “kamikaze” della Honda. Parte male Grassetti: alla fine del primo giro transita 36esimo, con il bolide pesarese recalcitrante, causa problemi di carburazione. Addirittura peggio, 42esimo, passa Provini. Sembra una partita chiusa in partenza.
Al terzo giro Redman agguanta la testa della corsa, con Robb e Taveri in scia e i tre giapponesi a poco più di un secondo. Poi il gruppone in fila indiana. Il rombo dei quattro megafoni aperti della plurifrazionata Benelli è esaltante, come le gesta del suo pilota che, all’ottavo giro, dopo cinque tornate da record, sfila la “colonna” e agguanta il gruppo di testa. Adesso i 14 mila giri del motore Made in Pesaro dettano la danza del più forte e sprigionano i 45 CV dello stupendo bolide verde argentato che sul dritto supera i 240 kmh.
Provini non è da meno. Il piacentino guida da par suo, classe e stile indimenticabili, “fuso” col suo agile mezzo meccanico, rinviene con sorpassi mozzafiato, e a un terzo di gara è a tre secondi dal pesarese, in quinta posizione.
Il cielo si rabbuia. C’è gran vento. Ma sulla foresta non piove. La pista è una lastra nera, asciutta. Vola via nel curvone Ito. Rallenta Graham. Gli altri due hondisti factory vengono presto agganciati e superati, travolti dall’azione travolgente dei due italiani. In un vibrante fazzoletto lottano Redman, Robb, Taveri, Grassetti, Provini. Poi i due italiani sferrano il colpo finale e allungano. Il pubblico esulta.
Per quattordici giri il portacolori della Benelli guida l’infernale carosello, con Provini che fa da elastico, appaiato, poi a uno, due, tre secondi, quindi di nuovo appaiato. E’ una danza sui 200 di media. Il rombo squillante della pluricilindrica pesarese invade la foresta e copre il tuono cupo del monocilindrico bolognese.
Si rifà sotto Takahashi che però cade rovinosamente rischiando di travolgere Provini. Che a sua volta, subito dopo, recupera miracolosamente una spaventosa imbarcata a 220 all’ora. Al penultimo giro i due italiani sono praticamente appaiati ed è Tarquinio a siglare per un soffio il nuovo record della pista a kmh 190,340. Incredibile! Redman è a quattro secondi, Robb a cinque, Taveri a sette. Poi il gruppone sgranato.
Tutti in piedi. Ultimo giro. Improvvisamente, all’inizio del lungo rettifilo che porta al traguardo, la “quattro” italiana perde una nota. Grassetti esce dalla carenatura, si sposta a destra, soffia sul serbatoio, il motore rantola, poi s’ammutolisce: è finita la benzina!
E’ il trionfo di Provini. Redman, Robb e Taveri bruciano sul traguardo Grassetti che passa a motore spento. La disfatta della Honda si trasforma in semplice sconfitta.
Tarquinio va in testa al mondiale, vuole Silvio sul podio. I due italiani si abbracciano. La folla li acclama sotto uno scrosciare d’acqua. Sul pennone sventola il tricolore fra le note dell’inno di Mameli.
Provini e la Morini perderanno quel titolo mondiale, solo per sfortuna, nell’ultimo Gran Premio di Suzuka in Giappone. Poi fra i due “big” italiani, a fine stagione, ci sarà lo scambio. Con Provini dalla Morini alla Benelli (che con la nuova quattro cilindri vincerà poi il mondiale 250 del 1969 con l’australiano Kel Carruthers) e Grassetti dalla Benelli alla Morini, dove il pesarese troverà già accasato un ragazzo quasi sconosciuto dal nome di … Giacomo Agostini