MotoGP: sicurezza, show e business. Ma chi comanda?
Il dibattito sviluppatosi dopo il meeting di Brno sul tema della sicurezza nella categoria “regina” del motociclismo (e nelle corse in genere) è positivo. A differenza di come lo si vuol presentare, non ha però niente di straordinario.
Da sempre, l’evoluzione tecnica e tecnologica, l’esigenza di un rapporto equilibrato fra sicurezza e spettacolo, hanno richiesto continue evoluzioni, quando non proprie e vere rivoluzioni, rispetto alle moto, ai circuiti, ai regolamenti e a tutto quel complesso e delicato “meccanismo” che permette a questo sport di svilupparsi.
C’è una base di partenza da cui non si può prescindere. Primo: il rischio è una componente non eliminabile delle corse. Secondo: si corre per andare più veloci, per abbassare il tempo sul giro, per vincere, per cui lo sviluppo tecnologico è condizione essenziale. Terzo: lo spettacolo è parte essenziale delle corse. Quarto: senza grande spettacolo non c’è grande pubblico (sui circuiti e in tv); senza grande pubblico non ci sono grandi sponsor e Case costruttrici in grado di fare investimenti adeguati; senza Case e Sponsor questo sport avrebbe i giorni contati, condannato a una profonda involuzione e ad estinguersi. Riguardare il motomondiale nel decennio 1957-1966.
E, dello spettacolo, ne sono parte centrale il rischio, la velocità, lo sviluppo tecnologico. Il tutto con al “centro” il pilota. Ora si è già scritto sui molti modi per ridurre il rischio e aumentare la sicurezza. Non è questa la sede per ritornarci. E’ chiaro che più si va piano e meno si rischia e non è che tornando a dare il “controllo” completo del mezzo meccanico al pilota, il rischio diminuisce.
Oggi, pur con molti limiti, il livello di sicurezza raggiunto nel motociclismo è il più elevato dagli inizi (1949) del motomondiale. Il merito maggiore va ai circuiti (eliminazione dei micidiali guard rail e adeguate vie di fuga) anche se, occorre dirlo, a danno dello spettacolo (a parte rare eccezioni, oggi i circuiti sono disegnati dai computer, senza personalità, sostanzialmente da “go kart”, più “facili da riprendere con le telecamere tv, con tempi sul giro molto più lenti di quelli degli … anni 70) e della “partecipazione”, con il pubblico allontanato dal nastro d’asfalto e costretto dietro a reti doppie o triple. Tant’è.
Allora? Allora, si rischia di strumentalizzare il tema della sicurezza quando i nodi della MotoGP sono altri. Non è la mancanza di sicurezza a ridurre lo spettacolo. Non sono le cadute a dimezzare la griglia di partenza, che è così sguarnita perché così è oggi questa MotoGP. Che va rivista tutta, dalle fondamenta. Non tralasciando la promozione, la comunicazione, l’immagine, che non può essere sostenuta dalla esclusiva presenza di Valentino Rossi.
Sulla sicurezza non è il caso di fare rivoluzioni. Ma di continui e sostanziosi ritocchi, specie su gomme ed elettronica.
La questione è però un’altra: chi decide? In uno sport complesso come il motociclismo non c’è solo un protagonista. Ogni componente ha interessi di “parte” che legittimamente vuole difendere.
Ci riferiamo ai piloti, alle Case costruttrici, alle Aziende della componentistica, ai team, agli sponsor, alle televisioni, agli organizzatori dei singoli Gran premi, a chi gestisce il motomondiale, cioè la Dorna.
Ma le varie componenti non sono sullo stesso piano. Il rischio è che ci sia chi decide per tutti. Un “padrone” unico che dice di salvaguardare gli interessi generali ma che poi soprattutto fa gli interessi propri.
La Dorna è una Società che sta sul mercato, per cui deve far tornare i conti. Ok. Ma questi suoi conti quanto pesano nell’equilibrio generale delle corse?
E’ mai possibile che il cosiddetto promoter goda di una situazione talmente privilegiata da avere in tasca un contratto per gestire il motomondiale fino al … 2021? Ecco il punto.
Dov’è finito il soggetto “super partes”, cioè la FIM (federazione moto internazionale)? Sarà ora che anche la nostra FMI (Federazione moto italiana) batta un colpo! E che anche il Coni dia un’occhiata. Non si sa mai.
Lo sport, quindi anche il motociclismo, deve restare “autonomo” dalla politica. Ma non c’è il rischio che questa autonomia sia un buon pretesto per poter avere carta bianca, senza che nessuno disturbi il “manovratore”?
Perché i soldi pubblici (cioè nostri) ci sono anche qui: chi paga gli interventi nei circuiti? Chi sostiene l’industria? Ecco. Un’occasione buona, questa del confronto sulla sicurezza, per guardare oltre. Magari per gettare finalmente un sasso nello stagno.