Valentino Rossi, l’ora del tramonto?

Valentino Rossi ammette la superiorità della nuova stella del firmamento Marc Marquez. I "tre moschettieri” spagnoli sono imprendibili oppure il nove volte campione del mondo può ancora lottare per la vittoria?

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 30 ago 2013
Valentino Rossi, l’ora del tramonto?


A denti stretti, lo stesso Valentino Rossi fa capire che i “tre moschettieri” spagnoli sono imprendibili e che è giunta l’ora di inchinarsi di fronte al nuovo “Re”, il rookie Marc Marquez.

Dopo l’exploit trionfale di Assen – gran corsa del pesarese favorito anche dai guai fisici dei suoi più diretti avversari – Rossi pare essersi afflosciato, quasi disarmato di fronte all’arrembante armata spagnola, divoratrice di ogni gran premio, con il nuovo fenomeno 20enne della Honda prepotentemente e consecutivamente quattro volte primo, alla perentoria quinta vittoria stagionale, in fuga nella classifica generale.

Che succede? Che la ruota gira. Niente di nuovo rispetto a quanto si intravedeva dopo le prime tappe di un motomondiale marcato a tinta unica: spagnolo nei piloti e giapponese nelle Case, con la Ducati fuori dai giochi.

Lorenzo, Pedrosa, Marquez dettano la legge dei più forti, con i primi due anche frenati da brutte cadute con strascichi non lievi e con il terzo, l’ultimo arrivato, salito di forza in cattedra, capace irriverentemente di mettere tutti in riga e di trasformare gli errori in opportunità, con una guida spettacolare quanto efficace, con un sorriso disarmante e coinvolgente.

A differenza di un altro asso come Casey Stoner – gran manico ma problematico e ingrugnito anche nel trionfo – Marquez ha il dono della semplificazione, del viso aperto, della facile battuta, della accattivante e arguta comunicazione, in questo davvero emulando lo straordinario pesarese nove volte campione del mondo che fa bene, da buon bugiardo, ad annoverarlo quale … “allievo” prediletto.

Quando Valentino, 17enne, trionfava nel suo primo gran premio, proprio a Brno, Marc aveva 3 anni e girava in triciclo a pedali col biberon in bocca. A 20 anni il fenomeno spagnolo è sulla strada per fare suo il terzo titolo mondiale (dopo quelli della 125 e della Moto 2), il primo titolo in MotoGP sin dal debutto, impresa – se raggiunta – mai riuscita a nessun altro pilota (solo all’americano Kenny Roberts, ma nella classe 500).

Rossi ha vinto nove titoli mondiali in tutte le cilindrate del motomondiale, è stato per molte stagioni il dominatore assoluto, spesso un “alieno”. Oggi pare proprio avere imboccato – con qualche avvincente acuto ma non senza avvilenti stonature – il viale del tramonto, lento ma inesorabile.

L’inatteso forfait di Casey Stoner sembrava dare un aiutino per prolungare la carriera da vincente di Valentino, pur dovendo fare i conti con gente dal calibro di Jorge Lorenzo e Dani Pedrosa. Ma i giochi sono cambiati con l’arrivo di Marc Marquez, piombato nel motomondiale forse ancor da più lontano e in modo ancor più sconvolgente del marziano Kenny Roberts. Nel grande sport succede.

La cronaca va indietro, alla Parigi-Roubaix del 1950 quando trionfa il mitico Fausto Coppi. Il secondo arrivato, Diot, alza le braccia sul traguardo come avesse vinto lui. Scrive il grande Gianni Brera: “E’ ciucco, è fatto, pensano gli spettatori”. Invece Diot è lucidissimo e spiega: “Io sono il primo dei corridori terrestri, Coppi è di un altro pianeta”.

Già. Come oggi Rossi, tornato “terrestre” con Marquez di un altro pianeta. Il guaio è che Valentino, oltre a Marc, si trova davanti anche Pedrosa (Honda) e soprattutto il suo compagno di squadra Lorenzo con la stessa moto e spesso si trova anche a mal partito con la Yamaha clienti di Crutchlow e le Honda privat di Bautista e Bradl. Questi i fatti.

La MotoGP ha bisogno ancora di Valentino Rossi (uno dei più grandi campioni di tutti i tempi cui va riconosciuto anche il merito di aver portato il motociclismo fuori dagli angusti perimetri degli appassionati “puri e duri”), ma non della sua … controfigura.

Dopo i due anni neri con la Ducati la nuova sfida di Rossi con la Yamaha è ammirevole, ma la scommessa deve valere la candela: non può “bruciare” una grande carriera o, peggio ancora, far perdere la faccia a uno dei miti del motociclismo mondiale, cui va il grande plauso e il dovuto rispetto.

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