Valentino Rossi, l’ora del tramonto?
Valentino Rossi ammette la superiorità della nuova stella del firmamento Marc Marquez. I "tre moschettieri” spagnoli sono imprendibili oppure il nove volte campione del mondo può ancora lottare per la vittoria?
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A denti stretti, lo stesso Valentino Rossi fa capire che i “tre moschettieri” spagnoli sono imprendibili e che è giunta l’ora di inchinarsi di fronte al nuovo “Re”, il rookie Marc Marquez.
Dopo l’exploit trionfale di Assen – gran corsa del pesarese favorito anche dai guai fisici dei suoi più diretti avversari – Rossi pare essersi afflosciato, quasi disarmato di fronte all’arrembante armata spagnola, divoratrice di ogni gran premio, con il nuovo fenomeno 20enne della Honda prepotentemente e consecutivamente quattro volte primo, alla perentoria quinta vittoria stagionale, in fuga nella classifica generale.
Che succede? Che la ruota gira. Niente di nuovo rispetto a quanto si intravedeva dopo le prime tappe di un motomondiale marcato a tinta unica: spagnolo nei piloti e giapponese nelle Case, con la Ducati fuori dai giochi.
Lorenzo, Pedrosa, Marquez dettano la legge dei più forti, con i primi due anche frenati da brutte cadute con strascichi non lievi e con il terzo, l’ultimo arrivato, salito di forza in cattedra, capace irriverentemente di mettere tutti in riga e di trasformare gli errori in opportunità, con una guida spettacolare quanto efficace, con un sorriso disarmante e coinvolgente.
A differenza di un altro asso come Casey Stoner – gran manico ma problematico e ingrugnito anche nel trionfo – Marquez ha il dono della semplificazione, del viso aperto, della facile battuta, della accattivante e arguta comunicazione, in questo davvero emulando lo straordinario pesarese nove volte campione del mondo che fa bene, da buon bugiardo, ad annoverarlo quale … “allievo” prediletto.
Quando Valentino, 17enne, trionfava nel suo primo gran premio, proprio a Brno, Marc aveva 3 anni e girava in triciclo a pedali col biberon in bocca. A 20 anni il fenomeno spagnolo è sulla strada per fare suo il terzo titolo mondiale (dopo quelli della 125 e della Moto 2), il primo titolo in MotoGP sin dal debutto, impresa – se raggiunta – mai riuscita a nessun altro pilota (solo all’americano Kenny Roberts, ma nella classe 500).
Rossi ha vinto nove titoli mondiali in tutte le cilindrate del motomondiale, è stato per molte stagioni il dominatore assoluto, spesso un “alieno”. Oggi pare proprio avere imboccato – con qualche avvincente acuto ma non senza avvilenti stonature – il viale del tramonto, lento ma inesorabile.
L’inatteso forfait di Casey Stoner sembrava dare un aiutino per prolungare la carriera da vincente di Valentino, pur dovendo fare i conti con gente dal calibro di Jorge Lorenzo e Dani Pedrosa. Ma i giochi sono cambiati con l’arrivo di Marc Marquez, piombato nel motomondiale forse ancor da più lontano e in modo ancor più sconvolgente del marziano Kenny Roberts. Nel grande sport succede.
La cronaca va indietro, alla Parigi-Roubaix del 1950 quando trionfa il mitico Fausto Coppi. Il secondo arrivato, Diot, alza le braccia sul traguardo come avesse vinto lui. Scrive il grande Gianni Brera: “E’ ciucco, è fatto, pensano gli spettatori”. Invece Diot è lucidissimo e spiega: “Io sono il primo dei corridori terrestri, Coppi è di un altro pianeta”.
Già. Come oggi Rossi, tornato “terrestre” con Marquez di un altro pianeta. Il guaio è che Valentino, oltre a Marc, si trova davanti anche Pedrosa (Honda) e soprattutto il suo compagno di squadra Lorenzo con la stessa moto e spesso si trova anche a mal partito con la Yamaha clienti di Crutchlow e le Honda privat di Bautista e Bradl. Questi i fatti.
La MotoGP ha bisogno ancora di Valentino Rossi (uno dei più grandi campioni di tutti i tempi cui va riconosciuto anche il merito di aver portato il motociclismo fuori dagli angusti perimetri degli appassionati “puri e duri”), ma non della sua … controfigura.
Dopo i due anni neri con la Ducati la nuova sfida di Rossi con la Yamaha è ammirevole, ma la scommessa deve valere la candela: non può “bruciare” una grande carriera o, peggio ancora, far perdere la faccia a uno dei miti del motociclismo mondiale, cui va il grande plauso e il dovuto rispetto.
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