Amarcord: Yamaha TDR 250
Verso la metà degli anni Ottanta gli ingegneri Yamaha stavano studiando una moto che esaltasse il divertimento di guida. Nel 1985 ci fu un primo tentativo approntando un prototipo con il bicilindrico della XS 650 portato a 900cc, che venne montato in un telaio del Tenerè, il quale non vide la luce solo dopo aver effettuato una ricerca di mercato: i tempi non erano maturi.
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Tuttavia poco dopo l’idea non venne accantonata, fu semplicemente sviluppata con dei costi di produzione inferiori. L’idea era quella di realizzare una moto che si distaccasse sia dalle racer replica sia dalle enduro stradali, due tipologie di moto molto in voga a quell’epoca.
Tra loro non c’erano molti punti in comune, ma gli ingegneri nipponici riuscirono a costruire un mezzo che unisse questi due generi così distinti, enfatizzando la componente “fun”. Misero quindi insieme le caratteristiche del modello sportivo TZR con quelle dei modelli da enduro DT e XT.
Il telaio scelto però non fu quello di una enduro, bensì gli ingegneri Yamaha ne realizzarono uno ad hoc, che avesse il disegno di quello di una stradale ma la rigidità di una struttura off-road. Questo per mettere in risalto l’attitudine stradale della moto ma ottenere anche un compromesso tra la stabilità alle alte velocità e una maneggevolezza nei percorsi tortuosi. Venne quindi scelto un telaio tradizionale in tubi d’acciaio a doppia culla chiusa, molto simile a quello della RD350 LC ma con i tubi del telaio di maggior diametro.
Nacque così la TDR 250, che debuttò al Motor Show di Tokyo nel 1987 nelle colorazioni Yamaha Black/Yellow e Faraway Blue, a cui poi si aggiunsero Yamaha Black/Red e French Blue. Da molti considerata la prima supermotard prodotta, anche se all’epoca quella tipologia di moto veniva definita “fun bike”. In realtà a ben guardare un precedente ci fu, parlando ovviamente di produzione di serie, e si chiamava Gilera Fastbike 125, che fu presentata infatti nel dicembre del 1986, anche se in effetti all’epoca non fu molto capita, come non lo fu nemmeno la Gilera Nordwest del 1991, derivata dalla RC 600.
Stessa sorte toccò più o meno anche alla TDR 250, anche se in realtà un certo numero di estimatori non mancarono nei pochi anni in cui rimase a listino. Tra i motivi per cui non ebbe una larghissima diffusione ci sono le sue elevate prestazioni, non certo alla portata di tutti, anche se a dire il vero pure la RD 350LC e la stessa TZR 250 da cui ereditava la parte termica non erano certo mansuete.
Il motivo principale è forse da ricercarsi in un semplice fattore di moda: all’epoca erano poche le moto “trasversali” e il grosso del mercato lo facevano le stradali pure, le custom, che di lì a pochi anni ebbero un vero boom, e le enduro. Queste ultime non avevano ancora abbandonato l’immagine “africana” e l’idea di acquistare una moto con le sembianze di una enduro ma con ciclistica e prestazioni stradali non era ancora diffusa.
Il motore come accennato era lo stesso montato sulla sportiva TZR 250 del 1986, un bicilindrico parallelo a due tempi da 249 cc con misure superquadre (56,4 х 50 mm) piuttosto in voga all’epoca anche sui 125, se si pensa ad esempio che il motore della TZR 125 aveva le stesse identiche misure, così come simili erano quelle del propulsore della Honda NS125F (56 x 50 mm). L’alimentazione era affidata a due carburatori Mikuni TM28SS, la potenza massima era di 50 CV a 10.000 giri e la coppia massima di 36,2 Nm a 8.500 giri.
Il motore a dire il vero era leggermente rivisto rispetto a quello della TZR, anche se le differenze erano più che altro a livello del cambio, con una rapportatura finale più corta rispetto alla TZR. Molti siti riportano informazioni errate in proposito, indicando che la TDR aveva solo la prima marcia più corta, con rapporto 45/14 contro i 41/14 della TZR. In realtà queste sono le misure di corona e pignone e non appunto quelle degli ingranaggi della prima, che sulla prima serie della TZR 250, siglata 2MA, erano di 32/13.
A causa di questo sensibile accorciamento di tutta al trasmissione secondaria, sulla TDR in sesta si riusciva ad andare fuorigiri, raggiungendo la velocità massima indicata di 175 km/h a 10.600 giri (una decina abbondante in meno della TZR), quindi oltre il regime di potenza massima. D’altro canto l’accelerazione era fulminea (13,6 secondi per percorrere i 400 metri, con velocità d’uscita di 152 km/h) e anche se si perdeva qualcosa in velocità, questa era ben superiore a quella di tutte le monocilindriche 600 da enduro allora in commercio.
Presente, come sulla TZR e sugli ultimi RD, anche la valvola parzializzatrice YPVS (Yamaha Power Valve System) allo scarico. Particolare lo scarico “cross-up” con i due silenziatori rialzati, una delle caratteristiche che distingueva la TDR, donandole un look unico.
Un altro primato contraddistinse la TDR: fu infatti la prima moto al mondo ad affiancare un sistema di controllo digitale dell’anticipo all’accensione CDI. Il microprocessore gestiva sia l’accensione sia la valvola YPVS, ma anche il sistema di sicurezza che spegneva la moto in caso si lasciasse dimenticato aperto il cavalletto: una piccola rivoluzione per i tempi.
Raffinata anche la ciclistica, in particolare le sospensioni, con una forcella oleopneumatica da 38 mm regolabile in compressione ed estensione con 160 mm di escursione e un forcellone Monocross a leveraggi progressivi con monoammortizzatore a gas con serbatoio separato da 150 mm di escursione. Curiosa l’accoppiata dei cerchi a raggi, con un anteriore da 18 pollici, che montava uno pneumatico da 100/90, e il classico 17 dietro con gommatura 120/80. Stranamente vennero adottati pneumatici piuttosto tassellati.
È vero che all’epoca non esistevano gomme con misure da enduro e battistrada sportivi, ma la scelta di primo equipaggiamento era forse più adatta a un’enduro vera piuttosto che a una fun bike. Le coperture utilizzate erano infatti, a seconda dei mercati, le Bridgestone Trail Wing o le Metzeler Enduro 3 Sahara, che comunque garantivano una buona tenuta anche su asfalto. Con penumatici moderni questa TDR farebbe ancora oggi impallidire molte sportive!
L’impianto frenante anteriore era composto da un solo disco flottante ma da ben 320 mm di diametro e con pinza a 4 pistoncini. Dietro invece un disco da 210 mm con pinza monopistoncino. Entrambi i dischi erano gli stessi della TZR.
Il cannotto di sterzo aveva un’inclinazione di 27 gradi, mentre l’avancorsa era di 114 mm, col risultato che l’interasse della TDR era di soli 10 mm superiore a quello della TZR (1.385 mm contro 1.375 mm), a fronte però di una lunghezza di 2.145 mm contro i 2.005 della TZR. La sella era posta a 820 mm d’altezza, il peso a secco era di 137 kg, che diventavano 150 in ordine di marcia.
Il serbatoio conteneva 14 litri di benzina, mentre quello dell’olio per la miscela aveva una capacità di 1,5 litri, il che significava che più o meno ogni cinque pieni occorreva rabboccare anche il serbatoio del lubrificante, per evitare di grippare (c’era comunque la spia sul cruscotto). La carenatura aveva il faro quadrato ed era fissata al serbatoio. Particolare anche la strumentazione, con l’indicatore della temperatura e quattro spie luminose in alto, il tachimetro più in basso leggermente spostato sulla destra e il contagiri montato sul serbatoio.
La moto fu pensata soprattutto per il mercato interno, che privilegia anche oggi le cilindrate sotto i 400 cc, ma venne poi esportata anche in America ed Europa. Non a caso il 50% delle TDR europee fu venduto in Francia, dove il fenomeno delle supermotard arrivò molto prima che in Italia e dove venne venduta una versione con cilindrata ridotta a 240 cc. In Francia nacque anche un trofeo, la TDR Fun Cup, le cui regole e il tracciato erano molto simili a quelle delle gare di supermotard odierne.
La TDR non subì molte modifiche nel corso degli anni, fino al 1993, anno in cui cessò la sua commercializzazione. Nel 1989 venne presentata la versione 125 che, come per la 250, utilizzava il motore della stradale TZR 125 e che rimase a listino fino al 2003.
Giusto per curiosità, alcuni anni fa uno studio di Oberdan Ghezzi propose la sua reinterpretazione di una rinnovata TDR, proposta con cilindrata 350 insieme a un altrettanto ipotetica RD 350.
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