Massimo Roccoli: "Siamo una razza in via d'estinzione"

Il pilota romagnolo senza un manubrio: "L'obiettivo è ancora il mondiale Supersport, ma senza budget i team non ti accettano".

Di Francesco
Pubblicato il 14 dic 2013
Massimo Roccoli:


Massimo Roccoli è uno dei classici esponenti della “Scuola romagnola”, quella terra di campioni da cui sono usciti Melandri, Dovizioso, Simoncelli e tanti altri. Terra “veloce”, solare e godereccia, dove i bambini imparavano presto a famigliarizzare col “motore” (la moto, in dialetto) e alla domenica si saltava la messa per fare a sportellate sulle minimoto. Furgone, camper quando andava bene, partenza al sabato e via in pista la domenica mattina, tra sacrifici, notti in bianco, grigliate nei paddock e tante vittorie.

Un ragazzo dal cuore grande, un motociclista vero, col motore nel sangue e la battuta sempre pronta: dal lunedì al giovedì a lavorare di cazzuola e carriola col padre muratore per pagarsi la stagione nel Mondiale, alla domenica in pista a combattere. Tre titoli italiani in carriera, 9 stagioni in Supersport, podi, tante legnate: sempre a lottare nella top five con la grinta di sempre, non per soldi ma per la gloria di poter dire “io c’ero”. Arrivato a 29 anni è uno dei troppi rimasto senza un manubrio per la prossima stagione: vuoi la crisi, vuoi il sistema perverso e anti-meritocratico dove è il pilota a dover pagare per correre e non il contrario. Roccoli il riminese non se la prende troppo, “ormai faccio parte di una razza di piloti in via d’estinzione” e c’è una punta di malinconia nella sua voce, ma la voglia di tornare in sella è ancora più grande:

L’anno scorso è andata male, è stata una situazione figlia del 2012, che è stata una stagione sfortunata, dove ero partito da un team, poi ho cambiato, poi si è rotta la moto e alla fine Quintarelli, quello che portato la Buell in Italia, mi ha fatto fare le ultime tre gare. L’anno scorso ci son stati dei problemi col reparto tecnico, non sto parlando di problemi di set up ma di meccanica e di sviluppo tecnico e ritrovarmi a lottare per conquistare un punto non mi era mai successo. Ho cercato di limitare i danni sia per me che per il team. E’ stato un anno difficile, fortuna vuole che sono andato a far l’endurance e all’ultima gara alle 24Ore di Le Mans ho ottenuto ottimi risultati, come al Bol d’Or, dove in qualifica ero primo della mia squadra e sesto assoluto con un team non ufficiale, in sella a un’R1, una moto che ormai non usa più nessuno. Non ho mai avuto il mezzo per vincere il mondiale, ma posso ancora dare qualcosa. Comunque ringrazio il team per avermi dato la possibilità di correre.

Massimo, alcuni pensano, guardando ai grandi nomi, che la carriera di un pilota a livello internazionale sia fatta di ingaggi milionari, com’è la situazione in realtà?

Semplice: serve una bella dote di sponsor. Quest’anno ho corso da pilota che prendeva solo un rimborso spese: non portavo nulla a livello economico, mentre ora mi trovo a dover portare il budget se voglio correre. A 29 anni, ho vinti 3 titoli italiani e ora mi dovrei trovare nella condizione di fare dei debiti per fare il Mondiale, penso non sia giusto. L’anno scorso mi hanno chiesto 50 mila euro per correre l’italiano, ma a quel punto ho detto “no grazie”. Se avessi 10 sponsor da cui ricavare uno stipendio sarebbe un conto, io d’inverno faccio il muratore e l’istruttore di guida a Misano. Nessuno mi ha mai regalato nulla: quando ho iniziato un team metteva a disposizione un tot e poi chiedevano un contributo per chiudere la stagione, mentre ora ti chiedono il budget completo. L’investimento è solo del pilota e quindi se uno porta soldi lo fanno correre.

Sicuramente questo esclude molti giovani, magari talentuosi, dal poter approdare al “giro grosso” per mancanza di disponibilità economica...

Questa situazione si ripercuote sul vivaio: ora emerge qualcuno solo dalla Stock 1000. I ragazzini di 14 anni, o sono figli di papà o non riescono a venir fuori. E’ una questione complessa e non voglio incolpare la Federazione, perché mi rendo conto che il problema è anche il costo dei circuiti e di tante altre cose. In Spagna con 2500 giri due giorni a Cartagena, in Italia serve anche dieci volte tanto per affittare un circuito. E’ il sistema che non funziona: quando facevo le minimoto da ragazzino si partiva alla domenica alle 5 di mattina da casa, col furgone, magari si arrivava in pista alla sera e alla domenica si facevano prove, qualifiche e gara. Ora si è perso lo spirito ludico, i piloti vogliono andare in circuito fin dal venerdì e a 14 anni si sentono professionisti… Questo secondo me è un male, ma mi rendo conto che è difficile tornare indietro. Io, come tanti altri della mia età, son venuto su da solo, con l’aiuto e i sacrifici dei miei genitori: nel ’99 al trofeo Aprilia eravamo io Scassa, Fabrizio, Dionisi e tanti altri… Ora cosa c’è?

Cosa farai il prossimo anno?

Sono in contatto con qualche team ma, come ti dicevo, tutti chiedono budget. Correrò sicuramente col team col quale ho fatto l’Endurance l’anno scorso, ma il mio cuore rimane per il mondiale Supersport. Certo, anche una EVO sarebbe interessante: ho sempre corso con le 600, per il mio fisico minuto, ma se prendo in mano un 1000 mi diverto di più e riesco a farlo andare come dico io. Comunque la certezza al momento è il mondiale Endurance, anche perché per correre la Supersport vorrei un team all’altezza.

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