MotoGP: Ducati, rinascita o fuga dalla MotoGP “factory”?

Il 2014 sarà un anno di transizione per Ducati. Gigi Dall'Igna non ha avuto il tempo per riprogettare la Ducati. Nel 2015 MotoGP Factory oppure Open?

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 31 gen 2014
MotoGP: Ducati, rinascita o fuga dalla MotoGP “factory”?

Dopo i roboanti annunci nelle presentazioni invernali degli ultimi 3-4 anni a Madonna di Campiglio poi sempre oscurati da risultati deludenti quando non propri e veri flop come nel biennio con Valentino Rossi, la Ducati entra nel 2014 col passo felpato. A Borgo Panigale hanno imparato la lezione: prima lavorare duro e in silenzio, poi far parlare… I fatti.

Un drastico cambio di passo, anzi un deciso voltare pagina, non solo più realistico e salutare per l’immagine della importante azienda bolognese, ma certamente un messaggio a tifosi e utenti delle “Rosse” basato sul concetto: “Sognare sì, ma stando coi piedi per terra” o, se più aggrada: “Sperare sì, ma con pazienza”.

Alla prima uscita dei prossimi test di Sepang del 4-6 febbraio nessuno si attende miracoli perché dai vertici del reparto corse (e anche dai piloti, Dovi in testa) di Borgo Panigale si è buttata acqua sul fuoco delle illusioni, addirittura lasciando il dubbio sulla scelta finale, se correre nel 2014 solo con le inedite Open (abbiamo già ampiamente illustrato i pro e i contro del nuovo regolamento, in sintesi: centralina unica Magneti Marelli uguale per tutti senza sviluppo diretto della Casa, così più libera nel lavoro su motore e telaio; 24 litri di benzina, quindi motore più fluido; 12 motori stagionali; più gomme e con mescola supersoft; più test ecc) mettendo dopo Sepang le Factory in soffitta.

Insomma, uno stravolgimento, con l’ipotesi di correre da subito con tre moto Open e non con due MotoGP e una Open, come preventivato. A Sepang Dovizioso e Crutchlow saliranno quindi anche sulle Open, poi si deciderà. E’ comprensibile la scelta di imboccare da subito e con decisione la nuova via delle Open ma è davvero difficile pensare che la Ducati dia forfait nel confronto decisivo e più atteso con i colossi Honda e Yamaha, comunque in pista, oltre che con le nuove Open, con le super raffinate moto super ufficiali.

Anche perché pensare che il divario accusato dalle Rosse nelle ultime stagioni scompaia eventualmente con le Open è pura illusione. I rischi ci sono comunque su entrambi i fronti: con le attuali 4 cilindri Factory bolognesi (rinnovate più che rivoluzionate) si può continuare a prendere paga non solo da Honda e Yamaha ufficiali ma anche da qualche Open; così come se si passasse in toto nella nuova categoria, si rischia di fare la corsa di serie B, ben lontani dalle prime 4-6 posizioni e magari anche a rimorchio di altre Open giapponesi (e non solo?).

Al di là dei tatticismi, Ducati deve scegliere, e in fretta. Si deve guardare fiduciosi avanti senza però dimenticare il peso negativo del passato, con il 2013 quale stagione nera della Ducati in MotoGP (zero podi, con Dovizioso e Hayden … stralunati in una lotta fra perdenti, da fratelli coltelli), seguita al biennio da cancellare, quello dalle grandi aspettative con Rossi, poi miseramente fallite.

Stagione, quella del 2013, dell’ingresso della nuova proprietà tedesca (Audi) e del benservito a Filippo Preziosi (capro espiatorio?) sostituito da Bernahard Gobmeir, a dire il vero alquanto spaesato, tanto da richiedere l’ennesima rivoluzione con l’ingresso successivo dell’Ing. Gigi Dall’Igna, del ritorno di Davide Tardozzi e di altre caselle rinnovate, con l’ingaggio del mastino Cal Crutchlow al posto del sempre più deluso Nicky Hayden.

Si tratterà di vedere come reagirà a una eventuale (e prevedibile) mancanza di competitività della Desmosedici Factory (se Factory sarà) Cal Crutchlow, pilota abituato – nei tempi sul giro ma anche in corsa – a misurarsi col trenino di testa e non con quello di coda. Cal è pilota di talento e con la baionetta in canna ma anche spesso “impiccato”, con conseguenti fuoripista in sella a moto di grande equilibrio quali la Yamaha, ben diverse dalla scorbutica Desmosedici.

Gira e rigira ci vorrebbe lo Stoner del tempo che fu, ma la storia non si fa con i “se” e servirà grande maestria e certosina pazienza del box (di Davide Tardozzi? di cui però non è ben chiaro il significato del suo ruolo quale “coordinatore”) per tenere nella giusta tensione i due piloti di punta, senza esagerare nel chiedere loro l’impossibile o, all’opposto, nel non darsi per vinti senza neppure provarci, accettando l’eventuale gap come una maledizione del fato, nella logica dell’ennesimo anno di transizione.

La Ducati non può non battere il colpo giusto, restando in pompa magna in MotoGP con le Factory, condizione determinante anche per mantenere il supporto di uno sponsor doc e munifico quale è Phillip Morris, in scadenza di contratto. Nel mondo globalizzato, la MotoGP tutta giapponese non ha senso e la Ducati dalla proprietà tedesca, resta la bandiera dell’Italia che accetta le sfide, il David che non teme Golia.

Ducati ha saputo accettare la sconfitta con signorilità, ma si sa bene che non ha la vocazione del perdente, ha le carte in regola per tornare a rinascere, ad essere competitiva e, prima o poi, anche vincente. Bisogna soprattutto crederci. D’altronde, non è stato Paolo Ciabatti, direttore del progetto Ducati in MotoGP, a dissotterrare l’ascia di guerra: “Nel 2014 vogliamo e possiamo lottare per la vetta”? Forza e coraggio, basta zig-zag.

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