Yamaha V-MAX ABS: prova su strada
1700cc, 200 cavalli e un'accelerazione incredibile da gestire esclusivamente con il polso destro senza l'ausilio di nessun controllo elettronico. La nuova V-Max si conferma la regina delle "bruciasemafori"
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Yamaha V-Max è una decisamente fuori dal comune, al primo contatto, si può amare o trovarla inutile o semplicemente eccessiva, ma senza dubbio chiunque abbia la fortuna di provarla non potrà non rimanere sorpreso, forse anche impressionato o semplicemente segnato in modo indelebile dal contatto con questo “mostro” di coppia e potenza prodotto ad Iwata, ma sicuramente nessuno ne potrà rimanere indifferente. Nel caso non la conoscesse questo un suo breve identikit: 200 cavalli, 310 kg a secco per un interasse di 1700 mm, il tutto con una cilindrata totale di quasi 1.700 centimetri cubici. Quattro semplici dati che “srotolati” così, con apparente semplicità, ottengono lo stesso effetto di un cubetto di ghiaccio che ti scorre sulla schiena, che si tramuta in una sorta di schiaffo in pieno volto alla prima apertura del gas in prima o seconda marcia.
La moto oggetto della nostra prova è la seconda versione della mitica VMax presentata nel 2008 e che ha visto la luce a seguito di una gestazione assai lunga e durata circa 6 anni. Una moto che raccoglie la pesante eredità del primo modello, arricchendola però di importanti contenuti tecnici ed estetici, ma soprattutto estremizzata sotto il profilo prestazionale. Del resto già la prima versione assurse gli onori della cronaca grazie al suo motore strabordante e alle impressionanti doti di coppia e accelerazione. Coppia e accelerazione che diventano quasi impressionanti su questa nuova edizione della V-Max fedele però non solo ai principi ispiratori del primo modello ma che ricalca fedelmente anche i suoi canoni estetici che vanno dalle prese d’aria laterali sui condotti di aspirazione fino al codino dalla insolita forma ad onda e dallo stile retrò.
Il modello che ha visto la luce 30 anni fa (era il mese di ottobre del 1984) si rivelò da subito impressionante per gli standard dell’epoca. La nuova V-Max, acquista efficacia e stabilità rispetto al passato diventando anche più facile e intuitiva, grazie all’elettronica, ai nuovi sistemi frenanti, a sospensioni più evolute e soprattutto a pneumatici più performanti. Ciò nonostante esige sempre rispetto e ricorda al suo guidatore di fare molta attenzione quando si ruota la manopola del gas, pena evidenti scodate di potenza in qualsiasi marcia e su ogni tipo di asfalto, insomma una moto da non prendere “con leggerezza” che conferma di essere (orgogliosamente) una moto per pochi.
Tra i suoi obbiettivi resta quello di stupire chiunque in fase di accelerazione, una moto dispensa “g” nel senso di accelerazioni vicine all’accelerazione di gravità ad ogni rotazione della manopola, una sorta di roller-caster stradale e senza binari che durante il nostro ha evidenziato l’unica controindicazione di generare assuefazione. La produzione è fissata per soli 5.000 esemplari, mentre il prezzo è di poco superiore ai 20.000 euro, il tutto senza compromessi ma con ABS di serie!
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1984: LE ORIGINI DEL MITO
Presentata per la prima volta a Las Vegas nel 1984, in occasione dell’annuale meeting dei concessionari Yamaha, la VMax 1200 non fu accolta dagli addetti ai lavori con grandi entusiasmi. Anzi, rimasero perlopiù perplessi. Era una moto del tutto inusuale per essere una giapponese dell’epoca, che ricalcava l’essenza delle classiche hotroad americane a 4 ruote. Fortunatamente la reazione del pubblico fu diametralmente opposta e diede vita al mito della VMax come noi la conosciamo oggi: una moto completamente fuori da ogni schema, adrenalinica ed esagerata.
Nacque dalla matita del sig. Araki che racconta: “Mentre ero negli USA per sondare il mercato, assistetti ad una scena impressionante. C’era una “Bridge Race”. Ogni volta, due moto si allineavano per poi partire. Si misuravano semplicemente in accelerazione sui 400 metri. I giovani andavano in delirio per queste corse cosiddette Zero-400 metri. Si svolgevano su un ponte sul Mississipi Si partiva da un’estremità del ponte per raggiungere il traguardo all’altra estremità. Le regole erano semplici. Vedendo queste corse impressionanti pensai subito: “bisogna creare una moto potente e veloce sul rettilineo” Nacque così il concetto della Vmax.”.
Il propulsore scelto, un imponente 1200cc a configurazione V4 di derivazione “Cruiser”, vantava in questa versione prestazioni spaventose per l’epoca, con i suoi rudi e graffianti 145 cv (in versione America), e su strada nessuno poteva tenergli testa sulla classica distanza del quarto di miglio. Poteva percorrere, se avevi il coraggio di tenere aperto e se sapervi gestire le immancabili sgommate di potenza, i 400 mentri in meno di 11 secondi che, rapportati ai suoi 262 kg a secco, era qualcosa capace di intimorire e lasciare chiunque a bocca aperta.
Fu ideato e sviluppato appositamente per lei il sistema V-Boost, vera icona mentale del modello, che, grazie ad un congiunto lavoro di valvole ed elettronica, garantiva un repentino (ed emozionante) incremento di spinta simile a quella offerta da un turbocompressore. La sovralimentazione meccanica era infatti stata presa in esame all’inizio della fase progettuale, ma fu accantonata quasi immediatamente per mancanza di spazio a bordo.
Ma come funzionava e da cosa era composto il V-Boost? Era un sistema di alimentazione organizzato in quattro generosi carburatori rovesciati che, a regimi medio bassi, alimentavano ognuno uno dei 4 cilindri attraverso dei condotti dedicati come accade sulla maggior parte dei motori tradizionali. Tuttavia, i condotti tra il primo e il secondo cilindro e tra il terzo e il quarto cilindro erano separati solo da valvole a farfalla. Valvole controllate da un servomotore il quale rispondeva ai dati rilevati da un sensore deputato leggere il numero di giri del motore. A circa 6.000 g/min il servomotore cominciava ad aprire le valvole a farfalla, che raggiungevano l’apertura completa a 8.000 g/min. In questa situazione ogni cilindro, durante l’aspirazione, era alimentato da quasi due carburatori invece che uno.
La potenza aumentava notevolmente, specialmente nel transitorio tra i regimi medi e alti ed arrivava senza nessun filtro, percorrendo un rigido albero di trasmissione finale, direttamente al grosso (per l’epoca) pneumatico posteriore da 150/90 (calzato su un cerchio da 15”), che faticava non poco a trasmetterla a terra. Da lì in poi era tutta adrenalina: tra peso, pneumatico anteriore da 110/90 (su cerchio da 18”) e potenza frenante disponibile, rallentarla con la stessa verve dell’accelerazione era una vera e propria impresa e la strada sembrava non bastare mai!
Subito dopo l’inizio della produzione la VMax (che venne sviluppata ed ottimizzata continuamente fino praticamente alla data di presentazione con la tipica attenzione giapponese) venne presentata alla stampa americana, seguita da quella giapponese e quella europea.
Nessuna testata riuscì a rimanere impassibile davanti a questa strana moto che, di fatto, tracciava una nuova categoria nel mondo delle due ruote. Furono scritti diversi articoli densi di emozioni e adrenalina derivanti dall’aver provato una moto così unica e particolare tanto nelle prestazioni, quanto nello stile e nella guida.
Da allora ne son state prodotte e vendute circa 100.000 unità dal 1985 fino al 2007 ed è stata esposta anche al museo di Guggenheim di New York durante la rinomata mostra “Art of motorcycle”.
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ESTETICA & DESIGN: LA VMAX DEL XX° SECOLO
Unica e particolare, la si potrebbe riconoscere anche bendati semplicemente lasciando scorrere una mano sulla sua silhouette da manga dei tempi andati. Alterna in modo unico superfici curve e levigate a particolari quasi intarsiati in un mix ben calibrato dal sapore molto particolare. La qualità dei materiali utilizzati è alta, così come l’attenzione agli accoppiamenti, e sedervisi in sella è un vero piacere per ogni senso coinvolto.
La V-Max non è piccola e non fa nulla per nasconderlo. Tra le gambe è “tanta” e anche il lavoro di muscoli per issarla dal cavalletto è decisamente “maschio”, ma è assolutamente coerente con ciò che questa moto vuole esprimere sin dal primo approccio: una forza contenuta a malapena dalle sovrastrutture, un fuoco che arde vivo al suo interno anche a motore spento. La seduta è bassa, ricorda immediatamente quella della prima VMax e le pedane sono meno avanzate, più vicine e rialzate, anche se la larghezza del blocco motore impone una posizione di guida molto “americana”.
Poco convenzionale anche la strumentazione che si divide in due gruppi: il primo è rappresentato da un grande contagiri posto sul manubrio, corredato da una grande spia di cambiata (prelevata direttamente dal mondo delle Drag Race) e da una piccola fascia di spie appena sotto alla cornice del contagiri. Il secondo invece, è articolato da un display remoto posto sul finto serbatoio e composto da un pannello multifunzione in tecnologia OEL (Organic Electro Luminescent) a fondo nero. Visualizza il contachilometri parziale e totale, l’orologio, l’indicatore livello carburante, il termometro, l’indicatore della marcia inserita, quello per il consumo di carburante, il rilevatore della temperatura dell’aria in aspirazione e dell’apertura del gas, e anche un cronometro con la funzione del conto alla rovescia.
I blocchetti elettrici al manubrio sono ben fatti e piacevoli al tatto così come lo sono anche leve e comandi a pedale. Gli accoppiamenti dell’aderente carena che fasciano a malapena propulsore e sovrastrutture dimostrano una gran cura nella fase di progettazione ed assemblaggio, mentre la verniciatura, coperta da un generoso strato di trasparente protettivo, non presta il fianco a nessuna critica: è indubbiamente una moto nata per durare a lungo e fare molta, molta strada.
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LA TECNICA: L’EVOLUZIONE DELLA SPECIE
Il propulsore, nonostante la maggior cubatura, risulta più piccolo del 1200cc della prima, gloriosa, versione. I quasi 1700 centimetri cubici (1679cc ad esser precisi) sono ottenuti mantenendo la corsa di 66mm ma aumentando l’alesaggio fino ad un ragguardevole valore di 96mm. La distribuzione è mista catena/ingranaggi, con le sole valvole di aspirazione direttamente comandate dalla catena di distribuzione, mentre le valvole di scarico ricevono il moto da un ingranaggio che ad esse le collega.
Il V4 è alimentato non più dallo storico sistema V-Boost a carburatori, ma da un moderno sistema di iniezione denominato G.E.N.I.C.H. riassumibile due sigle: YCC-I, ovvero, lo Yamaha Chip Controlled Intake che identifica i cornetti di aspirazione a lunghezza variabile (come la R1) più lunghi ai bassi regimi capaci di diventare molto più corti sopra i 6.650 rpm e lo YCC-T, che è la forma contratta di Yamaha Chip Controlled Trottle, il Ride By Wire di casa Yamaha.
L’airbox non è pressurizzato, ma viene rifornito di aria tramite 4 bocchette poste ai lati del finto serbatoio (il vero serbatoio del carburante, come per la sua progenitrice, è posto sotto alla sella in posizione centrale) con dei pregevoli convogliatori in alluminio lucidato a mano. Il nuovo scarico in configurazione 4-1-2-4 con silenziatori in titanio è caratterizzato da terminali più corti e inclinati verso l’alto.
La trasmissione vede un nuovo cambio a 5 rapporti sul quale opera (con amorevole dedizione vista la coppia di 17 kgm in gioco) una robusta frizione con dispositivo antisaltellamento. La potenza e la coppia vengono trasmesse tramite un albero e un giunto cardanico al generoso pneumatico da 200/50 montato su un cerchio da 18 pollici. La velocità massima è limitata elettronicamente a 220 km/h.
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TELAIO & SOSPENSIONI: RIGOROSA CON STILE
Il telaio è in alluminio con struttura a diamante, composto da travi a sezione variabile dai 3 mm ai 6 mm, le quali si differenziano anche per il tipo di lavorazione che le ha viste nascere. Il motore, posto esattamente al centro della struttura, contribuisce in maniera determinante alla rigidità del telaio come elemento stressato.
La massiccia forcella tradizionale (non USD) da 52mm, con 31° di inclinazione e 120mm di escursione utile, è completamente regolabile. Presenta un pregiato trattamento DLC che le dona un aggressivo colore nero il quale ben si sposa con la livrea della VMax.
Il mono ammortizzatore Monocross, anch’esso completamente regolabile, presenta 110mm di escursione su leveraggio progressivo. Dispone di un controllo remoto idraulico del precarico molla. L’interrasse segna un valore piuttosto importante di 1700mm, cifra che viene tuttavia pienamente giustificata dai numeri espressi dal propulsore.
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L’IMPIANTO FRENANTE: ORA CI SIAMO!
L’impianto frenante della nuova VMax, tallone d’Achille del precedente modello, è stato oggetto di massima attenzione. All’anteriore troviamo due grandi dischi a margherita da 320mm serviti da imponenti pinze radiali a 6 pistoncini, comandate a loro volta da una pompa radiale al manubrio.
Il disco posteriore misura 298mm ed è controllato da una pinza a pistoncini contrapposti. La potenza generata è più che sufficiente per garantire spazi d’arresto degni di nota nonostante la massa e le prestazioni che questa dragster in incognito è capace di esprimere ad ogni rotazione del polso destro. Su entrambi gli assi vigila un efficace ABS Yamaha ad attivazione lineare non disinseribile.
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LA GUIDA: E’ MORTO IL RE, EVVIVA IL RE!
Il benvenuto a bordo è di quelli che ti fanno nascere un sorriso ancor prima di accendere il motore: basta girare la chiave per essere accolti da un invitante “Time to ride – This is Vmax” che compare sul display remoto posto sul finto serbatoio.
La seduta è comoda, con un supporto lombare che, se non conoscessimo la fama che accompagna il modello, potremmo pensare studiata solamente per ragioni di comfort e non per fornire al pilota un indispensabile appoggio per contrastare la brutale accelerazione di cui questa moto è capace. Le pedane in alluminio, sono ben dimensionate e dotate di inserto di gomma per smorzare le vibrazioni. Sono poste in posizione leggermente avanzata, comode e non troppo basse.
Al passeggero però, non è stata riservata tanta attenzione e, nonostante goda di un comodo (ma piccolo) cuscino sulla sommità parafango posteriore, le pedane alte e l’assoluta mancanza di appigli vari fanno intendere chiaramente che la VMax è una moto nata per essere goduta da soli. Basta davvero poco, appena qualche grado di troppo nella rotazione del polso destro, per produrre una variazione di velocità così istantanea da rischiare di disarcionarlo!
Il motore si anima con molta gentilezza, ma basta dare un paio di colpetti di gas per ritrovarsi con una sana dose di adrenalina pronta a tuffarsi in circolo. Dentro la prima con un sonoro CLACK! e, accarezzando la manopola del gas, rilasciamo dolcemente la frizione per immetterci nel traffico della Capitale.
La prima cosa che colpisce nelle manovre a bassa velocità è il peso del manubrio. L’inclinazione della forcella, unita allo pneumatico anteriore di 120/70 R18, è studiata per garantire il rigore direzionale che una moto di tali prestazioni produce. Tuttavia, il manubrio si rivela pesante e tende a chiudere alle bassissime velocità, costringendo il pilota a continue correzioni di equilibrio e dosaggio del gas. Certo, non è una moto fatta per affrontare il caotico traffico delle metropoli svicolando tra una macchina ed un altra a passo d’uomo, per quello esistono gli scooter!
Ma di sicuro, non appena l’orizzonte si libera e si ha modo di girare quel polso, tutte le scelte progettuali rivelano la loro bontà! La velocità può crescere con una tale veemenza da lasciare interdetti, ed è solo un bene che la ciclistica ci metta moltodel suo per generare un comportamento tale da aiutare il pilota a mantenere una traiettoria quantomeno rettilinea. Presa confidenza con queste peculiarità, diventa però davvero difficile non prodursi ad ogni partenza in una spettacolare accelerazione a ruota fumante (con tanto di ghigno a farla da padrone dietro alla visiera).
L’alimentazione collabora alla perfezione con il sistema che unisce il controllo dinamico dell’altezza dei cornetti di aspirazione e con il ride by wire. Il risultato di questo lavoro sinergico è un’erogazione poderosa che regala al pilota un feedback assoluto per ogni singolo grado di rotazione del polso. Con 200cv a portata di mano è quantomeno rassicurante sapere che, oltre alla ciclistica a punto, anche la potenza sia così ben gestibile.
Sulle statali il comportamento è più che buono, con una dinamica sana e rigorosa anche dove i rettilinei diventano brevi e le curve sempre di più vicine. La frenata è potente, precisa, finalmente instancabile, e l’inserimento, seppur “duro” per la massa che la VMax si porta dietro, è rotondo e fluido. Una volta toccata la corda (non le pedane) non resta che “appoggiare” la moto sul gas e accompagnarla in uscita di curva. Manovra che, viste le premesse di peso, coppia e cavalleria, potrebbe impensierire anche il motociclista più navigato ma che, in realtà, si rivelanaturale e alla portata di tutti. Certo, se si hanno competenze, capacità e spazio, basta girare il polso oltre il limite di tenuta per lasciarsi andare in spettacolari ed impegnative uscite di curva di traverso!
Abbiamo voluto anche assaggiare il comportamento autostradale della VMax, ma l’aria che arriva addosso è veramente tanta, troppa! Le pedane, per quanto più arretrate rispetto alla 1200, sono comunque più avanti di quanto questa tipologia di guida richiederebbe rendendo, di fatto, il tratto autostradale leggermente scomodo. Molto meglio non spingersi oltre alle statali, dove basta inserire il rapporto più alto e lasciarsi trasportare dall’infinita coppia del nuovo V4 tutto muscoli!
Sul fronte dei consumi, nonostante un rapporto stechiometrico tendente al magro e vista la cilindrata ed i cavalli in gioco, non potevamo che aspettarci una percorrenza inferiore ai 20 km/lt. Come si suol dire, “i cavalli vanno nutriti” e qui siamo davanti ad un nutrito branco di purosangue scalpitanti. Il migliore dei risultati lo abbiamo rivelato nella prova in extraurbano, lasciandoci trasportare unicamente dalla generosa coppia motore senza cambiare marcia.
In queste condizioni d’uso, la media ha evidenziato un consumo di 17 km/lt, un dato che, viste le premesse tecniche, è un gran risultato. Il dato peggiore è stato rilevato ovviamente in città, dove abbiamo registrato 11 km/lt .In conclusione, la nuova VMax è una moto che raccoglie nel migliore dei modi l’eredità del modello dalla quale deriva. Il lungo processo di evoluzione attraverso il quale è passata nell’arco dei 12 anni, e che l’ha portata dal foglio alla strada, non l’ha cambiata. Non ha smussato angoli e carattere ammorbidendoli per venire incontro ad una maggior platea di possibili acquirenti, l’ha evoluta senza perdere una virgola del carattere che la rendeva straordinaria ieri come oggi, ed esattamente come allora è alla stessa ristretta cerchia di motociclisti che si rivolge. Una moto per pochi allora, una moto per pochi oggi, orgogliosamente.
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PIACE – NON PIACE
Piace:
Rifiniture
Carattere
Motore
Coppia
Non Piace:
Peso
Consumo
Manubrio molto pesante a bassa velocità
LE CARATTERISTICHE TECNICHE
Motore
Tipo di motore: 4 cilindri a V di 70°, 4 tempi
Cilindrata: 1679 cc
Alesaggio per corsa: 90.0 x 66.0 mm
Compressione: 11.3 : 1
Valvole per cilindro: 4
Alimentazione: Iniezione elettronica
Raffreddamento: A liquido
Avviamento: Elettrico
Potenza: 200 Cv (147Kw) a 9000 giri
Copia massima: 167 Nm (17.0 Kg-m) a 6500 giri
Trasmissione
Cambio: 5 rapporti
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Frizione: Multidisco con sistema antisaltellamento
Trasmissione finale: Cardano
Ciclistica
Telaio: A diamante in alluminio
Inclinazione canotto:
Sospensione anteriore: Forcella tradizionale con steli da 51mm
Sospensione posteriore: Swingarm con monoammortizzatore
Freno anteriore: 2 dischi con profilo a margherita da 320 mm pinze a 6 pistoncini Brembo
Freno posteriore: Disco da 298
Pneumatico anteriore: 120/70 R18 M/C
Pneumatico posteriore: 200/50 R18 M/C
Dimensioni e peso
Lunghezza: 2395 mm
Larghezza: 820 mm
Altezza: 1190 mm
Altezza sella: 775 mm
Interasse: 1700 mm
Distanza minima da terra: 140 mm
Peso a vuoto: 310 Kg
Serbatoio: 15 Lt