Fermare le Corse? Risponde Enzo Ferrari
Approfondimento sull'ipotesi di chiudere le corse dopo l'incidente mortale di Marco Simoncelli
La tragedia di Marco Simocelli a Sepang ha ridato forza, nei media, ai detrattori delle corse motociclistiche. Un esempio su tutti il titolo in prima pagina di ieri sul quotidiano La Repubblica: “Basta con la velocità. Fermate i Gran premi”. Lo stesso titolo apparso negli anni precedenti sui giornali dopo le tragedie di Angelo Bergamonti a Riccione (1971), di Renzo Pasolini e Jarno Saarinen a Monza (1973). Sulla spinta dell’emotività e del dolore, si è sempre cercato e si cerca tutt’ora la via più semplice, quella di infierire, di lanciare anatemi, di chiedere la fine delle corse.
Giovanni Valentini, firma prestigiosa di Repubblica, scriveva: “Forse si può commemorare la morte in pista del pilota Marco Simoncelli con un’elementare domanda: a che cosa servono, al giorno d’oggi, le gare di motociclismo e di automobilismo?” . La risposta pare scontata: “… Non c’è più ragione di rischiare la vita in una gara di velocità, se non per alimentare lo show business delle corse, dal vivo o in tv, con relativo sfruttamento commerciale e pubblicitario”.
La vita umana va sempre e comunque salvaguardata. Ciò vale evidentemente anche per i piloti e per chi rischia nello sport come nella vita. Abbiamo più volte affrontato il tema della sicurezza, non sottovalutando i grandi passi avanti ma non sottacendo i limiti di una organizzazione del motomondiale ancora sbilanciata nelle priorità: si privilegia la parte più esteriore dello show a danno di altre componenti più “nascoste”, come la professionalità sulla sicurezza come dimostra anche la triste vicenda di Sepang.
Serve, evidentemente, una coralità dell’impegno a tutti i livelli, con i piloti che devono far sentire di più la loro voce. I motori, la sfida, il rischio si fondono, esaltandoli, nel motociclismo Ciò detto, non può restare senza risposta la domanda: perché si corre?
La parola a Enzo Ferrari: “Siamo nati con un’ansia di superamento e l’ambizione ci porta a tentare di primeggiare. La rivalità, anche crudele, è già agli inizi della vicenda umana: Caino e Abele e nel racconto dei miti, le fatiche immani che può sopportare Ercole o nelle favole dove c’è sempre una fanciulla che chiede allo specchio chi è la più bella del reame. Fin da piccoli incontriamo il più bravo della classe, quello che si arrampica meglio in palestra, quello che pattina con più eleganza. E dal primo contatto con gli altri emerge l’istinto del confronto, della emulazione”.
Sarà anche per questo che il motociclismo ha superato tutte le bufere e vive anche dopo 100 tragedie, senza mai rinunciare ad andare alla ricerca del tempo perduto, come nel libro di Proust.