Honda Integra: il TEST di Motoblog
Test completo della nuova creatura di Honda
:format(webp)/www.autoblog.it/app/uploads/sites/3/2011/10/p32925-620x350-1.jpg)
Il dizionario recita alla voce “integrare”: Completare aggiungendo ciò che manca; rendere integro, intero. Anche se suona strano su un mezzo con sole due ruote, il nome Integra è stato applicato in modo più che appropriato da Honda, che con questo mezzo punta a integrare in un unico concetto due categorie motociclistiche agli antipodi.
Come logico, non si possono prendere soltanto i pregi del mondo scooter e del mondo moto, quindi ci siamo lanciati in una valutazione attenta del mezzo per capire prima di tutto dove pende l’ago della bilancia, per poi ramificare la nostra critica a tutti gli altri aspetti.
L’Integra è una moto o uno scooter? Durante la conferenza stampa ha preso parola il padre di questo progetto, l’Ingegner Masanori Aoki, un guru dell’ingegneria motociclistica giapponese, che ha subito messo i puntini sulle i: “This is not a scooter”. Ecco il test completo del nuovo Integra dopo il faccia a faccia della scorsa settimana
Scooting Motorcycle
E’ con il termine Scooting Motorcycle che vogliono distinguere l’Integra da tutte le categorie esistenti. Su questo mezzo Honda ha riposto grandi risorse R&D cercando una chiave per iniziare la rivoluzione nel modo di muoversi su due ruote; un mezzo innovativo, che vede in questo aspetto lo scoglio più grande da superare in un mercato tradizionalista come quello italiano, se fosse una questione di sole caratteristiche estetico-dinamiche, l’Integra sarebbe un successo assicurato.
Una moto che scootereggia, una genuina ciclistica tradizionale infilata sotto un layout estetico e una posizione di guida tipici degli scooter. Come scopriremo una volta in sella, la qualità di questo progetto risiede nel modo in cui sono stati fusi i due mondi, che rimangono omogenei ma allo stesso tempo ben distinti quando comincia la marcia: dentro moto, fuori scooter. Punto.
Quest’unione è stata possibile grazie alla seconda generazione del cambio DCT, il sequenziale a doppia frizione, 6 rapporti, che in questa configurazione raggiunge nuovi livelli di efficienza tanto che sembra nato apposta per questa applicazione. Se i princìpi moto e scooter fossero realmente due sposi all’altare, il Dual Clutch Transmission sarebbe uno splendido anello nuziale.
Com’è fatto?
Premettiamo che molti aspetti non sono stati rivelati, perciò non abbiamo avuto modo di consultare gli esplosi né tantomeno vedere le immagini del prodotto senza la carena; il test in anteprima è stato organizzato per dare un primo assaggio di questo nuovo concetto di mezzo, che vedremo esposto all’Eicma fra due settimane ma soltanto il prossimo anno sulle strade europee.
Noi non ci siamo fermati di fronte a questi ostacoli, abbiamo guardato in tutti i pertugi, abbiamo infilato lucine nella zona cannotto per cercare particolari interessanti, abbiamo rischiato le nostre appendici infilando dita dove non arriva il sole; il risultato è stato ben chiaro, e anche senza foto abbiamo avuto ben chiara la situazione, che spiegata in breve presenta:
un telaio in acciaio con struttura tubolare a doppio trave discendente, che scorre basso dal perno forcellone fino al termine del tunnel centrale, per poi percorrere l’ultimo terzo di struttura anteriore in maniera più angolata per raccordarsi al cannotto di sterzo.
Il motore, imbrigliato in posizione centrale ha una posizione perfettamente motociclistica, e l’angolazione di 62° del monoblocco ha consentito il passaggio dei travi bassi. Per intenderci, qualcosa di concettualmente simile è visibile nella serie K a 4 e 6 cilindri di BMW, ma qui è ovviamente ridimensionato al tipo di mezzo che si presenta. La trasmissione finale a catena, che parte dal lato sinistro, ha consentito l’utilizzo di un forcellone scatolato in acciaio, sorretto da un monoammortizzatore multilink con un braccio di leva davvero importante, più lungo di quello di una moto tradizionale. L’interasse è bello lungo, 1525cm, ma il cannotto di sterzo ha una angolazione puramente motociclistica di 27°.
Le sospensioni sono affidate ad elementi ampiamente collaudati: Forcella anteriore telescopica da 41mm, con escursione classica di 120mm, mentre al posteriore domina un monoammortizzatore pro-link con leveraggio progressivo.
Le ruote sono da 17”, calzanti pneumatici Metzeler Roadtec Z8 nella misura 120/60 all’anteriore e 160/60 al posteriore. E’ chiaro che con delle ruote da moto questo mezzo può affacciarsi anche al mercato pneumatici per ipersportive, una possibilità di scelta che farà felici molti utenti attenti alle performance e alla sicurezza.
I freni non portano innovazioni sorprendenti, ma si affidano ad un impianto a due dischi con misura 320mm per l’enteriore e 240 al posteriore, entrambi a margherita. Di serie il sistema combinato C-ABS di Honda, che unisce l’efficienza della frenata combinata (agendo sulla leva sinistra) alla sicurezza dell’anti-bloccaggio.
Meccanica inedita
La meccanica si avvale di un nuovo motore bicilindrico parallelo fronte marcia da 670cc con angolo del monoblocco di 62°. Compatto nell’ingombro laterale, è decisamente sottoquadro con un alesaggio di 73mm e una corsa di 80mm. E’ chiaro che i progettisti hanno pensato a quest’unità puntando su consumi, affidabilità e piacere di guida prima ancora che alle performance, e in effetti stupisce per la tecnologia dei materiali e per le prestazioni dal benzinaio, più che quelle velocistiche.
Pistoni con riporto in resina per diminuire l’attrito, bilancieri in alluminio, ottimizzazione dei flussi, rapporto stechiometrico di 14:1, aspirazione che si affida ad un solo corpo farfallato e scarico con collettori uniti e catalizzatore posizionato a monte dell’impianto. Questo ha portato i progettisti alla stratosferica cifra di 27,9km al litro di consumo, un elemento che abbiamo potuto apprezzare lungo il nostro giro, e nonostante le smanettate non siamo riusciti ad allontanarci di tanto da questi valori.
Ma ci è piaciuto soprattutto il comportamento di questo propulsore, che riesce a comportarsi come un motore di potenze e coppia ben maggiori fino al regime massimo di rotazione. In pratica fino a al picco di potenza (51,8CV a 6.250g/min) la coppia è di qualche punto superiore alla ben più “lunga” CBF600, così come la coppia che è addirittura superiore, e tocca 62Nm a 4.750 g/min. Un motore che da tutto e subito ma che non sarcrifica un buon allungo, e grazie ad una sesta da overdrive del DCT, si toccano i 170 all’ora senza particolari problemi.
Però da fuori è strano
Abbiamo scoperto cosa si nasconde sotto la pelle, ma dall’esterno che roba è? Alla prima occhiata può mettere in soggezione, perché oltre che assomigliare ad uno scooter al 100%, presenta anche linee molto personali e un posteriore difficile da capire anche per i motociclisti navigati che ne hanno visto di cotte e di crude.
Affilato, corto e regolare nella forma, il codino finisce decisamente presto e contrasta parecchio con un anteriore imponente e tipicamente scooteristico. Il proiettore è affogato nel porta targa e si allunga su un supporto plastico. Lo scudo è grande grande, la sezione anterore è dominata dal faro multi proiettore “a V”, dalle prese d’aria e dal morbido ondeggiare della fiancata. L’aerodinamica è stata curata come su una moto ed è abbastanza affilato, con un plexi senza montanti che assicura una discreta protezione, peccato solo che non è regolabile e che le mani siano esposte al flusso dell’aria. Ma il bello arriva una volta in sella.
Dalla posizione privilegiata del pilota si scopre un mondo nuovo ed inedito fino a questo momento. Il contro scudo si estende molto verso le gambe del pilota, e il manubrio è affogato in un cockpit sormontato dalla piccola strumentazione full digital, molto completa e leggibile, ma non avrebbe guastato anche qualche strumento analogico dal design high tech.
Vano portaoggetti davanti alla gamba sinistra e freno di stazionamento sulla destra, le gambe stanno larghe e abbracciano il complesso telaio-motore che sta sotto il grosso tunnel. Non ne abbiamo mai visto uno così imponente e sulle prime mette in soggezione, per fortuna passa tutto subito appena ci si rende conto che proprio in mezzo alle nostra gambe sta il baricentro.
A guardarlo, con quelle belle ruote in lega da 17”, sembra davvero un oggetto alieno che proviene da un altro pianeta, ma la qualità e le finiture sono tipicamente terrestri, anzi, tipicamente Honda, con plastiche robuste e accoppiamenti di qualità. L’unica cosa che ci ha lasciato perplessi è la presenza dei carter frizione e statore che “invadono” le pedane, e costringono a mantenere una posizione con i piedi avanzati, seppure per la guida di una moto così sarebbe ideale poggiare i piedi più indietro.
God save the DCT
Una delle più belle novità di questo mezzo non è una proposta inedita, ma si tratta della seconda versione del DCT, quel Dual Clutch Transmission che ha debuttato nella VFR1200F, ma è in questo mezzo che trova la sua massima espressione anche in relazione alle potenze in gioco e al mezzo che va ad equipaggiare.
Sistema a doppia frizione unito ad un cambio automatico e sequenziale con paddles al manubrio. Dove nel VFR non si trovava leva, però, qui troviamo il comando del freno combinato e in un certo qual modo intralcia l’utilizzo delle palettine… ma non preoccupatevi di ciò, perché la modalità sequenziale è quasi del tutto inutile qui.
La seconda generazione vanta migliorie che vanno dalla semplificazione della doppia frizione all’utilizzo di un nuovo software di controllo. Ora quando ci si trova in modalità automatica, e si agisce sui paddles per scalare o salire di marcia a nostro piacimento, dopo poco il sistema si autoripristina in modalità automatica.
Nella VFR con il cambio di prima generazione questo non era possibile perché una volta “switchato” da una modalità all’altra tramite l’uso dei paddles, poi bisognava ripristinare l’automatico tramite l’apposito grilletto sul blocchetto destro.
Il vantaggio è grande, perché ora è possibile intervenire sul comportamento dell’automatico (ad esempio in una scalata energica in cui vogliamo più freno motore) con le nostre dita, ma poi ci pensa lui a cambiare appena avete ripreso in mano il gas in uscita di curva.
Del comfort di guida è inutile parlarne, perché il doppia frizione non ha stacchi di potenza, che viene erogata in maniera continua e regolare, con i cambi marcia percettibili solo dall’orecchio e non dal corpo. L’unica situazione in cui c’è un po’ di stacco è fra la prima e la seconda nelle accelerate brusche.
Inoltre c’è da applaudire al lavoro dei tecnici nell’allineare il comportamento del bicilindrico con le due funzioni del DCT. In modalità “drive”, quella più tranquilla e cittadina, il DCT non supera mai i 3000 giri ad ogni cambiata, e sfrutta tutta la coppia motrice posizionata nella parte bassa del contagiri. Una vera e propria goduria per chi vuole una guida morbida e rilassata. La modalità “sport” invece predilige gli allunghi fino ai picchi di potenza e coppia e favorisce la guida sportiva, anche qui appagante ma non quanto quella che possiamo assaporare in D fra le curve tranquille di un passo o il traffico di città.
Si guida come una moto
Corpo che si sposta verso il centro della curva, piede interno che spinge verso il basso e gamba esterna che preme nel tunnel centrale per inserire in curva. Ecco come si guida questo Integra perché sia divertente, esattamente come una moto.
Il baricentro lo si nota subito, è in mezzo alle nostre gambe, proprio lì dove pulsano i due pistoni circondati dal telaio. L’assenza del serbatoio fra le nostre cosce limita l’ultilizzo delle gambe nella guida e non consente di “appendersi” ma per un mezzo dalle pretese non pistaiole va più che bene questa configurazione.
Ci consola non poco la ciclistica: risponde in maniera sincera e prevedibile agli spostamenti del nostro corpo, ci piace sentire in uno scooter il centro di rotazione davanti al nostro busto e ci piace sentire trasferimenti di carico regolari e ben distribuiti su tutto il corpo moto. Il peso è infatti ripartito 50% all’anteriore e 50% al posteriore, dice la bilancia, e la guida conferma.
Il logico confronto va alle altre “entry level” di casa Honda, ovvero CBF600 e Deauville 700. Sappiate che è agile, facile e piacevole come queste ultime dal punto di vista ciclistico e di pura guida, ma ha dalla sua parte un comfort che le altre due non raggiungono, con una posizione in sella tipica dello scooter e la possibilità di spostare i piedi avanti ed indietro a nostro piacimento. Inoltre il baricentro più basso avvicina la guida cittadina a quella di un vero scooter di grossa cilindrata, perciò risulta più piacevole e comodo da utilizzare in città
La sella dell’Integra ha una seduta comoda e morbida, e con un’altezza di 79cm da terra non è troppo alta. Unico limite, la forma troppo scavata che limita l’abitabilità ai soggetti non troppo alti, e favorisce l’indolenzimento del culetto se si rimane per lunghi periodi nella stessa posizione. Avremmo gradito una sezione del pilota più scavata nell’interno coscia, ma questa configurazione è dedicata solamente alla versione asiatica dell’Integra.
L’unica cosa che non ci ha entusiasmato è il singolo disco anteriore. Benchè di grosse dimensioni, non riesce a contenere il peso di oltre 200kg in staccata da alte velocità quando utilizziamo il solo freno anteriore. Per fortuna il sistema combinato azionabile dalla leva sinistra fa il suo lavoro in maniera egregia, ma avremmo preferito – anche per una questione di look – il doppio disco frontale.
Sul mercato sarà un’incognita
Di questi tempi è difficile trovare qualcosa che funzioni nel mercato già a partire dal progetto cartaceo. Qui in Italia il settore vendite del nuovo soffre di un immobilismo che ha costretto i vari produttori a scontrarsi con fenomeni anomali come il dominio incontrastato di una enduro stradale “di lusso”, e il crollo delle moto più sportive che hanno dominato la scena per metà dello scorso decennio.
Integra potrebbe essere una soluzione nuova, ma ha dei rischi, che sono quelli tipici di un progetto ancora mai visto. Sarà matura l’utenza italiana per accettare un mezzo che incarna l’idea del crossover in maniera così innovativa? Sia l’estetica che il concetto gioca su un pricipio radicale: o fa il botto, o fa la fine della DN-01.
A rafforzare l’idea positiva, però, c’è la multipiattaforma che si basa su tre modelli distinti (parecchio) sul mercato, che condividono la medesima base, ovvero il motore e il telaio. Integra è il primo di questo trittico, che vedremo al completo al prossimo salone dell’Eicma.
Starà poi al gusto dell’utenza premiare o bocciare questo mezzo, perché se le vendite dovessero basarsi soltanto sull’efficienza del mezzo, l’Integra sarebbe un best seller. Difficilmente troveremo comodità da scooter, dinamica da moto, bassi consumi e alto rapporto qualità/prezzo come in questo caso.
Abbiamo citato il rapporto qualità/prezzo, perché sappiamo più o meno quanto costerà sul mercato. In Honda promettono di non superare i 10.000€, sarebbe un colpo gobbo al T-Max e a molte piccole naked per neofiti e utilizzatori quotidiani, sperando di non vedere una sovrapposizione interna con l’Integra che affossa l’ottima Deauville. Scopriremo ben presto quale sarà il principale rivale sul nostro territorio.
conclusioni
L’integra, integra alla perfezione due concetti agli antipodi. In Honda sono riusciti a creare un mix perfetto in un modo che nessuno prima d’ora era riuscito a fare. L’estetica radicale non deve ingannare né l’utente motociclista, né quello scooterista, perché tutte le dinamiche di questo mezzo sono facili e prevedibili, ma pendono molto più verso l’universo motociclistico.
In conclusione alla nostra prova, non possiamo che elencare in breve gli accessori. Troveremo il set di valigie e top case Honda (lo stesso disponibile sui modelli CBF) che fa molto touring e migliora di gran lunga lo spazio di carico, che in assenza di accessori si basa solo sul piccolo vano sottosella da 15 litri, che stupisce più per la sua presenza che per il limitato spazio. Inoltre il montaggio del telaietto per le valigie offre due maniglie belle grosse per il passeggero.
Antifurto, manopole riscaldabili e supporto per navigatore. Speriamo arrivino presto una seconda scelta di sella (più bassa e smussata) e un cupolino che protegga anche le mani dal flusso d’aria frontale. Sarà disponibile in 4 colorazioni: Bianco, nero, amaranto e blu. Ad un prezzo ancora da stabilire ma contenuto entro i 10.000 Euro
Pregi e Difetti
Piace
Motore e consumi
DCT semplicemente favoloso
Comodità da scooter e guida da moto
Non Piace
Disco anteriore singolo
Trasmissione finale a catena
Ginocchia a contatto con il contro scudo in frenata
Ultime notizie
:format(webp)/www.autoblog.it/app/uploads/sites/3/2025/05/wp_drafter_280041.jpg)
:format(webp)/www.autoblog.it/app/uploads/sites/3/2025/05/wp_drafter_280018.jpg)
:format(webp)/www.autoblog.it/app/uploads/sites/3/2025/05/wp_drafter_280012-scaled.jpg)
:format(webp)/www.autoblog.it/app/uploads/sites/3/2025/05/wp_drafter_279978.jpg)