Rubrica Pillole Tecniche: l'impianto di scarico
Parliamo oggi dell'impianto di scarico, il componente maggiormente soggetto a modifiche e sostituzioni da parte degli appassionati.
L’argomento di oggi della nostra Rubrica Pillole Tecniche starà a cuore alla maggior parte degli appassionati. Parleremo infatti dell’impianto di scarico, il componente che più di tutti è soggetto a modifiche, alterazioni, personalizzazioni e sostituzioni. C’è chi va’ alla ricerca di qualche cavallo in più, chi invece vuole ottenere solo un bel rombo, oppure entrambe le soluzioni.
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Ad ogni modo, la marmitta non è solo un tubo dal quale “escono” fuori i gas di scarico prodotti dal motore e il suono. E’ un componente che garantisce un regolare funzionamento del motore permettendogli di espellere in maniera ottimale i gas di scarico prodotti dopo lo scoppio avvenuto all’interno del cilindro.
Abbiamo virgolettato la parola “escono” proprio perché la principale funzione dell’impianto di scarico è quella di creare una depressione che consenta a questi gas di scarico prodotti di uscire fuori dal motore. La loro “estrazione”, che avviene attraverso un procedimento chiamato “effetto venturi”, verrà assicurata dalle forme di alcuni componenti principali dello scarico, ovvero i collettori.
Sfruttando l’effetto venturi, non sarà dunque il motore a spingere fuori i gas di scarico, ma sarà appunto l’intero impianto di scarico a trascinare fuori i gas prodotti creando una reazione a catena. Chi modifica o, nella maggior parte dei casi, sostituisce il terminale o addirittura l’intero impianto di scarico, agirà per ottenere migliori prestazioni utilizzando componenti creati per agevolare la fuoriuscita dei gas di scarico.
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Nelle moto, l’impianto di scarico è un componente diviso generalmente in due parti: collettori di scarico e terminale. I collettori sono quei tubi collegati alle luci di scarico dei cilindri. Si installano sulle pareti del cilindro tramite prigionieri o attraverso robuste molle. La loro forma è importante perché agevolerà la fuoriuscita dei gas di scarico. In genere sui collettori troviamo installato il catalizzatore, un componente messo appunto per ridurre l’inquinamento. Il suo compito fondamentale è trasformare le sostanze nocive contenute nei gas di scarico in agenti innocui per l’organismo umano e per l’ambiente.
Dai collettori si arriva poi al pezzo più affascinante e importante: il terminale. Conosciamo ormai le forme più improbabili di terminale, alcune nate esclusivamente per un fattore estetico, altre per garantire alla moto migliori prestazioni. I terminali più comuni sono formati da un da un involucro esterno generalmente in acciaio (vengono poi utilizzati titanio, carbonio e alluminio). Al suo interno troviamo un particolare tipo di materiale termoisolante e fonoassorbente (generalmente la famosa lana di vetro) installato tutto attorno ad uno stretto tubo forato dal quale passano appunto di gas prodotti dal motore.
Nei motori due tempi invece il discorso è leggermente diverso. Anche se produce comunque gas di scarico generati dallo scoppio della miscela aria/olio/benzina, il motore 2t necessita della famosa “espansione” per poter funzionare al meglio. Rispetto al 4t, nel motore 2t troviamo la fase di “lavaggio”, che sostituisce le fasi di aspirazione e scarico presenti nei 4t.
Attraverso questo processo, l’aria entra nel cilindro tramite la luce di aspirazione. Una volta aperta la luce di aspirazione, l’aria si miscela con i gas combusti. Successivamente si sposterà verso la luce di scarico per essere espulsa dopo lo scoppio. Solo una minima parte di gas combusti rimarrà all’interno del cilindro per miscelarsi con la successiva dose di aria che arriverà immediatamente dopo.
Questo procedimento è poi favorito appunto dall’espansione, ovvero una parte rigonfia del collettore di scarico dove la pressione è minore rispetto a quella presente nel cilindro. Questa differenza di pressione genera un rapidissimo scarico della miscela che garantirà un minor tempo per l’inizio di una nuova fase di “lavaggio”.
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