Agostini imperatore

Il nostro post di ieri su Motoblog “MotoGP, Marquez a caccia di … Agostini” può avere innescato interpretazioni errate sul reale valore del fuoriclasse di Lovere, il pilota più titolato di tutti i tempi.

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 14 ago 2014
Agostini imperatore


L’equivoco può derivare dalla frase in cui si ricordava il debutto di Ago sulla MV Agusta nella classe regina: “In quel 1970 Agostini dominò la prima gara delle 500 nella bufera del vecchio e micidiale Nurburgring. Chi scrive queste note c’era e ricorda che il secondo classificato (Barnett su Seeley monocilindrica) giunse dopo … 3 minuti (sì, tre minuti!) e nella 350 Agostini tagliò il traguardo per primo con 4 minuti (quattro minuti!) di vantaggio su Kel Carruthers! Nella 500 la stagione si svolse più o meno sulla stessa falsariga”.

Ciò significa che Mino ha vinto spesso (o sempre) per mancanza di avversari o battendo piloti su moto non competitive? Facciamo un passo indietro. Per gli amanti delle statistiche (e anche per gli … smemorati) ricordiamo il palmares di Agostini: 15 titoli mondiali vinti, primo in 123 Gran Premi, sul podio in 163 gare mondiali (su 190 disputate), nella classe 500 ha ottenuto 8 titoli mondiali con 68 vittorie nei GP e, nella “350”, 7 mondiali e 54 vittorie nei GP. E’ stato, inoltre, ben 20 volte campione d’Italia conquistando un totale di 311 vittorie in gare titolate.

E’ vero, Giacomo Agostini ha corso e vinto in due cilindrate, spesso davanti ad avversari non adeguati o su mezzi marcatamente inferiori, dando nella 500 anche un giro al secondo arrivato. Ma si può dire che l’asso di Lovere è un “ladro” di titoli? Non scherziamo!

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Non solo Ago battè sempre se stesso a suon di giri record, ma quando si è trovato a battagliare con gente dal calibro di Hailwood, Read, Redman, Provini, Grassetti, Venturi, Pasolini, Bergamonti, Pagani, Villa, Saarinen, Ceccotto, Roberts, Sheene ecc, non si è tirato indietro, dimostrando classe, grinta, intelligenza da vero “number one”.

Abbiamo già scritto in passato su Motoblog:

Ago ha dimostrato di possedere anche la dote dell’umiltà, la pazienza del saper attendere il suo momento: a fine 1964, ventiduenne, chiamato dal conte Agusta in squadra con Hailwood, Mino capì subito che l’inglese andava … rispettato e … seguito. Per l’intera stagione l’asso italiano seguì come un’ombra Mike the bike, poi, imparata l’arte, tirò fuori gli artigli fino a “favorire” il passaggio del grande inglese alla Honda. Una lezione per i nostri giovani piloti di oggi, del tutto e subito. Più o meno – in epoche molto diverse – si può dire la stessa cosa detta per Agostini, per Valentino Rossi, pilota baciato anche dalla fortuna ma dotato di una straordinaria classe, meritandosi una carriera da incorniciare.

Chi scrive queste note ha praticamente seguito l’intera carriera di Agostini, pilota indubbiamente benedetto dalla dea bendata (all’epoca una caduta poteva costare la fine di una carriera, mesi di ospedale o addirittura la morte) ma straordinariamente dotato, efficace e “completo”.

Non aveva la bruciante staccata alla baionetta di Pasolini, la versatilità tecnica e la martellante azione agonistica di Hailwood, la cattiveria agonistica di Read, l’irruenza prepotente e famelica oltre ogni regola di Saarinen: Ago aveva – nell’esaltazione di una pignoleria maniacale per i particolari – il dono della sintesi del meglio dei suoi avversari e sapeva gestire con il massimo profitto ogni situazione. Non era pilota alla Hailwood fortissimo su qualsiasi moto, dimenticandosi cilindrata e marca. Ago voleva la moto “per lui”, come un vestito su misura: in questo senso il suo capolavoro fu la MV Agusta 3 cilindri 350 e 500, sviluppata e portata in pista alla perfezione.

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Se proprio vogliamo cogliere il pelo nell’uovo a … “sfavore” di Mino, dobbiamo andare al suo esordio tricolore con la Morini 250 GP il 19 marzo 1964 sul circuito di Modena, dopo l’assaggio del GP d’Italia a Monza nel settembre 1963. La Moto Morini, dopo aver dominato con il mitico Tarquinio Provini per almeno tre stagioni (1961-62-63) vincendo tutte le corse int.li e fallendo solo per un soffio il titolo iridato del 1963, affidò nel 1964 (dopo l’assaggio di fine stagione ’63 a Monza) allo sconosciuto Giacomo Agostini la propria portentosa 250 bialbero, la monocilindrica più veloce del mondo.

A rimetterci fu Silvio Grassetti, campione 28enne già affermato con le ufficiali Benelli, Bianchi e MV Agusta, sostituito da Provini alla Casa del leoncino e passato alla Casa bolognese con Agostini. Alla prima gara 1964 di Modena, appunto, il pesarese Grassetti dominò la 250, ma l’albo d’oro porta in testa il nome di Agostini. Perché? Perché il battistrada Grassetti, a poche centinaia di metri dal traguardo chiuse il gas, aspettò l’arrivo di Agostini, regalandogli la vittoria. Ordini di scuderia. Fra il pubblico (chi scrive queste note era lì a fischiare …) scoppiò la rivolta, ma il Commendator Alfonso Morini coccolandosi il raggiante Agostini, sorrideva sornione, con alle spalle un cartello che diceva tutto: “Cambiano i piloti ma la Moto Morini continua nelle sue strabilianti affermazioni”.

Ecco, Agostini dimostrò subito di che pasta era fatto, anche in circostanze come quella. Pilota dal sorriso aperto, ma gelido in pista, capace di sorvolare su situazioni “delicate” come quella del 19 marzo ‘64 a Modena (ma ricompenserà Grassetti a Monza 1966 tirandolo in scia dietro la sua MV per rendere più competitiva la Bianchi del pesarese) ma anche capace di legarsi al dito qualche sgarbo … verbale dei suoi avversari. Non solo.

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Agostini aveva fiuto tecnico e intuito strategico e sapeva scegliere: come nel 1974 quando abbandonò (non per soldi) la MV Agusta per passare alla Yamaha ritenendo i motori due tempi più competitivi. Sui bolidi della Casa dei tre diapason fece subito la mirabile doppietta nelle 200 Miglia di Daytona e Imola battendo (anche) i piloti americani e diventando così il campione dei “Due mondi”.

Non ripercorriamo qui la carriera straordinaria di Agostini, pilota fra i più grandi di tutti i tempi, pilota tatticamente superiore, il primo a creare una immagine nuova del motociclismo, fuori dalle nicchie (pur corpose) degli appassionati. Il nome di Ago correva in tutta Italia e ovunque nel mondo. Con Agostini, il motociclismo entrava nelle case, nei bar, al cinema, in tv, nei rotocalchi: in una parola faceva notizia. Bisognerà aspettare Valentino Rossi per il salto successivo. Guarda caso, due italiani vincenti nello sport e famosi nel mondo.

Enzo Ferrari ricordava che fra due campioni, sceglieva quello più fortunato. E il grande Manuel Fangio diceva di Ago: “E’ difficile trovare un conduttore che sente a tal punto le corse, che abbia un intuito così perfetto, un fisico tanto adatto a questa professione, tanta intelligenza e riflessi così pronti”. Punto.

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