Motomondiale 2014, record di cadute. Ma una volta era peggio...
Sono stati quasi mille le cadute del piloti del Motomondiale nelle tre classi MotoGP, Moto2 e Moto3. Le cadute di oggi non sono nulla in confronto con quelle del passato...
Le cadute, si sa, sono da sempre una componente costante e non eliminabile delle corse di moto anche se le conseguenze sono oggi fortunatamente meno traumatiche di una volta. Non cadono solamente, ovvio, i piloti del motomondiale ma i dati forniti giorni fa dalla Dorna dimostrano che anche gli assi della MotoGP, Moto3 e Moto2 sono assai… “instabili” e addirittura il 2014 è stato un anno record (rispetto agli ultimi 10 anni) con 981cadute complessive su 18 gran premi disputati. Non torniamo qui sulle specificità fra le classi, anche se si cade di più dove ci sono più piloti in pista, dove c’è più lotta, dove le moto hanno meno elettronica.
Per capire meglio l’attualità è doveroso tornare al passato. Tralasciando gli innumerevoli incidenti e i tanti piloti periti nelle corse prima del 1949, il motomondiale sin dalla sua prima stagione è segnato da una lunga lista di piloti sbalzati dalla moto e volati sull’asfalto, feriti e anche deceduti. In 66 anni il campionato iridato è stato sempre caratterizzato dagli incidenti ed è stato più volte listato a lutto per le tragedie di uno sport affascinante quanto implacabile: oltre 150 i piloti deceduti!
Gallery Cadute Motomondiale 2014
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Qui ricordiamo i più noti: al TT inglese del 9 giugno 1949 muore l’inglese Ben Drinkwater (Norton); nel 1951 (15 giugno Albi GP Francia) muoiono Dario Ambrosini (Benelli) e Gianni Leoni e Sante Geminiani (15 agosto Ulster) della Guzzi; nel 1952 (18 maggio GP Svizzera) tocca a Ercole Frigerio (Gilera); nel 1953 (12 giugno TT) Leslie Graham (MV Agusta); nel 1954 (4 luglio GP Belgio Spa) Gordon Laing (Norton) e (11 settembre Monza GP Italia) Rupert Hollaus (Nsu); nel 1957 (6 luglio Spa) Roberto Colombo (MV Agusta); nel 1959 (7 settembre Monza) Adolfo Covi (Norton); nel 1960 (23 luglio GP Germania Nurburgring) Bob Brown (Honda); nel 1962 al TT Tom Phillis (Honda) e Bob Mc Intyre (Honda): nel 1969 (12 luglio Sachsenring) Bill Ivy (Jawa); nel 1970 (2 maggio GP Germania Ovest) Robin Fitton (Norton) e Santiago Herrero (10 giugno TT) Ossa; nel 1971 (4 luglio Spa) Cristian Ravel (Kawasaki) e (8 luglio Sachsenring) Gunter Bartusch (MZ); nel 1972 (9 giugno TT) Gilberto Parlotti (Morbidelli); nel 1973 (20 maggio Monza) Renzo Pasolini (Benelli) e Jarno Saarinen (Yamaha); nel 1974 (8 settembre Abbazia) Billie Nelson (Yamaha); nel 1976 (16 maggio Mugello GP Italia) Otello Buscherini e Paolo Tordi (Yamaha); nel 1977 (3 aprile Imola 200 Miglia) Pat Evans (Yamaha), (1 maggio Salzburgring) Hans Stadelmann (Yamaha), (18 giugno Ryeka) Giovanni Ziggiotto (Harley Davidson); nel 1977 (19 giugno Ryeka) Ulrich Graf (Kreidler); nel 1980 (12 agosto Silverstone) Patrick Pons (Yamaha) e Malcom White (Yamaha); nel 1981 (31 maggio Ryeka) Michel Rougerie (Yamaha), (11 luglio Imola) Sauro Pazzaglia (MBA), (30 agosto Brno) Alain Beraud (Yamaha); nel 1982 (15 agosto Imatra) Jock Taylor (Yamaha); nel 1983 (29 marzo Le Mans) Iwao Ishikawa (Suzuki), (3 aprile Le Mans) Michel Frutschi (Honda), (12 giugno Ryeka) Rolf Ruttimann (MBA), (31 luglio TT) Normann Brown w Peter Huber (Suzuki); nel 1984 (12 luglio Spa) Kevin Wretton (Suzuki); nel 1988 (21 luglio Le Castellet) Alfred Heck (Lcr); nel 1989 (29 maggio Hochenehim) Ivan Palazzese (Aprilia); nel 1993 (1 maggio GP Spagna) Nobuyuki Wakai (Suzuki); nel 1994 (12 giugno GP Germania) Simon Prior (Lcr); nel 2003 (6 aprile GP Giappone) Daijiro Kato (Honda); nel 2010 (5 settembre Misano) Shoya Tomizawa (Suter); nel 2011 (23 ottobre GP Malesia) Marco Simoncelli.
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Da questo lungo elenco sono esclusi i piloti deceduti in gare extra iridate (Guido Leoni e Raffaele Alberti a Ferrara; Luigi Alberti a Monza; Renato Magi a Terracina; Mario Mastellari a Schotten; Paolo Geminiani a Locarno nel 1951; Ray Amm nel 1957 a Imola; Angelo Bergamonti nel 1970 a Riccione; Renato Galtrucco, Carlo Chionio e Renzo Colombini nel 1973 a Monza) e in prove libere su circuiti e su strade (Libero Liberati nel 1962, Sandrino Cinelli nel 1967) – solo per citarne qualcuno – in Italia e nel mondo, sicuramente altri 100 corridori deceduti, in totale, sopra i 200 considerando il TT. Per non parlare dei tanti centauri rimasti feriti gravemente.
Il tema non facile della sicurezza è sempre stato presente, pur se spesso sottovalutato e affrontato in modo inadeguato. Già nei primi ani ’50, dopo l’incidente mortale di Dario Ambrosini ad Albi, fu costituita l’Unione Corridori per la sicurezza per ottenere curve sopraelevate con speciali protezioni, l’eliminazione di pali e piante all’esterno delle curve, tracciati non più sterrati o con pietre di porfido, balle di paglia, moto senza crenature a campana ecc. Sostanzialmente solo palliativi, con moto sempre più potenti e veloci, medie sempre più elevate, tracciati da “giro della morte”. L’epoca successiva del guard-rail fu nefasta.
Le cronache raccontano di incidenti, non solo mortali, che coinvolgono piloti noti e famosi in gare internazionali, con copertura mediatica mondiale e quindi di forte impatto sull’opinione pubblica. Ma gli incidenti, anche gravi e mortali, avvengono spesso in corse minori (dove il livello di sicurezza è pari a zero) ovunque nel mondo, senza che nulla si sappia.
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Nel motociclismo il rischio non è eliminabile e anzi è una componente di questi sport: è uno degli ingredienti del suo fascino. Negli ultimi anni si è fatto molto per la sicurezza attiva e passiva, anche a scapito dello spettacolo (per esempio con l’abbassamento delle medie sul giro, con la proliferazione di chicane, con circuiti da …”go kart”, per non parlare dell’uso invasivo dell’elettronica, delle tute da robot ecc).
Più che altro per esigenze di business (il circus deve funzionare sempre e con tutti i protagonisti in campo, ecc.) si punta verso la ricerca della massima sicurezza, addirittura con l’obiettivo dell’annullamento del pericolo. Che, però, resta un utopia. Come abbiamo già scritto su Motoblog: “Eliminare completamente i pericoli delle corse è impossibile perché c’è l’imponderabile legato all’errore umano, al fato sfavorevole, ai marchingegni elettronici a volte in tilt. Chi rischia sono i piloti che, al di là dei bla bla mediatici, non contano (quasi) nulla in tema di sicurezza anche perché non sono mai stati in grado di esprimersi con un livello minimo di unità, quindi di credibilità: ognuno pensa a se stesso, al proprio tornaconto. Dare ad ex piloti i galloni di consulenti sulla sicurezza è spesso un modo per mettersi la coscienza a posto, quando non addirittura strumentalizzarli, dicendo di cambiare tutto per non cambiare niente.
Ci ripetiamo: le corse non sono una corrida, i piloti non sono gladiatori, i mezzi non sono strumenti offensivi. Ma occorre equilibrio: la ricerca della massima sicurezza possibile non può portare allo snaturamento delle competizioni motoristiche, che erano, sono e resteranno “rischiose”. Quasi 1000 cadute in una stagione non sono certo poche, ma se i danni ai piloti sono stati per lo più minimi, si può ragionevolmente pensare che la strada intrapresa sulla sicurezza è quella giusta.
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