Benelli 250 GP, la "quattro" con gli acuti rossiniani. Dai successi di Grassetti, Provini, Pasolini, all'iride di Carruthers

Benelli Story. Piloti, uomini, personaggi che hanno fatto la storia del glorioso marchio pesarese

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 5 mar 2012
Benelli 250 GP, la


Di questi giorni, 50 anni fa, il motociclismo italiano e internazionale era in fermento per il debutto della inedita Benelli 250 quattro cilindri 4 t. Allora la “quarto di litro” era la classe clou per la quantità e la qualità delle moto e dei piloti in lizza. A Pesaro, nel reparto corse all’interno degli opifici di Viale Mameli, si lavorava senza sosta per far esordire il nuovo bolide nella prima corsa internazionale del 19 marzo 1962 all’autodromo di Modena. Persino nelle notti dell’antivigilia del Natale ‘61 e del 30 dicembre, la città fu tenuta “sveglia” dal rombo quasi ininterrotto del nuovo motore a pieni giri sul banco prova.

Chi scrive queste note, allora 12enne, ricorda la frenesia dei pesaresi e dei romagnoli (e non solo) per l’inizio di quel nuovo sogno collettivo. Ma il realismo dell’Ing. Giovanni Benelli (Sor Giuan) fa rinviare il debutto al 15 aprile, alla Coppa d’Oro Shell “premondiale” di Imola, dove il rombo della “rossa” pesarese fa esplodere la “collina del batticuore” con il giovane Silvio Grassetti in fuga, poi appiedato dal ko di una valvola del motore. Il successivo primo maggio, a Cesenatico, in 50 mila salutano la prima straordinaria vittoria della “quattro”, stavolta in splendida livrea verde metallizzata: trionfo storico di Grassetti dopo una caduta agli inizi, prima sconfitta delle Honda ufficiali iridate 4 cilindri di Tom Phillis e Jim Redman e delle Morini ufficiali mono di Provini e Tassinari.

Con quella stessa moto e senza neppure un motore di scorta il Team pesarese va in furgone a Barcellona dove il 6 maggio al Montjuich GP di Spagna Grassetti compie un capolavoro … a metà: in testa davanti allo squadrone Honda di Mc Intyre, Redman, Phillis fino al penultimo giro, è costretto ad alzare bandiera bianca per le bizze della solita valvola. Poi Hockenheim GP Germania, con il pilota pesarese ancora sfortunato, primo fino alla penultima tornata, quarto sul traguardo per … benzina finita.

Benelli Story
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Furono, da quel 1962 al 1969, anni infuocati. La 250, va ribadito, era la categoria top del mondiale e la quattro cilindri pesarese (capitolo a parte per le sorelle maggiori 350 e 500 guidate da Renzo Pasolini, Mike Hailwood, Jarno Saarinen, Walter Villa) si è conquistata un posto d’onore nell’olimpo delle moto GP di tutti i tempi.

Ciò grazie anche alla qualità dei suoi piloti: in primis Silvio Grassetti (cui va l’onere e l’onore del debutto e del primo travagliato step di sviluppo della plurifrazionata nel triennio 1961-62-63); Tarquinio Provini (un mito, ex Mondial, MV Agusta, Morini, il più tecnico e innovatore, il più vittorioso e sfortunato per l’incidente del 25 agosto 1966 al TT inglese); Renzo Pasolini (il più amato e coriaceo, l’anti Agostini); Amilcare Ballestrieri, Walter Villa, Eugenio Lazzarini, Angelo Bergamonti, Remo Venturi, Gilberto Parlotti, Phil Read – Santiago Herrero, gran test a Modena senza seguito per la successiva morte dello spagnolo al TT – e Kel Carruthers.

Chi scrive ritiene la Benelli 250 “4” nero fumo o grigio-bomba di Tarquinio Provini (anche) la più bella moto da corsa di tutti i tempi, con Tarquinio sopra, il binomio stilisticamente perfetto. Ma torniamo indietro. La Benelli, in piena guerra, nel 1940, si era già cimentata nella quarto di litro, con il quattro cilindri col compressore (210 cavalli/litro!). Stavolta, 20 anni dopo, oltre alle italiane MV Agusta, Morini, Ducati, Aermacchi, alle spagnole Bultaco, Montesa, Mototrans, alle cecoslovacche Cz e Jawa, e alle tedesche MZ ex Dkw, sono in campo in gran forza i giapponesi (Honda, Yamaha, Suzuki) e la moto pesarese è in assoluto la più innovativa e promettente dell’industria italiana ed europea.

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Il prototipo fu presentato ufficialmente a Pesaro nel giugno 1960: il primo “evento” in cui il motociclismo divenne anche show. Servizi e interviste furono pubblicati in Italia e nel mondo, alimentando un interesse che sbloccò lo stato di difficoltà delle corse. La macchina, vista da vicino, esprimeva un senso di potenza e incuteva davvero timore. Il rombo prodotto dai quattro megafoni fatti a mano col martello da una lastra piana, era davvero un crescendo rossiniano. Anche tecnicamente era accattivante. Invertendo la tradizione corrente, i quattro cilindri (alesaggio e corsa di mm 44 x 40,6 = 247,2 cc) sono con asse verticale, raffreddamento ad aria. Fusioni in lega leggera speciale.

La distribuzione a due alberi in testa, con due valvole inclinate per cilindro e molle valvole elicoidali (il quattro valvole arriverà con Pasolini, ci fu anche un tre valvole) è comandata da un treno di ingranaggi centrali, la trasmissione primaria è affidata a una coppia di ingranaggi con il minore posto sull’albero a gomiti fra il primo e il secondo cilindro di sinistra. Frizione a secco, cambio a sei marce (poi a sette e test con l’otto marce), alimentazione con quattro Dell’Orto da 20 mm., accensione a batterie con quattro bobine e ruttore quadruplo, lubrificazione a carter secco e serbatoio dell’olio separato. Il telaio, evoluzione di quello della mono bialbero, è in tubi a culla doppia inferiore, freni integrali in lega con l’anteriore a quattro ganasce (con Provini la prima moto GP con freni a disco) e doppia leva di comando, pneumatici da 2,50 x 18” davanti e 2,75 x 18” dietro. Peso, 122 kg. Potenza di questo primo propulsore: 37 CV a 12.500 giri, velocità con carenatura in alluminio, oltre 220 kmh: quindi top mondiale per la categoria.

La 250 “4”, riveduta più volte e poi completamente rifatta, fu sempre protagonista nella lotta per la vittoria e per il podio, e sette anni dopo, nel 1969 (anno in cui Grassetti diventa vice campione del mondo della 350 con la Jawa 4 cilindri 2 t. ufficiale dietro ad Agostini MV Agusta), con l’australiano Kel Carruthers, conquistò il titolo di campione del Mondo. Merita ricordare i protagonisti di quel progetto, una avventura straordinaria.

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Innanzi tutto l’ing. Aulo Savelli, che, oltre a curare il bialbero mono 250, su indicazione dell’Ing Giovanni Benelli iniziò a scarabocchiare fogli della “4” fin dal 1958, passando in due anni dalla carta alla pista. Un team ristretto ma affiatato, il tecnico Armaroli, i vecchi motoristi dell’epoca di Dario Ambrosini, Filippucci e Maroccini, il telaista Ivo Mancini, quindi le nuove leve, con Primo Zanzani ex deus ex machina Motobì corse, un giovanissimo Giancarlo Cecchini, poi l’era Provini con capo Omer Melotti e sempre Cecchini uomo “d’oro”. Giovanni Benelli comandante supremo, Mimo Benelli organizzatore generale, Paolo Benelli (figlio dell’indimenticabile Tonino) e il conte Innocenzo Nardi Dei, comandanti in campo.

Una decina di meccanici e, soprattutto, una intera fabbrica di oltre mille persone a “disposizione” del reparto corse. Un qualcosa di straordinario, oggi impensabile. Dal 1962 al 1969 la 250 “4” ha tagliato il traguardo 150 volte: 50 vittorie, di cui 10 iridate, decine e decine di podi e giri record, vittorie al TT e in gare internazionali. Un titolo mondiale (Carruthers), 5 titoli italiani (2 Provini, 2 Pasolini, 1 Grassetti), sempre sul podio. Nell’ultima versione il motore erogava oltre 55 Cv a quasi 17.000 giri (ma tirava fino a 20.000!), con la moto a oltre 250 Kmh.

Non contenti, alla Benelli preparavano in gran segreto l’arma che forse avrebbe domato i giapponesi: la 250 8 cilindri aV! Ci pensarono i nuovi regolamenti a tarpare le ali ai sogni della gloriosa Casa del Leoncino.

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