Amarcord, quando le corse uscivano dal “letargo” dopo la Befana

Amarcord Moto - Occorre attendere ancora prima di tornare a parlare di corse e di piste. Forse in passato era meglio...

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 5 gen 2015
Amarcord, quando le corse uscivano dal “letargo” dopo la Befana

Una volta, dal dopoguerra agli anni ’70, le corse di moto entravano in un lungo letargo invernale, come se non esistessero più. Il motomondiale terminava di solito agli inizi di settembre con il GP d’Italia a Monza, poi, dopo il boom delle moto del Sol Levante, con il GP del Giappone ad ottobre.

In Italia la stagione internazionale si chiudeva con le due ultime gare autunnali – quasi sempre soleggiate – di Vallelunga (Roma) e di Ospedaletti (San Remo). Poco o nulla si sapeva delle corse in Sud Africa, a dicembre, dove mai partecipavano piloti o case italiane. Quindi da ottobre ai primi di gennaio, per tre mesi, il motociclismo si “spegneva” come non ci fosse mai stato e mai dovesse tornare.

Erano davvero altri tempi, con la televisione (Rai) che non nominava più il motociclismo, con i quotidiani altrettanto assenti, con le due righe nascoste che apparivano raramente sulla Gazzetta rosea. Si attendeva come la manna l’uscita in edicola del mensile Motociclismo ma anche sul grosso periodico milanese, in bianco e nero, le corse tornavano solo con il numero di marzo, con una (scarna) presentazione sulla nuova stagione agonistica.

Il vero letargo durava “solo” tre mesi perché dopo la Befana (6 gennaio) iniziava la conta sul calendario in … vista del 19 marzo, per l’attesissima apertura tricolore (aperta ai big del motomondiale) nel vecchio e spettacolare autodromo (aerodromo per la precisione) nel cuore di Modena, all’ombra della Ghirlandina.

Era, per i veri appassionati, come la stecca del soldato: ogni giorno spuntare dal calendario i 71 giorni (dal 6 gennaio al 19 marzo) che ci dividevano dall’agognata “prima”. A dire il vero c’erano zone dove il letargo era meno rigido, in particolare le cattedrali del motociclismo dove trapelavano notizie su che succedeva nei reparti corse, nei team, ai piloti. Le indiscrezioni e i si dice si rincorrevano animando, specie in alcuni moto club storici le lunghe serate invernali.

Le cattedrali di cui sopra si contavano nelle dita delle due mani, presenti laddove sorgevano Case e Team o dove risiedevano i piloti più famosi. Dopo il ’57 e il forfait di Guzzi, Gilera, Mondial, fino agli anni ‘70 in Lombardia tenevano alta la bandiera MV Agusta (Cascina Costa), Aermacchi (Varese), Bianchi, Parilla, Paton (Milano), Rumi (Bergamo); in Emilia: Morini e Ducati (Bologna), poi Minarelli ecc, Villa (Modena); nelle Marche: Benelli e MotoBi (Pesaro) poi Morbidelli, Mba ecc. Attorno a questi “santuari” fiorivano team, soprattutto impegnati nelle categorie juniores 125, 175, 250 con piloti su MotoBi, Ducati, Morini, Aermacchi, Bianchi, Parilla ecc.

Tuttavia questi “templi”, se non proprio cattedrali nel deserto, erano a “porte chiuse”, di fatto isolati dagli stessi appassionati e soprattutto dal grande pubblico, poco interessato alle corse.

In questo quadro, Pesaro rappresentava l’eccezione, per la presenza da decenni di una grande Casa come la Benelli e, oltre per il fiorire di numerosi team, per il gran giro di piloti, alcuni famosi e di livello mondiale. Il Moto Club era anche il circolo cittadino, cui confluivano appassionati e non, di ogni età e ceto sociale, tutti uniti nel portare avanti il sodalizio. La nicchia degli aficionados “puri” era allietata dalla presenza in loco – nel dopo cena – di tecnici e meccanici (alcuni tutt’ora in gran forza nel motomondiale!) del reparto corse e del reparto esperienze, gente dalla bocca cucita ma non sempre in grado di resistere al fuoco di domande di chi voleva sapere cosa bolliva in pentola. Così passava l’inverno in attesa della ripresa delle ostilità in pista.

Mille i ricordi. Qui si fa cenno a una fase particolare, quando alla fine degli anni ‘50 la Benelli lavora per sostituire il brillante 250 bialbero monocilindrico 4 T. GP (grandi corse di Silvio Grassetti, Mike Hailwood, Goffrey Duke, Dik Dale, guidate anche da Bruno Spaggiari, Giuseppe Visenzi ecc.) approntando in gran segreto la inedita quarto di litro 4 cilindri 4 T.

Nell’inverno 1959-1960, in particolare fra Natale e Capodanno, per molte ore, specie di notte, la città ode per la prima volta le “note” del nuovo motore che gira senza sosta sul banco prova. E’ l’inizio di un sogno collettivo. Per molte volte al giorno si formano spontaneamente capannelli di aficionados e curiosi (compreso l’estensore di queste note, all’epoca coi calzoni corti ..), che stazionano davanti i cancelli d’ingresso di Viale Mameli.

Dopo tanto “rumore”, ai primi di febbraio, il … “miracolo”. In un fine pomeriggio nebbioso la fortuna premia chi (sottoscritto compreso) non aveva mai mollato la postazione: un giovanissimo Silvio Grassetti, attorniato dall’intero staff capeggiato dal direttore sportivo Paolo Benelli (figlio del grande pilota Tonino) esce dal capannone del reparto corse in sella al nuovo bolide senza carenatura. Una spinta e, per la prima volta, l’urlo rabbioso del nuovo motore si fa sentire tra gli applausi e gli urrà dei presenti. Solo pochi giri nell’anello (con curva rialzata) interno della fabbrica, ma quanto basta per bloccare il traffico della adiacente strada nazionale.

Era, al di là del calendario, l’addio al letargo, l’inizio della nuova primavera. Ed era così che ci si avvicinava al fatidico 19 marzo, pronti per la trasferta di Modena. Il motociclismo rifioriva.

Ultime notizie