SBK e MotoGP, quando arrivano i “nostri”?

Un solo italiano (pilota) è salito sul podio ieri nel round australiano della Superbike e Supersport. Aspettando di capire cosa accadrà nel Motomondiale, ci è sembrato pochino...

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 23 feb 2015
SBK e MotoGP, quando arrivano i “nostri”?


A Phillip Island è stato il 27enne bresciano Lorenzo Zanetti a tenere alta la bandiera italiana, unico pilota tricolore a salire sul podio australiano, seppure “solo” nella Supersport, con una sonante vittoria che ha regalato alla MV Agusta (grazie anche al successo di Jules Cluzel) una storica doppietta. Ieri sul podio dei due primi round iridati Superbike nessun italiano e oggi nei test della MotoGP a Sepang le speranze azzurre sono affidate al “veterano” Rossi, senza nulla togliere ai ducatisti Dovizioso e Iannone.

Certo, in Australia il forfait per incidente di Davide Giugliano ha pesato negativamente, togliendo alla pattuglia tricolore la sua punta di diamante. Fatto sta che gli italiani faticano ancora, in una Sbk adesso marcata dai piloti di lingua inglese (e non solo) e in una MotoGP dominata dagli spagnoli.

Dove sono i “nostri” a livello internazionale? Ci sono e sono bravi anche se viviamo sostanzialmente in una fase di passaggio. Basti pensare che nella Moto3 iridata 2015, spettacolare categoria fucina di “giovani leoni”, gli italiani sono 9, fior di piloti in grado di lottare per podio e vittoria in ogni gara e per il titolo.

Ma non è tutto oro quel che luccica, perché la crisi economica morde forte e non sono pochi i (nostri) piloti che faticano a trovare un manubrio adeguato, nell’epoca dei corridori con la “valigia”. Per decenni, dopo il dopoguerra, chi voleva correre in moto aveva due specialità da scegliere, la velocità e il cross (trial, speedway ecc erano per pochi appassionati). Poi dagli anni ’80, la Sbk di velocità, con le derivate di serie. Oggi i (migliori) giovani/giovanissimi piloti (italiani, ma non solo) si trovano davanti al dilemma: tentare l’avventura con i prototipi (sostanzialmente Moto3 GP per il miraggio della premier class passando magari per l’ibrido Moto2) o puntare sulle derivate di serie (Supersport ecc.) con lo sbocco verso la Sbk?

Certo, la storia dimostra che non sono stati pochi i piloti a fare “avanti e indietro” nel tentativo di prendere il treno giusto. Ma quanti, così facendo, hanno davvero sfondato? Il motociclismo a livello mondiale è di fatto uno sport a numero chiuso e arrivarci è diventato estremamente difficile: ci vuole tanto talento, tanta fortuna e non solo.

Una volta, la vittoria di un titolo italiano permetteva l’accasamento da pilota ufficiale e la partecipazione al mondiale. Ubbiali, Provini, Venturi, Grassetti, Agostini, Pasolini, Villa, Bergamonti, Pagani ecc lo dimostrano. E oggi?

Chiedere, ma è solo l’ultimo in ordine di tempo, a Manuel Pagliani, giovanissimo brillante campione italiano 2014 Moto3 GP nonché protagonista della Red Bull Cup, pronto per il mondiale o, almeno per il mondialino Cev Moto3, invece approdato nei lidi dell’Europeo Supersport, ed è già una fortuna, visto la moto e il Team di altissimo livello. Siamo davvero certi che Manuel è più interessato alle derivate di serie che ai prototipi?

Solo per la privacy e per non alzare inutili polemiche non facciamo altri nomi: ma sono molti i piloti come Pagliani, anzi, in condizioni ben peggiori. Il salto diretto dell’australiano Jack Miller dalla Moto3 alla MotoGP rientra nel classico filone dell’eccezione che conferma la regola.

Vogliamo solo dire che oggi abbiamo piloti italiani di 15-16-17-18 anni degni di partecipare ai campionati internazionali, mondiali compresi. Molti di questi ragazzi sono costretti a mordere il freno, in attesa del colpo buono. Ma, si sa, il treno passa. E molti dei nostri si ritrovano poi, a piedi.

Ecco perché non è facile ascoltare sul podio iridato l’inno di Mameli e veder sventolare il tricolore.

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