Storie di strade, di uomini, di moto e di passione
In occasione dell’ultima presentazione Aprilia del nuovo modello di Tuono Factory, ho avuto la fortuna di poter avvicinare con mano ed in modo più diretto di quanto mai fatto in passato l’atmosfera e le emozioni che si respirano durante le gare in salita.
Un fenomeno molto diffuso fino al decennio scorso e che ultimamente si va assottigliando; le competizioni di questo tipo, infatti, vanno via via sparendo insieme a tutto quanto concerne le competizioni motociclistiche su strada.
In questo caso il tracciato protagonista della prova organizzata da Aprilia è stato quello della salita Levico-Vetriolo che dal cuore della Valsugana porta a salire fino a oltre 1.500m s.l.m. lungo un costone del monte Vetriolo.
Circa sette chilometri di strada di montagna appositamente chiusa al traffico, esattamente come in configurazione gara, commissari lungo le curve e balle di paglia all’esterno della maggior parte delle curve, mentre le moto salivano una per volta sempre come la gara.
Per fortuna però non utilizziamo i transponder e a nessuno viene in mente di tirare fuori un cronometro.
Curve veloci in salita da percorre spesso “in pieno” e con poca visibilità, curve alternate a stretti tornanti con forte pendenza seguiti da allunghi poderosi su rettilinei che si distendono tra fitti boschi dove il sole filtra con molta fatica.
Qui saggiando le potenzialità delle Tuono Factory era possibile spingersi un pochino oltre rispetto ad una classica strada aperta al traffico, ma sempre con moderazione, soprattutto quando la velocità iniziava a salire.
Il primo freno inibitorio arriva infatti dalla difficoltà che un motociclista stradale avverte quando si prova ad affrontare una curva veloce dalla bassissima visibilità sfruttando tutta la strada. Sfruttare tutta la strada equivale a dire: tagliando all’interno della curva in fase di inserimento durante le svolte a sinistra.
La seconda spia di pericolo che arriva al cervello del pilote giunge dalla vicinanza alla sua traiettoria dei lunghi guard rail o dei muri posti al lato della carreggiata.
Infine il costone della montagna direttamente a picco sul bellissimo panorama della Valsugana non risultava troppo rassicurante soprattutto durante le più decise staccate in discesa. Meglio godersi lo stupendo panorama quindi e moderare un pochino l’andatura.
Questa è forse la classica sindrome del motociclista moderno, alla quale categoria non nego di appartenere, noi figli dei numerosi turni in pista e abituati a spingere forte solo trai cordoli di un circuito, abbracciati da confortanti spazi di fuga, non siamo mentalmente abituati a procedere a gas spalancato tra muretti e guard-rail. Magari stiamo una vita a pensare che bello sarebbe avere una bella strada tortuosa chiusa al traffico e tutta per noi, e poi quando ce l’abbiamo siamo li a trovare tutte le scuse del caso scovandovi tutti i problemi del mondo.
Ok la strada è chiusa, non viene nessuno dall’altra parte, ma quando manca la visuale e non vedo tutta la strada non riesco proprio a sfruttare la corsia opposta soprattutto a gas spalancato, bisogna infatti esercitare una sorta di violenza su stessi e combattere contro quell’automatismo che ci porta a chiudere istintivamente il gas. Stesso discorso per la presenza ravvicinata di muri e guard-rail.
Situazioni queste in cui, con mio grande stupore, si trovano perfettamente a loro agio due miei eccezionali compagni di avventura.
Proprio grazie alle loro storie e ai loro racconti riesco a vivere appieno l’atmosfera della gara in salita ed apprezzare tutto il suo fascino, addirittura in modo maggiore rispetto a quanto fatto in sella alla tuono.
Non è una questione di coraggio, che può essere sempre tirato fuori, ma una questione di forzare se stessi in modo innaturale, il tutto senza nessun fine ultimo da raggiungere.
Decido così di godermi la Tuono per una bella passeggiata veloce in salita e se proprio devo cercare il sapore di qualche bella piega lo faccio in quelle più lente e dalla migliore visibilià, idem per le accelerazioni..
Poi nei lunghi rettilinei in salita con la strada libera e tutta per me si va via in monoruota puntando a volte il cielo e a volte gli alberi..
Il tutto a velocità certamente minori rispetto a quando sei schiacciato in carena ma comunque molto più emozionanti. Idem per qualche stoppie, realizzato nel tratto di strada chiusa in coppia con il compagno Emanuele, mentre il bravissimo fotografo Marco Campelli immortalava a “raffiche” le nostre situazioni più particolari, nonostante i pochi passaggi effettuati davanti al suo “occhio meccanico”.
Il sapore della gara e della competizione preferisco invece riviverlo dentro le storie dei miei due compagni, entrambi grandi esperti delle gare in salita più impegnative così come delle corse su strada.
Da loro apprendo i particolari delle “corse vecchio stile” e grazie ai loro racconti trascinanti e ai piccoli aneddoti che hanno diviso con me mi immergo in una atmosfera da altri tempi il tutto con grande trasporto e ammirazione.
Uno di loro è Mario Lega (campione del mondo classe 250cc nel lontano 1977) grande amico e mio punto di riferimento per tutto quello che riguarda la storia e le esperienze dei piloti VERI di qualche anno fa, piloti abituati a correre a pieno gas in condizioni di sicurezza totalmente impensabili per il motociclismo di oggi.
Le potenze e le velocità massime ai suoi tempi non erano troppo lontane da quelle di oggi, con la differenza che telai, freni e gomme erano all’incirca quelli di un ciclomotore.
Il secondo è Ivo Arnoldi, personaggio schietto e limpido, mite nei modi e nel comportamento, nativo della Valsugana e attuale detentore di tutti i record velocistici sulla Levico-Vetriolo. Anche lui ha superato i quaranta ma ha ancora la voglia e l’emozione di andare in moto di un quindicenne, esattamente come Lega.
Ivo è un pilota ancora in piena attività, impegnato nel mondiale Endurance, velocissimo su qualsiasi tipo di tracciato dal circuito ai percorsi stradali.
È cresciuto agonisticamente proprio su gare stradali come questa, un mago tra muretti e gurd-rail un gigante nelle gare in salita.
Sale in moto con il solito atteggiamento sobrio e pacato che mostra quando siamo seduti a parlare intorno a un tavolo.
Una volta abbassata la visiera del casco però viene a galla tutta la sua voglia di correre che si mischia con quella scarica di ordinaria follia con cui tutti i piloti più veloci sono normalmente abituati a convivere.
Da lui ho ascoltato con trasporto le mille storie e gli aneddoti legati alle varie partecipazioni a gare in salita come questa, da quella volta in cui in prova, piegando un po’ troppo con il Suzuki Gamma 500 la moto ha fatto leva sulle espansioni degli scarichi allargano la traiettoria e finendo la sua corsa in modo un po’ rovinoso.
Oppure di quando: “mi è scoppiato il motore della FZR 1000 ex-up mentre salivo forse un po’ troppo veloce!”…
Fino alla emozione mista a paura che ti assale quando sei solo alla sbarra di partenza pronto a partire verso la tua personale sfida con la montagna.
Pronti via, poi alla prima curva non ti ricordi più se sei su strada o in pista e pensi solo ad arrivare su in cima il più veloce che puoi.
Se lo dice lui…