Corse e rischi: Martinez e Fernandez gli ultimi piloti deceduti. E 40 anni fa…
Amarcord - I piloti morivano nelle corse anche quarant'anni fa. Negli anni '70 persero la vita diversi piloti...
I lutti, nel motociclismo, vengono “metabolizzati” in gran fretta perché, oggi come ieri, l’incidente mortale in gara non solo rilancia le polemiche sulla sicurezza dei circuiti ma rimette in discussione le corse stesse. La domanda è sempre la stessa: si deve continuare a correre, o no? Paradossalmente l’incidente non è l’eccezione perché le corse di moto restano uno sport ad alto rischio. Caso mai, grazie ai grandi passi avanti fatti in tema di sicurezza, rispetto a ieri, oggi le conseguenze delle cadute sono meno devastanti e la caduta mortale è davvero una eccezione, anche se non eliminabile.
Le riprese televisive appiattiscono quel che avviene in circuito e non rendono chiaro il livello del rischio reale che i piloti corrono. Un solo esempio: chi ha visto dal vero e da vicino all’autodromo del Mugello i piloti della MotoGP (vale anche per le altre categorie) sfrecciare in piega nella zona traguardo ben oltre i 300 Kmh comprende bene quanto tutto sia legato a un filo di lana. Più o meno è così da sempre e vale sostanzialmente per ogni circuito: più si alza la media sul giro e più il rischio aumenta.
L’incidente di domenica scorsa nella Superstock 1000 a Laguna Seca che ha causato la morte del 35enne Bernat Martinez e del 27enne Daniel Rivas Fernandez, oltre al dolore e alle condoglianze, rientra in un elenco che ogni anno si allunga. Fa male dirlo ma è così. Torniamo indietro per capire che i decenni passano ma la sostanza non cambia.
Esattamente 40 anni fa, nel 1975 (l’anno del 15esimo titolo iridato di Agostini), il motociclismo tornava sulle prime pagine per i lutti e per gli incidenti.
Dopo una caduta a Imola moriva il romano (di Colleferro) Tommaso Piccirilli coinvolto in una carambola con il ferrarese Vinicio Salmi, salvo per miracolo, dopo mesi di ospedale e l’addio alle corse. A Misano perdeva la vita lo spezzino Luciano Rossi. A fine luglio moriva al Mugello il veneto Carlo Fiorentino. Quindi a Civitanova toccava al parmense Giuseppe Lunardi. Questi gli italiani, tralasciando i numerosi feriti. Fra gli stranieri, perdevano la vita al TT gli inglesi Phil Gurney ePeter Mc Kinles. Al Bol Dor moriva il giapponese della Honda Morio Sumirava. Fra gli infortunati della stagione, più o meno gravi, ricordiamo: Gianfranco Bonera, Barry Sheene, Teuvo Lansivuori, Otello Buscherini, Walter Villa, Paolo Pileri, Pier Paolo Bianchi, Johnny Cecotto, Phil Read ecc.
E due anni prima, nel 1973, la tragedia di Monza con Pasolini e Saarinen e poi 15 giorni dopo, sempre nel curvone della pista brianzola, la morte di Carlo Chionio, Renzo Colombini, Renato Galtrucco. L’anno prima nel 1974, ad Abbazia moriva Billie Nelson e l’anno successivo al 1975, cioè il 1976, (16 maggio Mugello GP Italia) morivano Otello Buscherini e Paolo Tordi; nel 1977 (3 aprile Imola 200 Miglia) Pat Evans (Yamaha), (1 maggio Salzburgring) Hans Stadelmann (Yamaha), (18 giugno Ryeka) Giovanni Ziggiotto (Harley Davidson).
E ci fermiamo qui, limitandoci a questo lasso di tempo attorno a 40 anni fa. Ribadiamo quanto già scritto su Motoblog:
“Eliminare completamente i pericoli delle corse è impossibile perché c’è l’imponderabile legato all’errore umano, al fato sfavorevole, ai marchingegni elettronici a volte in tilt. Chi rischia sono i piloti che non contano (quasi) nulla in tema di sicurezza anche perché non sono mai stati in grado di esprimersi con un livello minimo di unità, quindi di credibilità: ognuno pensa a se stesso, al proprio tornaconto. Dare ad ex piloti i galloni di consulenti sulla sicurezza è spesso un modo per mettersi la coscienza a posto, quando non addirittura strumentalizzarli, dicendo di cambiare tutto per non cambiare niente. Ci ripetiamo: le corse non sono una corrida, i piloti non sono gladiatori, i mezzi non sono strumenti offensivi. Ma occorre equilibrio: la ricerca della massima sicurezza possibile non può portare allo snaturamento delle competizioni motoristiche, che erano, sono e resteranno “rischiose”.