MotoGP Misano, i “soliti” fan puntuali con l’applauso sbagliato. Ma i 100 mila meritano rispetto

Grande affluenza di pubblico per il Gran Premio di San Marino e della Riviera di Rimini. Oltre 100 mila hanno affollato il circuito di Misano

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 14 set 2015
MotoGP Misano, i “soliti” fan puntuali con l’applauso sbagliato. Ma i 100 mila meritano rispetto

I 100 mila sugli spalti di Misano sono una grande realtà del motociclismo e vanno rispettati, al di là del colore del cappellino in testa. Chi è lì in tribuna o sui terrapieni, sotto il sole che picchia o sulla terra bagnata, dopo aver fatto centinaia di chilometri per lo più in moto e pagando fior di quattrini di tasca propria, è l’espressione di un rito che viene da lontano, la testimonianza concreta di una forte passione.

I 100 mila sono un valore del motociclismo e senza questa presenza reale, non virtuale, le corse sarebbero altra cosa. La “massa” si muove perché sente l’evento e dentro l’evento ognuno si identifica con un “suo” campione, è spinto a essere lì a bordo pista per dire poi: “io c’ero”. E’ così dai tempi di Nuvolari ed è così oggi, con Valentino Rossi, in una epoca dove la comunicazione è globale, fuori dal tempo e dallo spazio. Cambiano vincitori e vinti ma il pubblico reale resta protagonista, di fatto il vincitore vero.

C’è poi, sempre, l’altra faccia della medaglia dove i coriferi di turno soffiano sul fuoco della polemica alimentando il fiorire di clan che poco o nulla hanno a che fare con la passione, con lo sport, con lo stesso campione/totem. Questa faccia della medaglia è quella dell’esultanza quando l’avversario dell’idolo dei clan cade o rompe il motore, per non dire dei fischi, sfottò e così via.

Va anche detto che non sempre c’è l’intenzione di “infierire” perché di fronte a un pilota che sta rovinando a terra scatta naturale una esclamazione (di meraviglia e anche di apprensione) che, moltiplicata per 100 mila, diventa un boato. Ma sono davvero pochi quelli che in questi casi “godono” realmente nel vedere il pilota a terra, magari esanime.

Ieri a Misano, non solo puntuali come un treno svizzero sono arrivate sul circuito dopo una mattina assolata le classiche quattro gocce di pioggia che hanno reso rocambolesca una MotoGP già “tirata”, ma è giunto in tempo reale anche l’applauso di chi esulta per la caduta di un pilota considerato “nemico”. Appunto. Capita ovunque e capita da sempre, si dirà. E soprattutto avviene in molti altri sport, a cominciare dal calcio, dal pugilato e così via. Lasciamo agli altri gli altri sport e accontentiamoci del “nostro”.

Il tifo, anche il più acceso (comunque valgono sempre regole del vivere civile e del rispetto) non può essere demonizzato, a meno che non crei davvero danno ai diretti interessati, sui campi di gara o sugli spalti. Lo sport è parte essenziale della natura e della storia dell’uomo, e in quanto tale comporta e ha sempre comportato “storicamente”, anche uno spirito di forte partecipazione, al limite della “violenza”. A un evento sportivo il pubblico partecipa godendo non solo dello sport in sé, ma anche prendendo parte per l’uno o l’altro dei suoi protagonisti.

L’attore Brad Pitt incontrando giorni fa Valentino Rossi esaltava la MotoGP e i suoi piloti definiti “gladiatori”. Una forzatura? Sì, perché se ci sono i gladiatori nell’arena c’è sugli spalti un pubblico che vuole il .. “sangue”.

Nella lotta a due il sommo Omero scriveva: “s’udiva terribile scricchiolar di mascelle” e la gente spesso non si limitava ad applaudire o a fischiare ma scendeva nell’arena a… menar le mani. Poi, però, nella micidiale hoplomachia, il rischio di morte è tale che, quando Diomede sfiorò con l’asta il collo di Aiace da sopra lo scudo, allora, “molto impauriti gli achei vollero che smettessero e avessero premi uguali”.

Ieri è stato giusto far salire Rossi sul podio e non servono spiegazioni. Mike Hailwood al TT volle con sé sul podio Giacomo Agostini tradito dalla catena della sua MV Agusta 500. Idem Agostini a Monza con Mike, ko per la rottura del cambio della sua Honda. E la folla all’epoca applaudì. Ma torniamo a noi.

Ieri a Misano con Lorenzo, si è ripetuto quanto già accaduto nel 2014 (con Marquez): caduta del “nemico” salutata con applausi di scherno con contorno di fischi e della litania “scemo!scemo!”. In questi casi basta un gruppetto di scalmanati a fare partire l’orchestra. Una domanda. Nel 2015, il regolare pagamento del biglietto d’ingresso dà (anche) il diritto del fischio o dell’applauso per esultare delle disgrazie del malcapitato di turno, il “nemico” del nostro amato campione, finalmente caduto dagli altari alla polvere?

Si può capire, a volte, l’ironia, anche pesante. Ma c’è sempre un limite, specie quando come nel motociclismo il pilota – nessuno escluso – rischia la vita: merita, (quando non è il nostro beniamino), se non l’applauso quando vince, il rispetto del silenzio quando rovina a terra.

Per decenni, quando un pilota finiva a terra con botte micidiali contro balle di paglia e guard-rail tutti i presenti trattenevano il respiro e poi, se e quando il malcapitato tornava in piedi a salutare, veniva sommerso dagli appalusi (liberatori) di incoraggiamento e di stima di tutti i presenti, nessuno escluso. Quando, dopo la gara, c’era il giro d’onore tutto il pubblico appaludiva ogni pilota, dal primo all’ultimo.

Oggi, soprattutto in Italia, non è più così. Perché? E’ anche un fatto culturale più generale che va ben oltre il motociclismo e ben oltre lo sport dove si coltiva la logica del… nemico. Certo è che i media contano nell’orientamento dei tifosi. Ci vuole onestà intellettuale e autocritica. Un pilota che cade, quando si rialza merita un applauso di incoraggiamento, non di scherno. Se proprio uno vuole sfottere, resti a casa. Costa meno. Chi fa sarcasmo o esulta per la caduta dell’avversario non solo è antisportivo, è semplicemente un idiota. Dentro un circuito e fuori, nella vita.

Le mele marce, anche quando sono molte, non meritano di rovinare la festa dei 100 mila.

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