MotoGP post Sepang, la trappola delle Crociate per la “guerra patriottica”
Tutta l'Italia parla (a volte a sproposito) di Valentino Rossi e del contatto con Marquez di Sepang
Gli strascichi polemici dopo il “fattaccio” di Sepang con il contatto fra Valentino Rossi e Marc Marquez non si placano, hanno superato i confini del motociclismo diventando quasi un fatto di Stato. In Italia, spesso ultimi su questioni di sostanza e anche troppo solerti sulle questioni di cornice, sono scesi in campo persino Giovanni Malagò, il presidente del Coni malandato e addirittura, con una telefonata da Lima in Sudamerica, il premier di un governo tenuto insieme col cerotto, Matteo Renzi.
Questi due interventi sono l’iceberg di mille e mille prese di posizione di “personalità” di vario genere (dal mondo della politica a quello dello spettacolo) che non hanno nulla a che vedere con il motociclismo, gente che per lo più strumentalmente, assegna assoluzioni e condanne unilateralmente schierandosi quasi in toto con chi in Italia (e non solo)… “conta” più del Papa.
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Intendiamoci, ognuno può esprimersi liberamente: qui vogliamo solo mettere in rilievo la inopportunità e la strumentalizzazione di certe prese di posizione e soprattutto il fatto che non è vero che questo can can mediatico “aiuti” il motociclismo perché oggi è sulla bocca di tutti. No, in queste ore il motociclismo mette in scena una dei suoi aspetti peggiori e, così, non è difficile accumularlo ad altri sport dove il risultato è pilotato da interessi che poco o nulla hanno a che fare con la vera e sana competizione sul campo. Sull’altro fronte della barricata, in Spagna – più o meno – sta accadendo a parti invertite quel che accade nel Belpaese.
Insomma, si soffia sul fuoco per alimentare una “guerra patriottica”, non fra appassionati ma fra fanatici, organizzando schieramenti (addirittura con tanto di petizioni!) per nuove “Crociate”. E’ già accaduto in altri sport, ad esempio nel calcio e i risultati, disastrosi avvilenti, sono sotto gli occhi di tutti. Ci ripetiamo: è inutile rinvangare il “fattaccio” di Sepang fra l’italiano e lo spagnolo perché spaccando e rispaccando il capello ognuno rimane della propria opinione, a mo’ di fan di questo o quello, potendo solo prendere atto della sanzione dei giudici di gara, troppo pesante per alcuni e troppo leggera per altri.
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Evidentemente quelle sanzioni hanno dimostrato la fragilità e l’incompetenza di chi ha in mano questo complesso costoso e rischioso sport, sempre più nella spirale dello show-business, una dorata mucca da mungere grazie ai diritti televisivi internazionali. Il paddok del motomondiale (o meglio quello della MotoGP) è la meta agognata, la terra promessa da raggiungere (per i piloti ma anche per il variegato mondo che è cresciuto attorno, fino alle … ombrelline) a qualsiasi costo: tutto è concesso ai padroni del vapore (leggi la multinazionale monopolistica Dorna, proprietaria del Motomondiale, del mondiale Sbk e del Cev-mondialino spagnolo) perché sono questi padroni del vapore che creano e alimentano la torta e la distribuiscono fino all’ultima briciola per l’ultimo “personaggio” che per un pass venderebbe la… nonna.
Torneremo su questi argomenti, per vagliare un mondo di grandi professionalità tecniche ma anche di grandi improvvisazioni, dove la passione è solo una maschera per fare business, dove in troppi passano da un “mestiere” a un altro (es, da meccanico a comunicatori, da piloti a manager…) e dove la logica del clan imperversa. Ciò detto, c’è un punto da chiarire perché è quello da cui parte tutto questo “casino” e dove il ragionamento di Valentino Rossi non sta in piedi. Il motociclismo è sport individuale ma tutti i piloti, sempre e a tutti i livelli, dal primo all’ultimo di ogni gara, partono per vincere: per vincere la corsa, per vincere il campionato, comunque per andare più forte possibile, per arrivare più avanti possibile.
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Ovvio che poi nei fatti questo è un obiettivo solo per pochi ma se l’ultimo pilota non sognasse di diventare primo, le corse finirebbero. Oltre che sport individuale, il motociclismo è sport complesso e di grande rischio, rischio inteso anche come “incertezza” del risultato: vince uno solo, quello che per primo taglia il traguardo! C’è la lotta con gli avversari, c’è il rischio di caduta per mille motivi (basta una goccia d’olio sull’asfalto), c’è il rischio della rottura meccanica e così via. La vittoria non è un terno al lotto ma è un traguardo davvero faticoso da raggiungere. Qui sta, ad esempio, il valore immenso dei 9 titoli mondiali di Rossi, conquistati metro per metro in corsa in anni e anni di gare. Ma, proprio per questi motivi, il motociclismo non fa sconti a nessuno, mai, neppure a chi, come in questo caso, si gioca il mondiale nell’ultimo round.
Non è una gara a cronometro con un pilota che parte per proprio conto, non è una gara a due dove gli altri concorrenti vengono fermati per dare spazio a chi si gioca il titolo, non si ferma il vento o la pioggia perché disturba i piloti. La lotta per il titolo non è la battaglia al Colosseo fra due gladiatori ma è una corsa con mille componenti che devono tutte quadrare, altrimenti vince sempre un altro. Quanti piloti – fra questi proprio Valentino Rossi – hanno perso il titolo iridato (magari proprio all’ultima corsa) per superare un … doppiato, per una goccia di benzina in meno nel serbatoio, perché (negli anni addietro) il motore non si è accesso dopo l’affannosa partenza a spinta, da fermo?
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Il motociclismo è bello per questo, per questa complessità e per queste e altre variabili, dove tutto o quasi è possibile e mai il risultato è scontato. Non è così perché anche nelle corse dei cavalli ci sono i complotti e i ballottini delle scommesse milionarie? Entriamo però in un’altra faccia della medaglia, dove si passa dallo sport al reato penale. A quel punto spetta ad altre personalità e ad altri livelli istituzionali entrare sulla scena.