Valentino Rossi: le irriducibili schiere, “pro” e “contro”

Il Rally-show di Monza è stata la nuova e ultima occasione (per adesso) per riattizzare il fuoco delle polemiche “pro” e “contro” Valentino Rossi.

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 1 dic 2015
Valentino Rossi: le irriducibili schiere, “pro” e “contro”

Se ce ne fosse ancora bisogno tutto ciò è la dimostrazione che, nel bene e nel male, il “Dottore” è il punto di riferimento per le tifoserie, sempre pronte ad approfittare di ogni evento per schierarsi in modo contrapposto. La questione è apparentemente semplice. Per gli “aficionados a prescindere”, anche a Monza sulle 4 ruote Valentino ha dimostrato di essere il number one, capace di vincere dovunque e comunque, in qualsiasi disciplina e contro qualsiasi avversario.

Per i “detrattori a prescindere” ancora una volta Rossi vince quando in campo non ci sono avversari degni di nota, quando dispone di mezzi superiori, quando intervengono gli “aiutini”, insomma ennesima vittoria col trucco. Siamo di fronte a una spaccatura verticale, una divisione non più componibile. Perché questo accade oramai da anni e proseguirà fino a quando il campione pesarese calcherà le piste? In primo luogo perché Valentino rappresenta l’identità stessa del motociclismo di questi ultimi 15 anni, è l’emblema vincente in pista e fuori, campione e show man, capace con le sue imprese e con il proprio carisma di entrare nell’immaginario collettivo spostando i confini del motociclismo, da sport di nicchia a sport di massa, in Italia secondo solo al calcio.

Questo fenomeno – almeno in Italia – non ha eguali non solo nel motociclismo ma in tutto lo sport ed è dovuto soprattutto ai media, alla televisione e a internet con i social network. Nel motociclismo, neppure uno come Giacomo Agostini – il più vittorioso al mondo con 15 titoli iridati e altrettanto carismatico – ha avuto una così vasta eco. Ciò vale anche per Fausto Coppi (ciclismo) o per Tazio Nuvolari (motori), due campioni entrati ai vertici dell’Olimpo dei “super”.

E’ il rimbalzo dei media moderni a fare la differenza: un conto sono 100 mila spettatori presenti una volta l’anno a una corsa sugli spalti di un autodromo, un conto sono ogni due domeniche per mesi 5 milioni di italiani (decine di milioni nel mondo) incollati davanti alla Tv e i milioni di smanettoni sulla testiera di un computer. E’ un po’ come nel meteo dove una piccola nuvola porta al massimo una pioggerella e dove un accumulo enorme di nubi produce un tifone.

La controprova? L’esempio dei grandi duelli Agostini-Pasolini a metà anni ’60, primi anni ’70. Anche allora le tifoserie erano fieramente divise. Ma si trattava di … “avanguardie” … territoriali, cioè le diatribe avvenivano “in diretta” soprattutto nei circuiti fra applausi e battute al vetriolo e nei Moto Club nelle lunghe serate invernali e/o dopo una gara, dove volavano non solo parole. Il nucleo di queste polemiche avveniva in Emilia Romagna fino a Pesaro e in poche altre sparute realtà in Lombardia, in Liguria, in Toscana, a Roma e poco più. Le eccezioni confermano la regola.

In decenni di gare, mai visto in un circuito fino all’era Rossi, un siciliano, un sardo, un calabrese, un abruzzese, pochissime le donne, inesistenti le anziane e i ragazzini ecc. Un esempio: per decenni, i pesaresi (da sempre appassionati di motociclismo) presenti da “spettatori” nei circuiti del motomondiale si contavano sulle dita di una mano mentre oggi quando c’è la diretta tv di una gara si blocca l’intera città. E’ così non solo a Pesaro.

In definitiva sono mutati completamente i parametri “qualitativi”, “quantitativi” e “geografici” della tifoseria del motociclismo con la medaglia a due facce e relativi fanatici e fanatismi. Questo post vuole solo dare un contributo al confronto, torneremo presto con altri esempi.

Ma vogliamo comunque ribadire la nostra posizione. Non ci accodiamo né all’una né all’altra delle fazioni perennemente in guerra: per noi Valentino Rossi, con i suoi pregi e difetti personali, era e resta uno dei più grandi campioni di motociclismo di tutti i tempi, cui va il merito (sì, è un merito!) di aver fatto appassionare alle corse anche mia zia 90enne. Ma Vale non è un dio, neppure un semi dio, nemmeno in pista: anche lui per essere vincente ha bisogno di un mezzo competitivo, e il biennio negativo in Ducati lo conferma.

Ma il motociclismo deve dire “Grazie Vale!” e guardare benevolmente le invasioni “gialle” che non fanno certo male al motociclismo. Fanno male gli “invasati”, ma di ogni colore. Tutto qui. Per adesso.

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