Motomondiale, quando l’attuale Moto3 “imbavagliata” dai regolamenti era la 250… “libera”

Storia della Classe 250 del Motomondiale soppressa dopo 60 anni di gloriosa storia.

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 5 gen 2016
Motomondiale, quando l’attuale Moto3 “imbavagliata” dai regolamenti era la 250… “libera”

Alla fine della stagione iridata 2009, come noto, la classe 250 viene soppressa dopo 60 anni anche se solo dal 2012 la nuova Moto3 “quarto di litro” monocilindrica 4 tempi la rimpiazza completamente non più in coabitazione con la 125 2 tempi, anch’essa eliminata. In questi ultimi quattro anni la nuova categoria ha avuto una forte evoluzione tecnico-agonistica, caratterizzandosi nel motomondiale – ma anche nel CEV, nel CIV e in altri campionati – come cilindrata spettacolare, utile per la formazione e per lo sviluppo delle nuove leve di piloti emergenti.

La vecchia 250 – dal 1949 al 1969 con motori anche super frazionati e dal 1969 al 2009 con motori massimo due cilindri – è stata la cilindrata al “centro” del motomondiale e di altri campionati, la vera categoria cerniera fra le piccole e la classe regina, con gli italiani (piloti e moto) sempre protagonisti, spesso trionfatori.

Infatti, solo accennando ai suoi ultimi 20 anni (dal 1991 al 2009) la 250 GP aveva portato all’Italia ben 11 titoli con Luca Cadalora (1991-1992) 14 anni dopo l’ultimo binomio italiano iridato Mario Lega-Morbidelli; poi Max Biaggi (1994-95-96-97), Loris Capirossi (1998), Valentino Rossi (1999), Marco Melandri (2002), Marco Simoncelli (2008). Una cilindrata al “centro” del motomondiale e di altri campionati, una categoria cerniera fra le piccole e la classe regina, con gli italiani (piloti e moto) sempre protagonisti, spesso trionfatori.

Fu proprio un binomio tutto italiano a vincere nel 1949 il primo titolo iridato (che bisserà nel 1951) della quarto di litro: l’indimenticabile asso veronese Bruno Ruffo con la Guzzi Gambalunghino monocilindrica da 25 CV a 8000 giri per 180 Kmh. Ma l’eroe dell’epoca fu Dario Ambrosini, il cesenate battagliero e tecnico certosino, che, abbandonata la Casa di Mandello non senza strascichi polemici, portò l’iride da Mandello Lario a Pesaro, in Casa Benelli, trionfando in tre gare su quattro con la rossa “bialbero” da 28 CV, oltre 9000 giri e 185 Kmh. Ma il destino era in agguato e nel 1951, nelle prove ufficiali del GP di Francia sul triangolo di Albi, Ambrosini uscì di pista perdendo la vita e troncando i sogni di vittoria della Casa del leoncino.

Dopo l’ultimo titolo della Guzzi nel 1952 con Enrico Lorenzetti, è il momento della tedesca Nsu che con Werner Haas domina nel 1953 (cinque GP su sette) e 1954 e con H.P. Muller nel 1955, anno in cui le cinque gare sono vinte da cinque piloti diversi: Muller, Surteees, Ubbiali, Lomas e Taveri. Ma ritorna in gran spolvero l’industria italiana che porta a casa il titolo per cinque anni consecutivi, quattro con le MV Agusta bicilindriche da 37 CV a 12.500 giri per oltre 210 Kmh (Ubbiali nel 1956, 1959 e 1960, Provini nel 1958), uno con la Mondial mono (Cecil Sandford nel 1957).
Poi è l’inizio dell’invasione gialla con i titoli della Honda quattro cilindri 4 tempi affidata a Mike Hailwood (1961 con la 4 cilindri e 1966 e 1967 con la 6 cilindri) a Jim Redman (1962 e 1963) e con quelli della Yamaha bicilindriche 2 tempi con Phil Read (1964, 1965 e 1968 con la sibilante portentosa quattro cilindri a disco rotante).

Il dominio giapponese viene intaccato prima dalla bolognese Morini monocilindrica con Provini nel 1963 (titolo perso per un soffio) e interrotto dalla Benelli nel 1969, iridata dopo 20 anni, con l’australiano Kel Carruthers. La quattro cilindri pesarese aveva debuttato nel 1962 con il trionfo di Silvio Grassetti a Cesenatico, poi fu rifatta per gli anni esaltanti di Tarquinio Provini e infine per l’epopea ruggente di Renzo Pasolini.

Dal 1970 i nuovi regolamenti stravolgono tutto, con riduzione del frazionamento dei propulsori (massimo due cilindri), delle marce ecc. I giapponesi, con Yamaha e Honda dettano legge, ma l’Italia dimostra di saper rispondere, prima con la Morbidelli (culminata con l’exploit del titolo mondiale del ’77 grazie all’ottimo “passista” … d’attacco lughese Mario Lega), poi con la MBA e infine con l’Aprilia che aprirà l’era stellare che si è chiusa sei anni fa.

Quale è stata la moto 250 più “importante”? Non ce n’è una. Ma nella storia c’è di diritto la MV 4 t bicilindrica, la Morini 4 t monocilindrica, la spagnola Ossa 2 t mono, l’Aermacchi 4 t mono, la MZ 2T bicilindrica a disco, la Benelli 4 t “quattro”, la Honda 4 t 6 cilindri, la Yamaha 2 t 4 cilindri, la Kawasaki 2 t bicilindrica, la Morbidelli 2 t bicilindrica, poi l’Aprilia 2 t due cilindri fino ai giorni nostri.

E i piloti? Hailwood sopra tutti. Ma superbissimi Dario Ambrosini, Bruno Ruffo, Phil Read, Bill Ivy, Jim Redman, Jarno Saarinen, il primo Agostini anche se solo …di passaggio in 250, Renzo Pasolini, Santiago Herrero, Ubbiali e Provini, Kenny Roberts senior, Mario Lega, Walter Villa, Carlos Lavado, Jonny Cecotto, Anton Mang, Gregg Hansford, Kork Ballington, Freddie Spencer, John Kocinski, Luca Cadalora, Loris Capirossi, Marco Melandri, Max Biaggi, Valentino Rossi, Daniel Pedrosa, Jorge Lorenzo e Marco Simoncelli. Fra gli italiani, oltre ai già citati, non si può non ricordare piloti di grande valore, protagonisti di grandi stagioni della 250: Bruno Spaggiari, Silvio Grassetti, Gilberto Milani, Angelo Bergamonti, Loris Reggiani, Graziano Rossi, Franco Uncini, Virginio Ferrari, Marco Lucchinelli, Marcellino Lucchi, Fausto Ricci ecc.

L’industria italiana ha tentato di fermare l’ondata “gialla”, dagli inizi degli anni ’60 prima con le MV Agusta (bicilindriche), poi con le Morini (mono) e le Benelli (quattro). All’epoca, fino al 1969, la 250 era libera, quanto meno rispetto al frazionamento dei propulsori (dal 1970 ammessi solo motori max 2 cilindri) mentre oggi i regolamenti della 250 Moto3 sono molto restrittivi (per limitare i costi e per aumentare la competitività con più Case e Team impegnati), propulsori monocilindrici 4 tempi, tetto dei giri, centralina unica, monogomma ecc.

Un solo cenno per capire la differenza fra le attuali Moto3 e le 250 GP degli anni ’60: la Morini bialbero mono debutta a Monza a fine 1958 piegando inaspettatamente le MV di Ubbiali e Provini con una splendida doppietta di Emilio Mendogni e Giampiero Zubani. Il motore ultraquadrato con asse verticale, bialbero, due valvole, dispone di 32 CV a 10.500 giri per una velocità attorno ai 210 Kmh, la moto pesa 110 Kg a secco. Alla fine, dopo aver perso il mondiale per iella nel 1963, questa moto a evoluzione completata (1965-1967) dispone di un motore attorno ai 40 CV (ma splendidamente utilizzabili) a 11.000 giri con la velocità sui 230 Kmh.

La rivale Benelli 4 cilindri, parte nel 1962 con 36,5 CV a 12.000 giri, peso moto oltre 120 Kg a secco per giungere nel 1969 – dopo un incessante sviluppo – a conquistare il titolo iridato con Kel Carruthers, con motore di 55-57 CV a oltre 16.000 giri e peso della moto sui 120 Kg a secco.

E le migliori Moto3 GP di oggi? Nel 2012 la nuova Moto3 Honda si presenta con 46,7 CV a 13.000 g/min, 28 Nm di coppia a 10.500 g/min e un peso di 85 Kg. Ricordiamo anche che le ultime raffinatissime 125 GP due tempi a disco rotante disponevano di 50 CV di potenza con 70 kg di peso. Ma in quattro stagioni, pur nella morsa di regolamenti rigidissimi, le migliori Moto3 hanno fatto salti da gigante: si sono guadagnati almeno 10 CV di potenza – oggi oltre i 55 CV – a 13.500 giri (per regolamento) – velocità max sui 240 Kmh – con moto attorno agli 80 Kg di peso (148 Kg il peso massimo moto e pilota) e soprattutto si sono notevolmente abbassati ovunque i tempi sul giro – mediamente di 2 secondi e oltre – a dimostrazione di moto particolarmente bilanciate, con ottimo rapporto peso- potenza. Oggi la Moto3 vanta preziosismi tecnici e tecnologici progettuali e costruttivi di altissimo livello, da poter essere paragonata a una … degna piccola “nipotina” della MotoGP quattro cilindri di 1000 cc.

Ci fermiamo qui perché dai prossimi giorni presenteremo su Motoblog una serie di articoli sui motori da corsa monocilindrici (e sulle moto) 250 italiani da prima della seconda guerra mondiale, poi dall’inizio del motomondiale del 1949, su su fino alla Moto3 di oggi. Una carrellata tecnica e anche spettacolare che dimostra il valore del Made in Italy in questa cilindrata architrave del motociclismo da competizione lungo un secolo di corse tanto travagliato quanto avvincente.

Foto: Imola 1964, start 250 con in prima fila TARQUINIO PROVINI (1-Benelli 4 cilindri) e GIACOMO AGOSTINI (2-Morini mono)

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