SBK: Ducati, dall’Australia a testa alta ma col sorriso… a metà
Ottimo esordio della Ducati nel primo round SBK australiano di Phillip Island
Dai primi due round stagionali Sbk di Phillip Island la Ducati esce a testa alta conquistando due podi eclatanti, secondo posto in gara 1 con l’indiavolato Chaz Davies e terza piazza in gara 2 con il ritrovato Davide Giugliano, per altro buon quarto in gara uno. Un bel bottino iniziale per la classifica generale, con Davide terzo (29 punti) e con Chaz quarto (26 punti) dietro al super campione del mondo in carica Jonathan Rea (Kawasaki), in vetta con 50 punti e al “mattatore” Van Der Mark (Honda), secondo con 36 punti.
Le due gare, spettacolari sul piano agonistico e tecnicamente superbe, hanno dimostrato i grandi passi avanti della Casa bolognese in Sbk, con le sue bicilindriche competitive rispetto alle 4 cilindri avversarie, ancora un pelino sotto solo alle “verdone”. Phillip Island, si sa, è un circuito dove il pilota fa la differenza e dove le moto a 4 cilindri restano avvantaggiate per la maggior potenza, per la fluidità dell’erogazione, per la velocità di punta e l’accelerazione in uscita di curva. Ma il bicilindrico di Borgo Panigale (un “superquadro” evoluto con nuovi pistoni e nuove altre raffinate prelibatezze) ha dimostrato di aver recuperato un bel po’ in potenza: è una bella moto leggera, con una invidiabile agilità, con possibilità di staccate alla baionetta, di ottimo inserimento in curva, di veloci cambi di direzione.
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Manca ancora quel “tocco” al top in velocità per tenere a bada anche sui rettifili più lunghi le plurifrazionate della concorrenza che scontano – per regolamento – l’handicap di 200cc in meno, con cilindrata di “soli” 1000cc contro i 1200 delle rosse. Nel 2015 sia Davies che (soprattutto) Giugliano hanno sempre dovuto “rischiare” oltre misura per sopperire con il manico ad alcuni limiti della moto, con gap di potenza e di velocità di punta: in altre parole i piloti dovevano cercare di recuperare in frenata e in curva quel che perdevano sul dritto, rischiando oltre modo perché la moto in condizioni limite non dava preavvisi con conseguenze facilmente intuibili, come dimostrano le numerose cadute.
Scrivevamo pochi giorni addietro su Motoblog: “Tocca ai due piloti della “Rossa” dimostrare di aver superato la lunga fase delle “straordinarie promesse” entrando nella stagione dei “fatti”, con risultati eclatanti, ai vertici delle classifiche di gara e di campionato. Per il 27enne Giugliano e per il 29enne Davies – due ottimi piloti d’attacco col pelo sullo stomaco ai quali si chiede caso mai una maggiore capacità di gestione della corsa portando a casa il risultato – la stagione che a fine febbraio si apre nello splendido scenario di Phillip Island, è decisiva essendo entrambi nella piena maturità agonistica con a disposizione moto e team al top”.
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Ecco. Evidentemente Giugliano – al non facile rientro in pista dopo la via crucis derivata dalle brutte botte del 2015 – ha tenuto conto delle (dure) lezioni del passato con una strategia di gara “giudiziosa”, badando meno allo show e più al risultato. “Giudiziosa” non significa tirare i remi in barca, come dimostra la grande rimonta del campione capitolino in gara 2 “bruciando” in sequenza prima Sykes, poi Guintoli, infine Hayden.
E Davies? Chaz ha perso – si fa per dire – gara uno per … 63 millesimi ed è comprensibile il suo tentativo d’assalto a Rea nell’ultimo giro di gara 2 per cercare la vittoria. Come scritto in cronaca dal nostro Adriano Bestetti: “Davies aveva anche guadagnato la testa della corsa, al penultimo giro, per essere ri-superato poco dopo dal nord-irlandese. Nel tentativo di passarlo a sua volta nella staccata della curva 4, Davies però scivolava e finiva così ‘fuori dai giochi’ per il podio. Il britannico si è poi classificato al decimo posto conquistando così 6 preziosi punti iridati”.
Un attacco doveroso e giusto al momento giusto o un azzardo “disperato” che trasforma il trionfo a portata di mano in una debacle? Non vogliamo mettere la croce addosso al “povero” Chaz, pilota con i contro fiocchi, ma in questi casi non si può parlare di sfortuna.
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La grande capacità di Rea è stata quella di gestire magistralmente la propria superiorità e quella del suo mezzo non cercando la fuga ma tenendo sempre al limite gli inseguitori, illudendoli nella possibilità del sorpasso, ma di fatto portandoli sempre sul limite e anche oltre, inducendoli all’errore. Una “trappola” nella quale Davies è caduto… cadendo. Anche gli “dei” cadono e anche qui vale l’aforisma “solo chi cade può rialzarsi e vincere”. Tutto bene? No!
Perché è proprio in certi momenti caldi il fuoriclasse fa la differenza: comprende se l’avversario davanti è davvero superabile con un rischio “misurato” o se gioca al gatto col topo rendendo il sorpasso un salto nel buio. I grandi campioni lo sono davvero quando non superano quel sottilissimo limite che invece di condurre sugli altari trascina nella polvere. I titoli mondiali si vincono salendo spesso sul gradino più alto del podio ma anche accontentandosi del secondo o del terzo posto. La storia del motociclismo è piena di campioni del mondo forti anche nei piazzamenti ed è piena di fortissimi piloti… da pole position e da giri in testa ma campioni “spreconi” e… senza corona. Spetta a Chaz e a Davide scegliere dove stare.