MotoGP 2016: ali, winglets e aerodinamica

Ducati e Yamaha le hanno introdotte già lo scorso anno. Ora le prova anche Honda. Ma quale sarebbe il vantaggio?

Di Flavio Atzori
Pubblicato il 10 mar 2016
MotoGP 2016: ali, winglets e aerodinamica

In principio fu Ducati. Anzi, dovessimo parlare proprio di principio, dovremmo tornare indietro nel tempo, quando Giacomo Agostini nel 1974 le scartò senza troppi rimpianti durante le prove del GP di Germania. Poi venne il tempo di Max Biaggi e della Yamaha nel 1999. Ali, flap, winglets, chiamatele come volete. Esperimenti invero, trovate che sembravano lasciare quasi il tempo che trovano. Poi il ritorno sulle moto di Borgo Panigale.

Quelle ali, quelle winglets che nel 2010 furono portate in gara fin dal Sachsenring. Bocciate da Rossi nel suo approdo sulla Rossa, tornate grazie a Gigi Dall’Igna. Ecco, le ali, quell’aerodinamica che il mondo delle due ruote ha sempre bollato come ‘accessoria’, ora sta divenendo elemento da sfruttare, jolly da pescare.

[img src=”https://media.motoblog.it/b/b89/biaggi_99.jpg” alt=”9 May 1999: Max Biaggi races his Yamaha 500 at the FIM Spanish Grand Prix Motorbike World Championships held in Jerez, Spain Mandatory Credit: Mike Hewitt /Allsport” size=”large” id=”765918″]

E se Re Giacomo scartò la allora soluzione sul cupolino, poichè generava anche portanza, se Yamaha non si presentò più con quelle ali dopo quel 1999 targato Max Biaggi e Carlos Checa e Valentino Rossi decise di scartarle sulla propria Desmosedici dopo il test in Malesia, non significa che tale soluzione fosse così sbagliata, anzi.

[img src=”https://media.motoblog.it/d/da1/winglets-motogp-qatar-test-2016-1.jpg” alt=”DOHA, QATAR – MARCH 03: The new areodinamic solution in Movistar Yamaha MotoGP bike in front of box during the MotoGP Tests In Doha at Losail Circuit on March 3, 2016 in Doha, Qatar. (Photo by Mirco Lazzari gp/Getty Images)” size=”large” id=”765220″]

Ducati, nel suo back to back, ha riportato in auge questa soluzione. Che a sentire i piloti, non è che mostri tutta questa differenza, ma che in realtà, in termini di accelerazione, c’è. Non comporta un miglioramento in termini prestazionali di secondi, ne di decimi, al più centesimi al giro. Già, perchè l’ala, il flap permette di ridurre l’impennamento e far si che si possa tagliare meno potenza.

E se all’inizio dello scorso anno è stata Ducati a sviluppare tale concetto, andando ad investire su un’area che nelle moto era ancora embrionale, ad Aragon Yamaha decise di fare altrettanto. Ora anche Honda, la cui scelta di utilizzare delle appendici ricade anche su un discorso più complesso e quasi “filosofico”. Ma andiamo con ordine…

[img src=”https://media.motoblog.it/c/c02/ducati-desmosedici-gp-2016-020.jpg” alt=”Ali Ducati Desmosedici GP 2016″ size=”large” id=”762463″]

Le Ducati usano le proprie ali sia sul cupolino che sul corpo della moto stessa, più vicine alla zona del baricentro. E’ un concetto fondamentale questa della posizione, considerando come Yamaha abbia le proprie appendici solo sul cupolino, mentre Honda, ultima arrivata, abbia provato a Losail delle ali piccole di dimensioni, sulla carena laterale. Dicevamo l’importanza della posizione, del baricentro. Già, perchè un carico aerodinamico troppo elevato può togliere equilibrio alla moto stessa.

L’ala, in base a diversi fattori, tra cui la sua curvatura, crea un moto, una forza deviante dell’aria verso il basso, permettendo quindi di schiacciare la gomma a terra e offrendo quindi più grip, sottraendo lavoro all’elettronica. Si tratta di un concetto che ha margini esponenziali, come facilmente intuibile dal mondo della Formula Uno. Il carico infatti è proporzionale alla superficie, alla già citata curvatura, all’orientamento rispetto alla moto stessa, ma anche alla densità dell’aria (si pensi a quante volte ci sia stato il problema delle potenze in F1 sia ad Interlagos che a Città del Messico di recente) e al quadrato della velocità del flusso di aria che investe il flap stesso.

Questo carico, come detto, risulta essere importante qualora si riesca a non precludere troppo l’equilibrio, o meglio, a non farlo perdere. Chi ha lavorato da tempo su questo settore come Ducati, è in grado di poter sfruttare meglio un’appendice più evoluta in termini dimensionali. Ricorderete infatti come al Sachsenring, la GP15 avesse anche fino a due ali poste sulla carena. Discorsi superficiali, considerando però come il tutto vada ad incidere sull’assetto, sul lavoro della sospensione tanto per dirne una, oltretutto non considerando ulteriori variabili esterne. Per farla breve, prendete un equilibrio molto delicato e aggiungeteci una variabile che comunque va ad inficiare nelle reazioni perchè sfrutta un elemento come il flusso d’aria e non ‘solamente’ offre minor resistenza.

Non a caso, Ducati stessa sta implementando degli studi per avere delle ali in grado di assolvere la loro funzione anche in curva, con un carico aerodinamico assimilabile anche in curva. Studi che al momento sembrerebbero tali, ma che dovrebbero permettere lo sfruttamento aerodinamico in fase di piega, sfruttando lo stallo delle ali in rettilineo grazie al pilota stesso. Un discorso – lo stallo – che in Formula Uno si era svelato per bene con il sistema F-Duct. Solo che, in Formula Uno l’ala rimane fissa nella sua posizione longitudinale (non dovendo “piegare”).

Il vantaggio quindi c’è, e si rivela sopratutto in accelerazione per il momento. Ecco perchè anche Yamaha ha seguito questa strada, con delle ali ora più piccole all’altezza del cupolino. Ed il discorso per Honda non è dissimile. Per la casa dell’Ala però va affrontato anche l’argomento dell’erogazione stessa del motore. Perchè il propulsore di Tokio rimane uno screamer, non un big bang. E’ la loro strada che tradizionalmente rimane coerente. Honda infatti, ha sempre preferito perseguire le sue idee nel motorsport, anche andando incontro ad annate complicate nella sua storia, per poi evolversi e tornare ad annate di dominio. Basti pensare a quando negli anni 60 Suzuki e Yamaha vincevano con le loro due tempi, Honda manteneva il suo credo con il quattro tempi.

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E piuttosto che adattarsi aveva portato in gara un sei cilindri 250, un cinque cilindri 125 ed un due cilindri 50cc in grado di girare intorno a 20.000 giri. Discorso non dissimile per quella NR500 con i pistoni ovali: un fallimento in termini prestazionali. Eppure si continuò per la propria strada, senza mai seguire la strada altrui, con i quattro cilindri ed il telaio in alluminio, tanto da portare poi, negli anni Ottanta, la tre cilindri NS che portò alla vittoria Freddie Spencer nel 1983. Excursus per far capire la filosofia di Tokio anche per quello Screamer di oggi che, con l’adozione della centralina unica, non riesce in una perfetta comunicazione.

E non a caso i problemi lamentati da Marquez e Pedrosa si trovano proprio in accelerazione, nella prima fase di apertura del gas. Da qui – presupponiamo – la ricerca di alcune ali che permettano di aiutare nell’offrire più grip e limiti l’impennamento della moto: la posizione delle alette Honda si colloca nella carena, ma l’inclinazione punterebbe proprio ad evitare l’allegerimento eccessivo dell’anteriore.

Disquisizioni su quello che potrebbe essere un campo di sviluppo decisamente interessante per il futuro della Motogp, alla ricerca di un carico in curva. Una frontiera che – evidentemente – vede i tempi maturi nello studio e nello sfruttamento di queste appendici.

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