SBK: è crisi vera, è crisi nera. Come uscirne?

La Superbike è sempre più in crisi. Gli ascolti sono in calo, gli sponsor sono in fuga. Come uscirne?

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 11 lug 2016
SBK: è crisi vera, è crisi nera. Come uscirne?

SBK Laguna Seca 2016 – Con il dovuto rispetto dovuto a chi spesso vince, in questo caso a Jonathan Rea (un gran bel pilota cui togliersi il cappello ma non certo un fuoriclasse a livello della prima fila degli assi della… MotoGP) e alla sua Kawasaki (moto “completa”, con un elevato livello di sviluppo ma tutt’altro che inarrivabile), è la mancanza di “veri” competitori a rendere quasi scontato il dominio di Rea-Sykes-Kawa, più marcate le differenze dei valori in campo e a rendere di scarso appeal ogni round e l’intero campionato. Chi anche fra i cosiddetti esponenti dei media (i culi di pietra della sala stampa holliwoodiana) è abituato a misurare il livello di un campionato del mondo di motociclismo dal numero delle ombrelline, dalle luminarie delle hospitality o dai benefit che riceve più o meno sotto banco, non vede la crisi incombente e rifiuta la parola “crisi di identità”.

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La SBK è in crisi perchè non ha più una propria identità, è un campionato che velocemente ha perso per strada i principali motivi di interesse che l’avevano reso importante, popolare e valido sia sul piano tecnico che su quello spettacolare producendo prima il distacco delle grandi Case poi il distacco del grande pubblico in una discesa inarrestabile che – senza svolta – produrrà nuovi forfait, a cominciare dai grandi sponsor. A chi ingenuamente o con supponenza replica: “E che ci importa a noi appassionati degli sponsor?” va semplicemente ricordato che oggi il motociclismo senza grandi sponsor chiude. Punto. Da più parti siamo stati criticati, addirittura accusati, per avere messo sin dalla fine del 2015 il dito nella piaga: un campionato – quello della SBK – lasciato alla deriva, né carne né pesce, appunto, senza più una identità propria che lo caratterizzasse, perdendo la vecchia strada senza un’altra nuova, alternativa e credibile.

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Siamo stati fra i pochissimi (unici?) a non gridare “evviva!” allo strombazzamento invernale e primaverile sulla partecipazione ufficiale nel WSBK di ben sette Case ufficiali sapendo che al massimo solo due potevano vantare tale dicitura (Kawasaki e Ducati) e che tutto il resto era una rimasticatura se non un vero e proprio bluff (non solo tecnico), comunque un luccichino per le allodole. Gli stessi Team che osannavano il passaggio dalla MotoGP alla SBK come il passaggio dall’inferno al paradiso delle corse lo facevano solo per interessi di parte, per rendere meno amaro il proprio fallimento di un trasferimento semplicemente subito, un ripiego. Il mondiale SBK ha così mostrato subito, sul campo, i propri limiti, sia sotto il profilo tecnico che sotto quello agonistico, perdendo interesse su ogni fronte, spettatori nei circuiti, audience televisiva, copertura mediatica, sponsor. Di fronte a questa debacle annunciata non si è voluto guardare in faccia alla realtà, non si è voluto chiamare le cose per nome: la SBK è in crisi ed è già nel tunnel.

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Se non si prende atto di ciò, dal tunnel non se ne uscirà. La Dorna – organizzatrice del Campionato – non sa cosa fare o non vuole prendere una decisione che rilanci il campionato, interessata com’è a fare solo cassa con quel che passa il convento e in ben altre faccende affaccendate, leggi MotoGP. Chi si ricorda che solo pochi anni addietro si puntava nella SBK quale alternativa alla MotoGP? Le illusioni hanno le gambe corte. Anche la logica dei “pochi ma buoni” è illusoria perché oggi nel Motorsport internazionale non c’è spazio per un campionato con una propria autonomia e una propria fisionomia che non sia “originale”, sostenuto da una vasta platea di pubblico mondiale sia direttamente che in tv, che non abbia una adesione dei grandi sponsor, che non veda al via grandi Case davvero impegnate e grandi piloti-star. O il WSBK ritrova presto la via dello sport-spettacolo, con tutto quel che significa, o scade a sport “minore”: in quel caso può diventare – così come in passato altre categorie nel Motomondiale – la corsa “tappabuchi” nel Circus iridato, un avanspettacolo.

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Continuare come fa Dorna con i pannicelli caldi (la semplice riorganizzazione in due round con Gara1 al sabato pomeriggio e Gara 2 la domenica e/o importando sic et simpliciter dalla MotoGP alla SBK piloti già sul viale del tramonto come Hayden ecc.) è solo tempo perso, allunga l’agonia ma non risolve la crisi. Che fare? Non serve una riverniciata alle insegne per rilanciare l’immagine. Serve un “diverso” campionato delle derivate di serie, marcando la differenza fra le attuali SBK e le altre discipline, da ridurre di numero. Serve una rivoluzione portando aria nuova: nuovi (giovani) piloti, una diversa strutturazione e articolazione tecnica, di cilindrate ecc. Serve anche (o soprattutto?) un rapporto più stretto fra SBK e MotoGP. La WSBK e la MotoGP possono convivere autonomamente ed essere anche “complementari”, utili l’una all’altra. Su Motoblog abbiamo di recente già fatto proposte concrete e realistiche puntando su nuove sinergie fra MotoGP e SBK, due categorie non più in alternativa l’una dell’altra o in guerra fra loro, ma semplicemente come “autonomi” vasi comunicatori. Nessuna risposta.

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