Yamaha TT600R 2-Trac: il nostro test all'Hardalpitour 2016

Negli anni '90 la casa di Iwata sperimentò con ottimi risultati il sistema di trazione integrale "2-Trac": all'Hardalpitour 2016 abbiamo messo alla frusta la Yamaha TT600R a due ruote motrici

Di Manuele Cecconi
Pubblicato il 10 ott 2016
Yamaha TT600R 2-Trac: il nostro test all'Hardalpitour 2016

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Yamaha TT600R 2-Trac – Al giorno d’oggi siamo abituati a un motociclismo piuttosto standardizzato, nel quale le soluzioni tecniche utilizzate sono, alla fine, sempre le stesse: nonostante i listini siano sempre più diversificati e le case siano sempre pronte ad esplorare nuove nicchie di mercato, le configurazioni utilizzate dai costruttori per i loro prodotti sono più o meno le medesime, e raramente assistiamo a impostazioni telaistiche stravaganti, frazionamenti “improbabili” e ciclistiche fuori dal comune.

Lo sviluppo tecnologico ha permesso il consolidamento di alcune soluzioni considerate “vincenti”, che comprensibilmente le case produttrici sono restie ad abbandonare in favore di esperimenti più o meno azzardati: i programmi di simulazione virtuale, le gallerie del vento, la progettazione effettuata con modernissimi computer hanno reso sostanzialmente inutile sperimentare “sul campo”, permettendo di promuovere o bocciare una nuova idea prima ancora che essa si trasformi in qualcosa di concreto e tangibile.

Certamente esistono ancora moto particolari e anticonformiste, che fanno di caratteristiche tecniche poco comuni una loro bandiera: pensiamo ad esempio alla BMW K1600, con il suo imponente sei cilindri in linea, alle Bimota Tesi o alle Vyrus con il loro singolare forcellone anteriore, oppure alla Kawasaki Ninja H2 dotata di compressore meccanico azionato a ingranaggi.

Si tratta però per lo più casi isolati, modelli in genere molto costosi e pensati per una clientela esigente e interessata a possedere un oggetto esclusivo. Anche le case che hanno fatto di alcune particolarità tecniche un vessillo, finiscono poi quasi sempre per adeguarsi a soluzioni più standardizzate: pensiamo ad esempio a BMW, che dopo decenni di configurazioni motoristiche singolari e ciclistiche tutt’altro che convenzionali, quando si è trattato di sfidare i competitors giapponesi e italiani in Superbike è scesa in campo con la ottima ma tradizionalissima S1000RR.

Non è però sempre stato così: ci sono stati anni -in cui Autocad e altri programmi di progettazione non esistevano- in cui per testare una nuova idea bisognava almeno prototipizzarla e metterla alla frusta sul campo: gli anni ’80 sono stati certamente un periodo florido da questo punto di vista, ed è proprio in quel decennio che hanno preso forma alcune delle più interessanti -e bisogna dirlo, talvolta strampalate- soluzioni tecniche mai sperimentate.

Anche in campo automobilistico, e in particolare nei Rally, in quel periodo si assiste all’introduzione di uno schema tecnico nuovo, che finirà per rappresentare una vera e propria rivoluzione nel mondo delle quattro ruote: sono gli anni in cui Audi stravolge le gerarchie del Campionato del Mondo Rally mettendo in campo un’auto a trazione integrale, la mitica Sport Quattro. Da quel momento il sistema a 4 ruote motrici -denominato appunto “quattro” dalla casa di Ingolstadt- diventerà un vero e proprio must sia nelle corse sterrate sia nella produzione di serie.

[img src=”https://media.motoblog.it/b/b31/audi-sport-quattro-jpg.jpg” alt=”1983: Audi Quattro driver Stig Blomqvist in action with co-driver Bjorn Cederberg during the Longleat Stage of the RAC Rally in England. Mandatory Credit: Mike Powell /Allsport” size=”large” id=”812944″]

E’ proprio alla fine di quel decennio, quando ormai appare chiaro il vantaggio che le auto 4WD hanno su fondi dissestati, che anche nel mondo motociclistico si inizia a guardare con interesse alla vincente soluzione all-wheel-drive: il costruttore che più di ogni altro crede nella possibilità di portare la trazione AWD anche sulle moto è Yamaha, che nella seconda metà degli anni ’80 inizia a studiare questa possibilità.

A Iwata hanno un’idea tanto ambiziosa quanto interessante: se nelle auto la trazione integrale ha così successo, perchè non adottarla anche sui veicoli a due ruote?

Yamaha e la trazione integrale: un po’ di storia

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All’inizio degli anni ’90 la casa dei Tre Diapason, impegnata allora nei grandi rally africani, inizia a lavorare seriamente a questo progetto: i primi prototipi risalgono al 1992, ma il percorso per una soluzione soddisfacente appare tortuoso e irto di incognite: su un mezzo “tridimensionale” come un’automobile non si presentano quella lunga serie di problematiche che invece si riscontrano su una motocicletta, un veicolo “bidimensionale” in cui le ruote sono entrambe sullo stesso piano.

I primi studi dei tecnici di Iwata prendono in esame una trasmissione di tipo meccanico per il trasferimento del moto alla ruota anteriore, ma non hanno esiti soddisfacenti: componenti come alberi cardanici o meccanismi a catena finiscono per risultare ingombranti, pesanti e poco occultabili dietro alle sovrastrutture. Essi richiedevano infatti una disposizione piuttosto complessa e il ricorso a un layout affatto ortodosso, oltre a soffrire di perdite d’attrito e influire negativamente sulle caratteristiche di guida: parti specifiche come forcella e telaio avrebbero dovuto quindi essere riprogettate ad hoc, con un incremento notevole di peso, complessità e costi.

Accantonata l’opportunità di adottare uno schema meccanico, in Giappone si è iniziò a valutare l’eventualità di percorrere la strada di un sistema idraulico: riuscire a muovere la ruota anteriore sfruttando la pressione dell’olio avrebbe significato una decisiva semplificazione grazie alla possibilità di adottare componenti tradizionali con un conseguente aggravio minimo in termini di peso. Si decise di andare proprio in questa direzione.

Yamaha decise pertanto di rivolgersi ad Öhlins, l’azienda svedese leader nel campo delle sospensioni già allora nell’orbita del marchio dei Tre Diapason: considerato l’invidiabile know-how degli scandinavi nel campo dell’idraulica, si commissionò loro la preparazione di un prototipo di trasmissione idraulica.

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Una soluzione compatta e convincente venne presto approntata dai tecnici di Stoccolma e nel 1998, dopo un primo prototipo di TT600 presto accantonato, venne presentata la prima vera e propria Yamaha a due ruote motrici: si trattava della YZ250 2WD, che al National Gotland Rally risultò vincitrice di classe con in sella il collaudatore Torleif Hansen.

Yamaha 2-Trac: la carriera agonistica

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Un anno dopo, nel 1999, fu la volta di un altro successo per l’innovativo sistema AWD di casa Yamaha, applicato però questa volta a una monocilindrica 4T: Antonio Colombo si portò a casa la vittoria di classe al Rally di Sardegna, corso su una Yamaha TT600R a due ruote motrici del team italiano Yamaha Belgarda. Ormai la trazione integrale sulle moto non era più solo un sogno, ma una vincente realtà.

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Nel settembre del 2000 Yamaha presenta ad Intermot un altro prototipo dotato di tecnologia Two Wheels Drive, ormai noto con il nome commerciale 2-Trac: è la WR426F 2-Trac, con la quale un anno più tardi il boss di Yamaha Motor France Jean Claude Olivier avrebbe chiuso al 5° posto allo Shamrock Rally.

Nel 2001 arrivò però anche un’altra soddisfazione: David Frétigné concluse al settimo posto l’estenuante Enduro du Touquet e portò a casa una vittoria di manche al Trophée Andros.

L’anno seguente (2002) Olivier e Frétigné migliorarono ulteriormente le loro prestazioni in sella alla WR426F 2-Trac, realizzando una straordinaria doppietta (1° e 2° rispettivamente) allo Shamrock Rally.

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Nel 2003 Yamaha mise in campo la sua nuova arma a due ruote motrici, la WR450F 2-Trac. Il torrido deserto del Marocco è il banco prova ideale per la nuova nata, che con Frétigné al manubrio riesce subito a bissare la vittoria allo Shamrock Rally di un anno prima.

“Alla guida della WR450F 2-Trac sorprende il suo comportamento nelle condizioni più difficili” avrà a dire in merito Jean Claude Olivier “come la marcia su uno spesso strato di sabbia e fango. La moto è in grado di accelerare quando le moto normali scavano buche fino a rimanere bloccate”.

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A metà anni 2000 la casa dei Tre Diapason dà finalmente un seguito produttivo alla sua pazza e geniale idea: nel 2004 viene finalmente commercializzata, in soli 250 esemplari, la WR450F 2-Trac, strettamente derivata dalla moto portata alla vittoria da Frétigné un anno prima.

Gli exploit di questo ambizioso progetto non sono tuttavia finiti qui: durante il The Reunion 2016, raduno dedicato a tutti gli appassionati di motociclette cafe racer e special, è stato allestito a Monza un piccolo anello da flat track su cui si sono sfidate moto vintage approntate per le gare su terra battuta. A mettere tutti dietro è stata proprio la Yamaha TT600R 2-Trac portata in pista da Luca Viglio e Filippo Bassoli di Deus Ex Machina, che dopo 17 anni dal successo di Alberto Colombo è tornata a salire sul gradino più alto del podio.

Ma questa è un’altra storia, che vi racconteremo nelle prossime righe.

Yamaha 2-Trac: oltre il fuoristrada?

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Sulla scia dei successi ottenuti con le enduro a trazione integrale, Yamaha pensò che tale sistema potesse essere implementato anche sulle moto stradali. Nei primi anni 2000 infatti la casa di Iwata sperimentò questa soluzione anche sulla sua ammiraglia sportiva, la YZF-R1: sempre in collaborazione con Öhlins, gli ingegneri dei Tre Diapason realizzarono nel 2001 due esemplari della 1000 supersportiva dotata per l’occasione di trazione su entrambe le ruote.

Equipaggiata con il medesimo quattro cilindri da 150 cv e con la stessa ciclistica della R1 prima serie, la YZF-R1 2-Trac adottava soluzioni analoghe a quelle già viste sulle fuoristrada vittoriose nei rally africani: i collaudi diedero buoni risultati, con un surplus di trazione soprattutto su asfalto viscido.

L’incremento di peso, grazie al sistema idraulico di trasmissione anteriore, era inferiore ai 10 kg, e l’assorbimento di potenza limitato a una trascurabile manciata di cv (circa 3): nonostante ciò la R1 a due ruote motrici rimase niente più che un interessante esperimento, probabilmente a causa delle comuni perplessità riguardo alla reale efficacia su asfalto del 2-Trac e dei costi di sviluppo che la rendevano una soluzione forse insensata per l’uso sportivo-stradale.

Nella pagina successiva, le nostra prova della TT600R 2-Trac

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Yamaha TT600R 2-Trac: la due ruote motrici all’Hardalpitour 2016

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