Rossi-Ducati, "Finisce qui"
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Nel 1968 Ornella Vanoni faceva piangere gli innamorati delusi e traditi con la sua bella canzone: “Finisce qui, finisce qui, non ci rimane che concludere, finisce qui il mio discorso insieme a te”. Domenica a Valencia – chiusura del mondiale 2012 con Jorge Lorenzo splendido numero uno di una MotoGP in forte affanno – finisce anche il “matrimonio all’italiana” fra Valentino Rossi e la Ducati, matrimonio non consumato, legame sterile, senza aver prodotto frutti di alcun tipo, con forti delusioni per tutti.
Due lunghissime stagioni senza neppure una vittoria, infinite promesse mai mantenute, un monotono refrain “siamo fiduciosi” sempre contraddetto da una realtà totalmente negativa. La montagna ha quindi partorito il topolino: pilota ingaggiato a suon di milioni, staff importato da un’altra Casa e imposto dal pilota, ingenti investimenti per realizzare un mezzo competitivo, una strategia di marketing e di comunicazione martellante hanno portato al peggior flop della storia del motomondiale. Mai così tanto ha prodotto così poco! Di chi la colpa?
La Ducati non aveva compreso il valore di Casey Stoner (l’unico pilota a interpretare al massimo il potenziale delle Rosse) e questo è stato un grande limite. Ma due anni fa a Borgo Panigale si cercava la svolta, il salto di qualità sul piano dell’immagine internazionale che solo Valentino Rossi, deus ex machina del motomondiale, poteva garantire. Sotto questo aspetto la Casa bolognese va compresa e non crocifissa. Altro discorso sul piano tecnico, dove non c’è stata fusione fra lo staff guidato da Burgess e lo staff dei progettisti, è mancata una strategia su cui andare avanti coerentemente, un perenne zig zag che ha messo in luce la totale incapacità di direzione del Team.
Ora Rossi incolpa la Ducati per non avergli obbedito e la Ducati tace, non solo per non gettare benzina sul fuoco delle polemiche ma anche perché, verosimilmente, è cosciente dei limiti e degli errori commessi.
D’altra parte il “Dottore” non può cavarsela elogiando in ritardo Stoner e prendendo atto che: “Dopo due anni che guido questa moto ancora non l’ho capita”. Questo bagno di realismo è anche apprezzabile ma sfata il mito del Rossi che guida sopra i problemi, del Rossi vincente comunque e ovunque, del Rossi capace di trasformare in un amen una “carretta” in un bolide vincente. Il Veni-Vidi-Vici non ha funzionato. Alla Ducati restano con un pugno di foglie secche e Rossi se ne va con la coda fra le gambe, approda negli antichi lidi Yamaha, imposto dalla Dorna, ultimo escamotage per cercare di ridar fiato alla MotoGP agonizzante.
L’obbligo, adesso, è di voltar pagina, anzi buttar via il vecchio brogliaccio e iniziare a scrivere una nuova storia, cominciando a vergarla su una pagina bianca. La risposta al fallimento di questi due anni, per Rossi e per la Ducati, non tarderà a venire: se il campione pesarese torna ai vertici sin dai test di martedì-mercoledì, alla Ducati s’impone il “tutti a casa”. In caso contrario, a Valentino non resto che appendere il casco al chiodo.