Corse addio, Rosberg “appagato”. Quando Nuvolari, Agostini, Rossi...
L'addio alle corse del campione del mondo in carica della F1 apre interrogativi e solleva polemiche
Ognuno decide liberamente della propria vita come vuole e come può e ciò vale anche per i campioni dello sport, fuoriclasse e star del motorismo mondiale compresi. Ciò non toglie che la clamorosa decisione di Nico Rosberg di ritirarsi dalle corse cinque giorni dopo la sua vittoria del titolo mondiale di F1 sollevi interrogativi e anche polemiche. Abbiamo ha già affrontato la patata bollente a caldo. Qui confermiamo il giudizio di fondo: pieno rispetto per la decisione di Rosberg cui va il ringraziamento per quanto dato al mondo delle corse.
E’ evidente che quando un grande campione appende a 31 anni il casco al chiodo, integro, nel momento più alto della sua carriera lascia tutti stupiti e anche con l’amaro in bocca, un vuoto non solo sulla griglia di partenza della massima categoria del motorismo mondiale.
Rosberg ha preso questa decisione – a suo dire – perché “appagato”, avendo raggiunto con la conquista del titolo mondiale di F1 il suo “sogno”, quel che cercava nelle competizioni automobilistiche. Evidentemente riteneva di aver bruciato il capitale fondamentale per correre, quello degli “stimoli”, la “molla” che spinge a superare sempre gli altri migliorando se stessi, mai paghi. In questo, si sa, i campioni sono come tutti i comuni mortali, cioè diversi fra loro. Facciamo due esempi.
Il primo riguarda un asso del passato, il pilota ritenuto il più grande del motociclismo e dell’automobilismo di tutti i tempi: Tazio Nuvolari. Il “mantovano volante”, a Enzo Ferrari che gli chiedeva perché corresse ancora in età avanzata (cinquantenne), rispondeva che ancora non aveva trovato il proprio limite, che ancora non aveva consumata tutta la sua passione per le corse e tutta la sua voglia di primeggiare sugli altri.
Non solo. Tazio, emulando gli eroi, ripeteva di voler morire in corsa, al volante, mentre battagliava con gli altri. A 56 anni, gravemente malato, Nivola chiede a Ferrari una Rossa per la Mille Miglia, non si sa se per cercare l’ennesimo trionfo o la morte. Era il 1948 e fu per Tazio l’ultima giornata di gloria. La dea bendata, però, non lo assecondò facendolo passare a miglior vita nel letto di casa l’11 agosto 1953, a 61 anni, con indosso il maglione giallo con le iniziali con il quale correva e con al collo il portafortuna regalatogli da Gabriele D’Annunzio.
Il secondo riguarda un asso del presente, l’emblema del motociclismo attuale, Valentino Rossi. Il “Dottore” ha vinto “tutto”, una montagna di gare e nove titoli mondiali, alla pari con il motociclista più forte dell’era moderna, Mike Hailwood, e dietro solo ad Angel Nieto (13 titoli ma tutti nelle classi 50 e 125) e all’inarrivabile Giacomo Agostini (15 volte campione del Mondo 350 e 500).
Rossi appagato? Macchè! Alla vigilia della nuova stagione, quella del 2017, quindi a 38 anni, punta con tutto se stesso al titolo numero dieci. Questo perché Valentino, così come Nuvolari, Agostini e come tutti i grandi artisti dello sport e della vita, preferisce cercare oltre l’orizzonte, percorrendo il sentiero più difficile, sperando che ci sia sempre un nuovo traguardo da raggiungere.
Per (nostra) fortuna, Nuvolari, Hailwood, Agostini, Fangio, Schumacher, e tanti altri grandi di altri sport (Coppi, Bartali, Merckx, Anquetil ecc.), non si sono fermati alla prima vittoria, al primo titolo. Ciò vale anche per tutti i grandi della cultura, dell’arte, delle scienze e così via. E vale, fatte le debite proporzioni, anche per l’uomo qualunque che ogni mattina si alza e va al lavoro. Non vogliamo fare i conti in tasca agli altri ma una domanda s’impone: Rosberg (ma ad esempio anche Stoner…) avrebbe abbandonato ugualmente il Circus se non avesse già guadagnato talmente tanto da garantirgli un futuro da nababbo?
Il primo italiano campione del Mondo delle 500 (1950), il compianto Umberto Masetti (Gilera) più volte mi ricordava tirando fuori di tasca il portafogli, che dopo il titolo iridato vinto il Comm. Giuseppe Gilera gli raddoppiò l’ingaggio portandolo al doppio dello stipendio di un… semplice operaio della Casa di Arcore. Uno dei motivi per cui Masetti continuò a gareggiare (e a vincere) fino ad età avanzata. Ci fermiamo qui. Rispettando la scelta di Rosberg ma sperando che i nostri campioni del motociclismo non lo seguano. A cominciare da Rossi.