Motomondiale a stelle e strisce: Freddie Spencer, la “meteora” da record
"Fast Freddie", uno dei più grandi e discussi fuoriclasse del motociclismo dei "due mondi"
Oggi Freddie Spencer compie 55 anni, essendo nato il 20 dicembre 1961 a Shreveport in Lousiana e merita ricordarlo perché è stato fra i più grandi talenti del Motomondiale. Non solamente brillano le sue tre stelle iridate e resta inimitabile l’exploit “storico” di aver vinto i titoli della 250 e della 500 nella stessa stagione ma resta impresso, in chi – come chi scrive queste note – l’ha visto all’opera, il suo innovativo stile di guida, di fatto quello che oggi permette ai piloti della MotoGP di fare i numeri che fanno.
Spencer dimostrò che il cronometro traeva beneficio non girando rotondi come si faceva soprattutto in 250 ma riducendo la strada da percorrere, curvando … “ad angolo”, buttando quasi a terra la moto, raddrizzandola prima possibile e prima possibile aprendo in pieno la manetta, in anticipo rispetto ai cultori della guida classica. Faceva trattenere a tutti il respiro perché pareva sempre sul punto di cadere, specie sui velocissimi curvoni di Spa, Salzburgring, Assen, Imola.E, a dire il vero, cadeva anche.
Stiamo parlando dei primissimi anni ’80 quando Freddie, dopo aver dominato i campionati americani AMA e dopo lo sbarco in Europa, ventenne, con i travagli del 1981 sulla rivoluzionaria ma “impossibile” Honda NR 500 quattro cilindri quattro tempi a pistoni ovali (moto che aveva già sfiancato due mastini come Grant e Katayama), sulla inedita NS500 tre cilindri 2 tempi dimostrò di che pasta era fatto: straordinariamente efficace sul giro secco, vera belva nella mischia, implacabile in fuga.
All’epoca, Yamaha e Suzuki 500 quattro cilindri 2 tempi erano superiori ma il 20enne della Louisiana ci metteva del suo riuscendo ad aver la meglio su gente dal calibro di Kenny Roberts &C. La sua stagione di gloria è quella del 1985, con il bis nella 250 (contro Tony Mang ecc.) e nella 500 (contro Eddy Lawson ecc.) e con il … tris in USA trionfatore nella F1, nella Superbike, nella 250!
Poi l’inizio della discesa, già nel 1986, per una serie di guai fisici (e non solo…) dovuti alle cadute: tendinite, fratture a ginocchio, problemi di vista, cefalee ecc.). Fu criticato, ingiustamente, da molti e accusato di fare la … “signorina” – per non dir peggio – dimenticandosi delle sue gesta di fuoriclasse e da gran mastino.
Il vero guaio di Freddie si chiamava sindrome del tunnel carpale, oggi facilmente individuabile e operabile. Fatto sta che non uscì più dalla crisi neppure quando nel 1989 Agostini tentò il rilancio riportandolo – ingrassato di oltre 10 chili – in Yamaha e tanto meno quando tornò in Sbk su Honda poi su Ducati Usa, vincendo pure ma non convincendo più.
C’è chi ha paragonato, sul piano umano o su quello psicologico, Spencer a Stoner e indubbiamente i loro sguardi spesso mesti e il sorriso triste possono confermarlo, così come il loro smisurato talento. Ancor di più il sentirsi entrambi “stretti” in un ambiente che pure aveva portato loro gloria e soldi.
E pensare che Freddie, nei primi anni ’80, pareva davvero il number one assoluto, un mangiatutti e un recordman (pole, trionfo con giro veloce ecc.) imbattibile in pista anche per quella temerarietà su moto-rodeo che richiamavano Yarno Saarinen dei primi anni ’70, e capace di una concentrazione psico-fisica straordinaria: dopo il traguardo e una battaglia da far rizzare i capelli Freddie appariva come su Marte, lontano, freddo e per nulla affaticato.
Lui stesso aveva fatto correre la nomea del superman e spesso ripeteva che riusciva a riconoscere tutti i passeggeri di un treno in corsa ad alta velocità. Freddie, per fortuna, è vivo e vegeto e spesso gareggia nei revival con le sue splendide 250 e 500 Honda che lo resero celebre. Oggi è un signore corpulento dai capelli grigi, incline a quel sorriso che prima pareva rifiutasse anche sul gradino più alto del podio.
Freddie anche all’epoca dei suoi trionfi amava l’Italia, amava tutto dell’Italia ed era l’unico pilota americano cui piaceva sentir parlare del passato, dei grandi nostri piloti di prima e dopo la guerra e delle nostre grandi moto da corsa. A voce bassa, a cena, davanti a un bicchiere di lambrusco cantava due strofe di “Quando passava Nuvolari”.
Sono passati 30 anni, più o meno, e pareva allora che il mondo – quello del motociclismo delle 500 – fosse di proprietà americana con Kenny Roberts, Eddie Lawson, Wayne Gardner, Wayne Rainey, Kevin Schwantz. Invece non fu così ieri e non è così oggi. La ruota gira.