Paolo Simoncelli, il peso e il valore del "marchio sul petto"

Paolo Simoncelli ha presentato il super team SIC58 Squadra Corse impegnato nel Mondiale Moto3, CEV e CIV

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 26 gen 2017
Paolo Simoncelli, il peso e il valore del

Campionato Mondiale Moto3 – In queste giornate di moltiplicazione delle presentazioni dei diversi Team per la stagione 2017 una considerazione particolare merita la Squadra Corse SIC58 di Paolo Simoncelli che quest’anno sbarca nel mondiale Moto3. Più che squadra, un vero e proprio squadrone dato che ben tre sono i fronti di combattimento, tutti in Moto3: il debutto nel Motomondiale con Tony Arbolino e Tatsuki Suzuki, la conferma nel CEV (con Yari Montella e Mattia Casadei) e nel CIV (con Devis Bergamini e Matteo Patacca), una filiera di giovani e giovanissimi, addirittura con i pilotini del “tricolore” appena quindicenni o giù di lì.

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Al di là degli obiettivi tecnico-agonistici molto ambiziosi in tutti e tre i campionati quel che più conta è far rivivere “live” in questo progetto l’anima dell’indimenticabile Marco Simoncelli. Non solo, quindi, il proseguimento sul campo del ricordo di un campione che ha lasciato una traccia indelebile nel firmamento del motociclismo mondiale, ma la forgiatura – anche etica – di un marchio, di un “modo” sui generis di concepire le corse dove – per sua natura – l’obiettivo è la vittoria ma che – in questo caso – come ha ribadito Paolo Simoncelli: “Vincere viene in secondo piano, perché c’è l’importanza del marchio che (i piloti ndr) portano sul petto che deve renderli maturi e deve distinguerli”.

Ecco. Pur dovendo come tutti gli altri Team sottostare alle regole della competizione, del marketing e dello show, il SIC58 Squadra Corse compie una svolta imprimendo un salto di qualità dove al centro torna la “qualità”, non solo tecnico-agonistica, ma umana basata sul rispetto di quei valori e su quegli ideali che negli ultimi anni sono andati via via scemando sacrificati sull’altare dello show-business. E’ un richiamo al senso dell’identità e del rispetto verso la Squadra, verso il motociclismo, verso lo sport: una scuola di vita e di pensiero. Paolo Simoncelli, con questa sua impostazione, spinge a una riflessione “questo” motociclismo tutto show e business, richiamando un passato fin troppo frettolosamente archiviato.

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Nessuna nostalgia, per carità! Tanto meno volontà di moralismo. Più volte abbiamo detto che indietro non si torna, che il motociclismo de: “I giorni del coraggio” è oggi improponibile, consegnato alla storia – gloriosa e lieta ma anche dolorosa e costellata di lutti – ma che quella storia può essere di aiuto per non far scadere il motociclismo in un calderone dove conta solo spettacolo “da corsa delle bighe” al Circo Massimo, mero strumento per accendere gli animi dei fan, produrre audience e muovere soldi. Ma ieri come oggi – e Marco Simoncelli ne è testimone tragico quanto luminoso – il motociclismo vive in primis sui “centauri” pronti a giocarsi la pelle per conquistare al tempo un secondo, in nome di un ideale e di una passione che soltanto coraggio, integrità fisica e forza morale possono alimentare e sostenere.

La scena non cambia. Scriveva il compianto Ezio Pirazzini: “Ecco il motociclismo, la grande “compagnia di ventura” dei cavalieri del rischio, i centauri, gli “svitati”, che per un po’ di gloria non esitano a sfidare le mortali insidie dell’asfalto. Dobbiamo ammirarli questi uomini, se non altro perché non tradiscono la loro fede… Essi costituiscono il simbolo più puro della civiltà del motore”. Non siamo agli stessi concetti sollevati da Paolo Simoncelli? Concetti – “l’importanza del marchio che i piloti portano sul petto deve renderli maturi e deve distinguerli” – che per decenni costituirono la base per diventare piloti delle grandi Case italiane: i capi della Guzzi, il Comm. Gilera, il Conte Boselli della Mondial, i fratelli Benelli, il Comm. Morini non battevano sempre su questo stesso tasto?

Non era solo il richiamo dell’appartenenza a “quella” Casa, l’orgoglio di far parte di un Marchio vivo dove il pilota era la punta dia diamante. Era e resta soprattutto il richiamo a una concezione e a uno stile di vita, in pista e fuori, in una scala di valori dove l’importanza del marchio sul petto (Team, Casa, Bandiera, Nazione, Umanità) viene prima di tutto, nel rispetto di se stessi e degli altri, per primi gli avversari. Grazie Paolo Simoncelli.

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