2 ruote fra show e crisi: ciclismo a pagamento, motociclismo… gratis?
La crisi prosciuga anche le casse degli organizzatori delle corse
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Se “Atene piange Sparta non ride” e se il motociclismo ha le sue belle gatte da pelare anche i cugini del ciclismo hanno i loro nodi da sciogliere. La crisi continua a mordere e pure lo sport del ciclismo non gode ottima salute (economica), perde sponsor, cerca nuove idee e nuove fonti di finanziamento.
Come noto, le grandi corse del pedale hanno l’accesso libero e i tanti tifosi si assiepano sulle strade del Giro d’Italia, del Tour de France, della Milano San Remo ecc. senza pagare alcun biglietto d’ingresso, gratis. Sono eccezioni le corse in cui si paga per assistere a una corsa, fra queste il Fiandre, la Koerse, l’arrivo sul mitico pavè di Nokere e poche altre dove chi paga, oltre alla gara, si gode uno show musicale e vive una giornata come in una grande Luna Park.
Gli organizzatori delle corse di bici piangono per i colpi inferti dalla crisi, tant’è che molti di questi pensano che per rinvigorire le loro casse oramai sguarnite sia giunta l’ora della rivoluzione chiudendo l’era degli ingressi gratis per il pubblico. Un conto è dirlo, un conto è farlo. Una cosa è far pagare il biglietto in una corsa all’interno di un velodromo-stadio altro è chiudere e transennare una tappa di un Giro d’Italia (anche solo il finale) di tanti chilometri e con strade libere e lambite da campagne, montagne ecc. Alla fine il gioco può non valere la candela non solo per un rapporto discutibile costi-benefici ma perché, snaturando l’identità popolare del ciclismo, si rischia di gettar via, con la sua gloriosa tradizione, anche il ciclismo stesso. E’ la vecchia storia di chi butta via dal secchio l’acqua sporca e anche il bambino. O, se più aggrada, il cane che si morde la coda.
Il grande pubblico del ciclismo produce grande audience televisiva e quindi forte interesse per le aziende sponsor che pagano per i diritti tv, soldi poi riversati al Circus del ciclismo. Rompere questo equilibrio può portare al ridimensionamento della “baracca”. L’altro limone da spremere è quello delle istituzioni locali impegnate a valorizzare il territorio (non solo sul piano turistico), con il ciclismo valido ambasciatore.
Anche il motociclismo ha vissuto in passato – dal 1937 al 1957 – l’epopea delle gran fondo, le lunghissime affascinanti corse di velocità di oltre 1000 Km quali il Giro d’Italia e la Milano Taranto su strade aperte al pubblico che assisteva a centinaia di migliaia, gratuitamente a bordo strada. Non solo. In passato, in tempi di crisi per l’assenza di pubblico, anche per le gare (nazionali e internazionali) in circuito ci sono stati autodromi ad ingresso gratuito, come ad esempio a Misano (allora Santa Monica) negli anni ’80. Fu un escamotage fallimentare, il pubblico non partecipava neppure gratis.
E’ una lezione che vale anche per oggi. Nessuno va ad assistere a una manifestazione che non ha motivi di interesse mentre non sono pochi – chi scrive queste note ne sa qualcosa – quelli che si sorbiscono anche (costose) trasferte di centinaia o addirittura migliaia di chilometri per un evento importante che poi ti fa esclamare orgoglioso: “Io c’ero!”.
Certo, spesso, specie in Italia, si esagera confidando nella passione smisurata degli appassionati costretti a pagare biglietti d’ingresso esagerati in posti (autodromi) dai servizi scadenti o comunque inadeguati. La corsa, se è un grande evento, merita il pagamento di un congruo biglietto d’ingresso. Di solito, quel che è gratis ha poco valore.
Per decenni le corse di moto si sono sostenute economicamente quasi esclusivamente con l’apporto delle entrate dalla biglietteria, pochi soldi dai pochi sponsor, zero dalle televisioni che addirittura volevano essere pagate per riprendere (male) qualche corsa. La strada scelta per i mondiali (Motomondiale e Sbk) dalla Dorna (e accettata dalla FIM) ha rivoluzionato il motociclismo, oggi assurto a sport di massa ben oltre i confini degli appassionati “duri e puri”, uno show-business basato sull’audience televisiva internazionale che porta aziende sponsor interessate all’immagine e alla pubblicità producendo (ingenti) entrate dei diritti televisivi, introiti che vengono poi spartiti con i Team ecc. in una torta ambitissima dal sapore… di dollari.
Con la competizione dei nuovi canali di comunicazione (pay-tv, pay-per-view, Internet ecc.) per acquisire i diritti di esclusiva anche delle grandi corse motociclistiche è aumentato in modo esponenziale il valore degli stessi portando nel “grande giro” una torta economica notevole, impensabile fino a qualche decennio addietro. La nuova centralità della comunicazione è stata colta dalla Dorna ma molto meno dai Team e dagli altri gestori dei campionati nazionali, ad iniziare dal CIV italiano.
Nel motociclismo, tutt’ora, ci sono moti limiti che ne frenano lo sviluppo. Ad esempio anche i grandi Team non considerano la comunicazione con la stessa “dignità” di altre componenti, privilegiando quelle tecniche a scapito dell’immagine. Si pensa cioè che sono le vittorie a far parlare e se si perde è meglio star zitti.
Spesso molti Team, specie fuori dalla MotoGP, confondono la comunicazione con l’ufficio stampa, affidata per lo più a ragazze di bella presenza digiune sia rispetto alla comunicazione sia rispetto al motociclismo. Il “buco” invernale del motociclismo è l’esempio di come la comunicazione del nostro sport sconti tutt’ora limiti e improvvisazioni, convinti che le corse – quando ci sono – parlino da sole.
Il ciclismo che cerca nuove idee e nuove strade per aumentare le entrate finanziarie è un segnale e anche una lezione che il motociclismo deve cogliere. Se si continua a mungere la vacca senza pensare a come sostenerla e a come rinvigorire i campi per il fieno, prima o poi, la festa finisce.
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