Motomondiale, solo sette italiani iridati della “classe regina” in mezzo secolo! Più facile oggi o ieri?
Italiani "iridati" della classe regina a corrente alternata
Il 55esimo anniversario della morte dell’indimenticabile iridato delle 500 Libero Liberati causata da una banale caduta dopo un test privato di pre campionato sulla strada Valnerina il 5 marzo 1962 è l’occasione per un interrogativo sui piloti italiani di ieri e di oggi impegnati nella classe regina. La domanda è questa: per i nostri portacolori era più “facile” vincere il mondiale della top class nel motociclismo dei decenni scorsi o in quello odierno della MotoGP? Facciamo parlare i numeri. Nei primi 18 anni del campionato del Mondo solamente tre piloti italiani conquistano l’iride della massima cilindrata: Umberto Masetti (1950 e 1952) su Gilera, Libero Liberati (1957) sempre su Gilera, Giacomo Agostini (primo titolo nel 1966) su MV Agusta.
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Cinque anni passano dal mondiale di Masetti a quello di Liberati e ben nove anni dall’iride del ternano al primo titolo dell’asso di Lovere. Va ricordato che Ago – dopo i filotti nel 1966-67-68-69-70-71-72, quindi 75 – fa suo l’ultimo titolo mondiale 500 nel 1975 (su Yamaha) e dovranno trascorrere sei anni per un altro iride italiano, con Marco Lucchinelli (Suzuki) nel 1981, seguito l’anno dopo da Franco Uncini (Suzuki).
Addirittura ci vorranno 19 anni per tornare alle note finali dell’inno di Mameli, grazie a Valentino Rossi, iridato della mezzo litro nel 2001 su Honda. Il resto è cronaca. Quindi in mezzo secolo poco più, sette italiani “mondiali” della classe regina!
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Va subito detto che il motociclismo (non solo nella top class) ha cambiato spesso contenitore e contenuto adattandosi – anche ob torto collo – ai mutamenti sociali, economici, culturali nonché tecnici ed agonistici via via intervenuti nel corso dei decenni. Ma torniamo al dunque. Non è mai stato facile e non è facile conquistare la corona mondiale. Anche perché basta trovarsi di fronte anche solo un avversario tostissimo su una mezzo super competitivo che l’impresa diventa assai ardua se non impossibile. Figurarsi quando gli avversari sono più di uno, addirittura una decina o più, come accadeva a metà degli anni ’50, l’epopea d’oro delle corse, specie per l’industria italiana e per i piloti (italiani e non), pur se fra giornate gloriose e anche funeste per la precarietà della sicurezza con incidenti anche mortali in ogni gara.
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Era l’epopea delle grandi Case con grandi squadroni: Ajs, Norton, Bmw, Gilera, Guzzi, MV Agusta (stiamo parlando della sola 500…) allo start ognuna con almeno due piloti ufficiali, quando non quattro o addirittura di più. Tradotto significa che oltre dieci piloti si giocavano gara e mondiale. Dal 1949 a tutto il 1957 gli italiani erano Masetti, Pagani, Bandirola, Artesiani, Milani (Alfredo), Colnago, Bandirola, fino a Liberati e pochi altri, presenti sporadicamente. Un drappello “tricolore” che toccava le dieci unità.
E gli avversari? Un (quasi) esercito: Graham, Doran, Duke, Lomas, Amstrong, Coleman, Kavanagh, Amm, Dale, Monneret, Hartle, Zeller, Surtees, McIntyre, Brett, Minter, Browne cc. Poi arriveranno Hocking, Hailwood, Redman, Read ecc. a chiudere l’era del motociclismo de: “I giorni del coraggio”. Alcuni di questi grandi assi stranieri devono le loro vittorie (anche) grazie alla qualità delle moto italiane le cui Case non erano tanto interessate al passaporto del pilota ma al suo… manico.
Non si può dire altrettanto della Case estere – specie poi di quelle giapponesi fino all’arrivo di Agostini – che per molte stagioni rifiutarono gli italiani. Il motivo? Non certo la mancanza di talento dei nostri piloti, i quali avevano però un limite: di essere… italiani, cioè del Paese dove c’era una industria motociclistica concorrente e (tutt’ora?) potente.
Insomma, a metà degli anni ’50 circa, un Masetti, un Liberati, un Milani ecc. dove misurarsi con oltre dieci piloti su moto ufficiali e competitive. Una impresa quasi disperata. Ragion per cui, ad esempio, era meglio gareggiare (e vincere) nelle altre categorie come fecero sempre due fuoriclasse quali Carlo Ubbiali e Tarquinio Provini, insuperabili nelle 125 e 250 ma mai saliti su una 500. Successivamente Agostini lottò (parliamo sempre della classe regina) prima con Hailwood, poi con Read, Saarinen, quindi Sheene, Cecotto, Roberts. Presi però separatamente, misurandosi quindi in ogni stagione con uno-due, al massimo tre-quattro avversari di pari valore e mezzo. Lucchinelli e Uncini, se non una meteora rappresentarono una parentesi (pur prestigiosa) nel regno degli americani e degli australiani.
Dell’era Rossi si sa tutto e qui non ci torniamo se non ribadendo l’eccezionalità di un campione di grande fiuto, talento e concretezza, capace di aver riportato l’iride della top classe in Italia dopo … 19 anni e di essere ancora oggi fra i papabili per il titolo MotoGP nel 2017.
Qui siamo. Da qui si riparte. Quanti italiani possono aspirare al titolo MotoGP 2017? Potenzialmente Rossi, Dovizioso, Iannone. Ma è indubbio che è ancora Valentino – dopo quasi due decenni in campo e dopo 9 titoli iridati – ad avere le maggiori chances, fra i nostri. Quanti piloti lottano per il titolo MotoGP 2017? Potenzialmente tutti quelli in sella a moto ufficiali (Honda, Yamaha, Ducati, Suzuki, Aprilia, Ktm), quindi almeno 12.
In realtà il titolo se lo giocheranno alla fine in due o tre, i “soliti noti”. La storia si ripete o è tutta un’altra storia? Dipende non solo dai punti di vista ma da come e da quand’è che si fanno i raffronti. Un dato è certo, il motociclismo era e resta nel cuore della gente. Questo è il dato che non cambia. Questo è quel che conta.