Moto3, italiani in “chiaroscuro”: sfortunati o sopravvalutati?
Con il trionfo in Texas Fenati "salva" gli italiani dopo i primi tre round extra europei
Dopo le prime tre gare iridate extra europee anche la Moto3 è al giro di boa iniziale sbarcando in Europa per l’appuntamento del 7 maggio a Jerez. Siamo solo all’inizio e tutto può accadere ma i primi tre round sono indicativi dello stato della fiera, con il bilancio dei piloti italiani tutt’altro che esaltante, non pesantemente in “rosso” grazie alla vittoria di Romano Fenati (Honda) in Texas, salvatore della … patria.
I nostri “magnifici 10” – pur in modo diverso fra loro – non hanno tradotto i roboanti annunci in eclatanti risultati, per alcuni un vero e proprio flop. Nel motociclismo show-business vige la logica del marketing usa-e-getta con il pilota “pompato” all’inverosimile, spesso inventando “fenomeni” che in realtà sono semplicemente comprimari, da piazzare e vendere sul mercato, come un prodotto, alla stregua di un dentifricio.
In un Circus raffazzonato senza arte né parte di improvvisati PR, uffici stampa, manager, in un stantio e falso refrain del “ciao-ciao! Come stai!” fra ombrelline malpagate e Vip…pini con ricchi premi e cotillons all’interno di hospitality hollywoodiane e iper Van nella logica del “io ce l’ho più lungo del tuo”, importante è illudere, far passare latta per … oro. Il fine è sempre lo stesso: inventare campioni da trasformare in mito per alzare il prezzo, spremere il limone fino all’ultima goccia (cioè fino all’ultimo euro) per poi abbandonare il pilota-promessa-mancata che ripercorre precipitosamente all’indietro la scala del successo svanito, sostituendolo con un altro aspirante campione in un perverso gioco dell’oca dove chi perde è soprattutto lo sport.
Le eccezioni confermano la regola. Qui siamo, specie in una classe di giovani da lanciare, qual è la Moto3, giunti fino al Mondiale pagando di tasta propria. Così, il potenziale, invece di svilupparsi, rischia di inaridire e le promesse di rimare … tali.
Dal primo round in Qatar del 26 marzo scorso al terzo del Texas del 23 aprile (il secondo è stato in Argentina il 9 aprile) è passato praticamente un mese, un tempo troppo breve (tre gare in meno di 30 giorni) per modificare i valori in campo, soprattutto riferiti alle moto. Così, chi parte in vantaggio in vantaggio rimane. Tradotto sul piano tecnico significa che lo step evolutivo della Ktm (almeno un CV in più rispetto al 2016 ecc.) non è stato sufficiente a contenere il gran passo avanti della Honda, oggi indubbiamente la moto con il “quid” in più. Stiamo parlando di “sfumature” – attualmente non c’è nessuna moto con una netta superiorità complessiva, caso mai c’è quella con evidente gap, cioè Mahindra (e cugina Peugeot) – perché in “questa” Moto3 oggi è il pilota (con il supporto del Team) che fa la differenza: lieve ma sufficiente per “piegare” gli avversari.
Nel 2016 l’esperto Binder faceva la differenza, anche grazie alla superiorità del motore della sua Ktm e del suo super Team. Quest’anno Mir, Martin e Canet – anche McPhee non scherza, specie in condizioni… anomale – pur non privi di limiti, dimostrano un particolare stato di grazia, sancito dalle classifiche delle tre gare e dalla classifica generale del campionato. Facciamo parlare i numeri.
Con la vittoria (e la pole) in Texas Romano Fenati ha dimostrato di aver definitivamente messo alle spalle il suo periodo buio: ha recuperato la migliore condizione, anche psicologica, dispiegando il suo forte carattere pur se a volte inficiato dalla… luna storta, un pilota talentuoso e solido, deciso a non mancare l’obiettivo iridato 2017. Oggi, è lui il pilota italiano più completo e accreditato per la conquista del titolo: non a caso è stato scelto in squadra da un “guru” e talent scout di qualità qual è Giancarlo Cecchini, decano e pluri titolato dei super tecnici e manager del Motomondiale.
A scanso di equivoci, quanto detto su Fenati non sminuisce il valore degli altri italiani, alcuni (in primis Bulega e Di Giannantonio) con alto potenziale (espresso però ancora in modo altalenante e incompiuto), altri in fase di eccessiva stand-by (Antonelli) o in recupero tardivo (Bastianini), altri ancora in forte difficoltà, vuoi per la scarsa competitività del mezzo, vuoi per scarsa esperienza, ma vuoi anche per eccessiva sopravvalutazione. A fine campionato ci saranno sorprese anche amare, con retrocessioni che la dicono lunga sui criteri di selezione e anche sul valore di certi campioni e di certi campionati, esageratamente pompati.
Torniamo ai numeri. La conquista di Fenati del primo gradino del podio in Texas – come detto – ha “salvato” la tripla trasferta della pattuglia dei 10 piloti italiani impegnati nel mondiale della classe cadetta. Dei “giovani leoni” azzurri solo Fabio Di Giannantonio, in ascesa, è andato a podio, con Bastianini quarto e Bulega quinto, in volata, belle corse ma con davanti sempre qualcun altro. A Losail il miglior risultato era stato il quinto posto di Fenati, in Argentina il quinto posto di Migno. La difficoltà dei nostri risulta anche dalle pole: a parte quella in Texas di Fenati (terzo miglior tempo anche a Losail) e l’ottimo secondo miglior tempo di Bulega (eccelsi exploit sul giro veloce non sempre confermati in gara) in Argentina (e quarto tempo in Texas), tutto il resto è poca cosa.
La cartina del tornasole viene dalla classifica generale del campionato con quattro Honda nei primi quattro posti a conferma di quanto sopra scritto sul livello delle moto ma anche su quello dei piloti. Il primo degli italiani è il 21enne Fenati (Honda, quarto con 45 punti) dietro al terzo 23enne McPhee (Honda, 49), al secondo 19enne Martin (Honda, 52), al primo 20enne Mir (Honda, 58). Dei nostri, dopo Fenati c’è il 21enne Migno (primo pilota Ktm 5° con 25 punti), il 17enne Di Giannantonio (Honda, 6° con 24 punti), quindi il 20enne Bastianini (Honda, 11° con 13 punti), il 17enne Bulega (Ktm, 12° con 13 punti come Bastianini e Binder 13°), il 21enne Antonelli (Ktm, 14° con 11 punti), poi il 17enne Arbolino (Honda, 22° con 2 punti) e infine tutti a zero punti il 19enne Bezzecchi (primo pilota Mahindra, 24°), il 21enne Pagliani (Mahindra 27°), il 20enne Dalla Porta (Mahindra, 30°) e penultimo assoluto. Quindi – dato tecnico importante – dominio Honda (8 nei primi undici posti, poi 16°, 17°, 18°, 19° 21°, 22°, 26°) con Ktm al 5°, 7°, 9° poi al 12°, 13°, 14°, 15°, 20°, 23°, 29°), con Mahindra al 24°, 27°, 28°, 30° e Peugeot al 25° e al 31° posto.
Ultima considerazione sullo Sky-VR46 Team i cui risultati non sono (fin qui) adeguati alle aspettative e al potenziale economico, tecnico, organizzativo, di immagine profuso. Il Team c’è ma non convince, non lascia il segno dell’autorevolezza, costretto a inseguire in corsa e in campionato. Cosa manca? Come sempre, i fattori che fanno o non fanno il risultato sono diversi.
Migno è pilota veloce ma discontinuo e incline all’errore. Il più accreditato (per i promettenti “lampi” del 2016 dopo il bel biglietto da visita della “corona” nel Cev-mondialino Moto3 2015)) Bulega resta (con Di Giannantonio) il nostro pilota “junior” dal più alto potenziale, capace di inventarsi l’impossibile con acuti che denotano stoffa di gran pregio, un mix di qualità cui però non corrispondono risultati pari alle premesse e alle … promesse. Le dimensioni fisiche (altezza e peso) di Nicolò sono in questa categoria un handicap non da poco, con il tetto del pacchetto moto-pilota sotto i 147 kg.
Tocca al Team aiutare Bulega nell’ulteriore step evolutivo cui manca il suggello del suo primo trionfo (a Jerez?) iridato per chiudere definitivamente il capitolo “promessa” e aprire quello nuovo verso un futuro di grande interesse per se stesso e per il motociclismo italiano. Fatto sta che il Team è stato fin qui una delusione. C’è un problema di “manico” nella gestione? Serve un salto di qualità mettendo un nuovo direttore d’orchestra con il carisma, l’autorevolezza, l’esperienza tecnico-agonistica adeguate. Chi? Luca Cadalora.