SBK, Rea “dittatore”. Kawasaki in fuga. Ducati in affanno. A Imola la riscossa?
Rea-Kawasaki imprendibili. Ma il Mondiale non è chiuso
Adesso, dopo il week end di Assen con la perentoria doppietta di Jonathan Rea e il dominio Kawasaki, non resta che appellarsi al “Santerno”, non un santo ma il circuito di Imola dove fra meno di due settimane c’è il quinto appuntamento iridato 2017.
Dopo i primi quattro GP stagionali – 8 round perché come noto si corre Gara1 il sabato e Gara 2 la domenica – il campionato non è ovviamente deciso ma ha imboccato una strada a senso unico marcata Rea-Kawasaki che lascia poche speranze agli avversari, Ducati compresa.
La classifica fotografa la realtà: Rea (195 punti), Sykes (131), Davies (111), Melandri (97), Lowes (76), Van der Mark (62), Fores (60), Torres (57), Camier (54), Laverty (46), Hayden (36), Bradl (35). Questi i primi 12 posti, quindi in testa – staccatissime – le due Kawasaki, poi le due Ducati Casa, quindi due Yamaha, la Ducati no factory, la Bmw, la Mv Agusta, l’Aprilia, le due Honda.
Non serve il pallottoliere per misurare questi gap, specie ai vertici della classifica. Sbk con gran giostra di marchi diversi – e che marchi! – ma è uno solo, quello della “verdona”, a dominare con Rea “cannibale” e Sykes scudiero suo malgrado; è la Ducati che ci prova ma non riuscendo ancora a tagliare per prime il traguardo; tutte le altre sono state fin qui solo comprimari, seppur di nobile lignaggio.
L’abbiamo scritto più volte, sempre isolati, che non è la quantità delle Case in pista a nobilitare e rendere appetibile il campionato ma la qualità del loro impegno profuso nelle corse, specificatamente in questo mondiale definito ancora impropriamente delle “derivate di serie”. Solo Kawasaki, puntando agonisticamente tutto sulla Sbk, esprime al massimo il suo potenziale (tecnico, organizzativo e finanziario) di cui dispone.
Anche Ducati non scherza, ma la Casa bolognese – pur facente parte della costellazione del noto colosso automobilistico tedesco e supportata da munifici Sponsor – opera contestualmente nei due forni della Sbk e della MotoGP: impresa ammirevole ma non priva di difficoltà, come dimostrano i risultati di qua e di là. Pare proprio che a Borgo Panigale, invece di fare tesoro delle due esperienze rendendole complementari pur nella loro diversità e autonomia, l’una danneggi l’altra e viceversa.
C’è da aggiungere il gap del motore bicilindrico – propulsore eccellente ma datato – sperando che quanto prima (ma quando?) si veda in pista la nuova cavalcatura con l’inedito 4 cilindri, di cui si sa poco ma si dice un gran bene. Speriamo. Il rischio è quello di aver già perso (con le attuali bicilindriche) ogni speranza iridata per il 2017 e di fare (con la inedita pluricilindrica) un 2018 da … rodaggio.
Il discorso piloti è sempre una patata calda (anzi bollente): Rea è oggi il più forte in campo perché il più completo sul mezzo più competitivo perché più equilibrato. Su una verdona così e con un Rea così forse un Davies e un Melandri sulle Kawa non farebbero i “cannibali” ma – specie il primo – sarebbe ben più competitivo e comunque in grado di ottenere la piazza d’onore, come fa Sykes.
Ducati ha due piloti di valore, molto diversi fra loro anche sul piano delle motivazioni, indotti però all’errore anche perché – specie Chaz – sempre al gancio, e di più, nell’intento di sopperire col manico alla inferiorità del suo mezzo. A Imola è l’ultima occasione: Davies memore della doppietta del 2016 e Melandri per ritrovare sul circuito di casa la zampata vincente. Illusione?
Detto di Kawasaki e Ducati, e poi? Yamaha in crescita, pronti per exploit in gara, ma non per battersi adeguatamente per il campionato anche perché i suoi piloti, entrambi d’assalto, non sono il massimo per affidabilità. Honda – delusione del 2017 per gli annunci di riscossa non mantenuti – resta addirittura fuori della top ten facendo ingoiare rospi a gente come Hayden e Bradl, non proprio due… scarsi. La Bmw si trastulla e grazie a Torres gode solo nel mettersi dietro moto quali Mv Agusta (Camier fa miracoli con quel motore attempato) e soprattutto Aprilia, ben lontana dal recuperare i suoi antichi splendori legati a Max Biaggi. A parte l’ex iridato Laverty, passista agganciato col fil di lana alla top ten, a farne le spese di questo impegno stop –and-go della Casa di Noale è Lorenzo Savadori, il nostro giovane più promettente, costretto a strafare e quindi a raccogliere spesso solo il sabbione dopo le cadute.
Qui siamo. Con un campionato che sempre promette ma poi non convince. E gli stessi spalti sguarniti di Assen – dove si fa il pieno anche se si corre con i … tricicli – dimostrano quanto la Sbk stenti a trovare la via del rilancio. Quel rilancio che forse è proprio la stessa Dorna – promoter unico della Sbk e della MotoGP – a non volere. Aspettando Imola.