Corse e sicurezza, anche mezzo secolo fa fra muri e scarpate
Il rischio è ineliminabile ma la sicurezza non è un optional
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Come sempre, dopo un incidente mortale come quello di Daniel Hegarty nel recente GP di Macau, nel mondo delle corse tutto torna come prima sia per quanto riguarda la sicurezza sia rispetto alle solite frasi di circostanza – anche retoriche e conformiste – riferite al pilota scomparso. Le corse di moto e di auto (al pari di altre discipline sportive) restano ad alto rischio e chi volontariamente fa il pilota per esaudire la propria passione se ne assume la piena responsabilità. Ma non è vero che per passione si può andare allo sbaraglio, mettere a repentaglio la propria incolumità, addirittura la propria vita e soprattutto quella degli altri.
Le corse non sono una corrida né una ruolette russa dove l’eccezione è quella a fine prova di essertela scampata. Correre è da sempre uno sport complesso che, oltre a imporre sacrifici di vario tipo, richiede tecnica, disciplina, forma psico-fisica, lucidità, mezzi e circuiti adeguati alla ricerca della massima competitività coniugata alla massima sicurezza possibile.
Se uno o più elementi citati (e altri) vengono a mancare serve l’intervento “interno” (organizzatori di gare) o “esterno” (Organizzazione sportiva o Federazione ecc.) capaci, con regole e forme disciplinari, di provvedere fino a proibire gare ad altissimo rischio, come è accaduto tante volte in passato in Italia e altrove.
Quando, per semplice passione o sotto la spinta di ancestrali pulsioni popolari con la bramosia del “salto nel buio” o per esigenze di cassetta, si continua a organizzare gare da “giro della morte” come niente fosse, contando senza batter ciglio feriti e morti, in barba alle più elementari norme di sicurezza (anzi facendo del rischio il vero appeal di manifestazioni anacronistiche come è ad esempio il GP di Macau ma anche l’odierno TT dell’Isola di Man) allora ci vuole l’intervento delle autorità istituzionali che mettano fine alla giostra che si trasforma in mattanza.
Il rapporto incidenti in pista con quelli stradali è fuorviante, un modo per nascondere la testa sotto la sabbia pensando così di mettersi a posto con la propria coscienza. E’ lo stantio refrain del vivere un “giorno da leoni”… Siccome tutti dobbiamo morire a che serve curarci?
Ecco l’esigenza dell’intervento “super partes”. Non è stato così ad esempio in Svizzera nel dopoguerra e non è stato così in Italia dopo l’incidente mortale di Angelo Bergamonti a Riccione il 4 aprile 1971 quando il Governo ha proibito con un decreto legge le corse sui circuiti stradali mettendo fine all’epopea ultra decennale de: “I giorni del coraggio” sempre in bilico fra gloria e tragedia?
Ma era un motociclismo diverso in un mondo diverso. A Riccione, nella classe 500, Giacomo Agostini sulla MV Agusta 4 cilindri (80 CV di potenza) girava poco sopra i 100 Kmh di media sul giro! In Italia il circuito (affascinante) più pericoloso era quello di Ospedaletti-SanRemo (una mini-copia dell’ancor più brutale circuito di Abbazia nella ex Jugoslavia) dove addirittura nel dopoguerra correvano anche le Formula uno con piloti del calibro di Nuvolari, Fangio, Ascari, Bira, Villoresi, Serafini, Ascari. Quanto giravano? L’ultima edizione automobilistica del 1951 fu vinta da Alberto Ascari sulla Ferrari 375 F1 alla media di 101,70 con il giro veloce di 105.53 Kmh! Poi, dopo il gravissimo incidente di Jonny Claes 1951, le corse di auto furono proibite e lo stesso epilogo – nel 1973 causa gli incidenti mortali a Monza di Pasolini e Saarinen e poi di Galtrucco Colombini Chionio – si ebbe per le moto.E, comunque, sui saliscendi di Ospedaletti la 500 girava a poco più di 100 Kmh….
A Macau, sul circuito di Guia, come noto, si corre con Ducati 1199RS, Bmw S1 1000 RR, Kawa ecc, in un budello di 6 chilometri e 118 metri fra muri, lame di guard-rail e grattacieli. Una sfida alla dea bendata, non una lotta fra piloti. Chi ha pazienza, vada a vedere le medie delle velocità sul giro… Poi, forse, si può proseguire il confronto.
Foto | 1968 circuito stradale di Ospedaletti-San Remo, lotta nelle 250 fra Phil Read (Yamaha 4 cilindri 2 t) e Renzo Pasolini (Benelli 4 cilindri 4 t). Muri, muretti, pali e strapiombi. Ma la corsa, poi, fu abolita. Appunto.
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