Riccione, quel 28 marzo 1971 che anticipò la tragedia del 4 aprile. Fine di un’epopea
Prima del via, sotto il diluvio, un Ronci cupo, chiede ai piloti “moderazione”. Invano.
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Nel motociclismo, non di rado, le bizze di Giove pluvio hanno condizionato il risultato di gare e campionati, addirittura trasformando momenti di festa e di gloria in giorni di dolore e di lutti. Così accadde a Riccione 47 anni fa in quell’indimenticabile beffardo 28 marzo 1971, anticipatore della tragedia del 4 aprile, con in calendario il secondo round stagionale dopo l’ouverture del 19 marzo a Modena, di fatto una appetitosa “pre-mondiale” con la cornice di 50 mila presenti.
Il circuito “Perla Verde” sui viali del mare di Riccione era entrato alla grande nel giro della Mototemporada Made in Italy (in particolare emiliano-romagnola) fin dal 1962 agganciandosi così ai blasonati appuntamenti di Imola, Modena, Cesenatico, cui seguiranno Rimini e Cervia-Milano Marittima dentro una rosa di gare nazionali-internazionali che non lasciava scoperta nessuna area d’Italia con Monza, Vallelunga (Roma), Pergusa (Enna), Ospedaletti (San Remo), Pesaro. Va detto che nell’immediato dopoguerra, per oltre un decennio, non c’era città o paese dove dalla primavera all’autunno, ogni domenica, non si corresse in moto, fra gare titolate di gran livello e gare di campionati minori, ma pur sempre piene di piloti e di pubblico.
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Quelle gare erano appuntamenti imperdibili per tanti italiani che anche così esprimevano la volontà di tornare a vivere di gran corsa, all’aperto, inebriati dal rombo del motore e dalle gesta dei centauri, vivendo insieme come gran festa una giornata di sport, dimenticando la tragedia bellica e spingendo la ricostruzione del Paese. Corsa dopo corsa, anno dopo anno, il motociclismo diventava una espressione di un’Italia che ritrovava se stessa, di nuovo competitiva e vincente, simbolo di una nuova epopea. Ed ecco Riccione, località che grazie alla intuizione e alla laboriosità dei suoi abitanti (e anche alle vacanze estive del Duce…) era stata, con Rimini, antesignana sulla costa Adriatica del turismo balneare di massa richiamando gente anche dall’estero.
Attorno al Moto Club diventato di fatto il “circolo cittadino” si coagulò la componente di stimolo della collettività che comprese e sviluppò la potenzialità delle gare di moto di alto livello impegnandosi nell’organizzazione di grandi manifestazioni utili alla promozione e all’immagine del territorio, grazie al tam-tam di giornali e tv. Le corse, come detto, c’erano anche prima ma fu la Mototemporada (intesa anche fuori dai confini strettamente geografici), promossa da un coraggioso manipolo di organizzatori, a tessere una nuova tela unificando sinergie per alzare il livello, portando il motociclismo oltre i propri confini e oltre lo sport.
L’iceberg di questi promotori del motociclismo definito dalla magistrale penna di Ezio Pirazzini “I giorni del coraggio” vede svettare un terzetto di uomini diversi fra loro ma tutti e tre a dir poco geniali, con una smisurata passione e un pizzico di pazzia: Checco Costa patron dell’autodromo di Imola (promoter di manifestazioni che hanno fatto la storia del motociclismo mondiale quali Coppa d’Oro Shell e 200 Miglia); Amedo Ronci deus ex machina del Moto Club Riccione; Goffredo Tempesta animatore del Moto Club “Tonino Benelli”.
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Con loro inizia quel motociclismo moderno che si evolve in sport-show-business e promotore del territorio, ma non snaturandone l’identità incentrata sul cuore della passione popolare, sulla bandiera, sulla Marca, sul Campione, su un mix innovativo e stimolante di tecnica e agonismo, senza mai scadere nel posticcio e nel finto. Una epopea esaltante, fra lampi di gloria e schegge di dolore, un mondo a misura delle gente, non perfetto ma genuino, spesso in balia di un destino che imponeva ai suoi eroi un prezzo sin troppo elevato. Le corse, si sa, sono anche rischio. La signora in nero non fa “toc-toc”, si ripresenta a suo modo e chiede il conto: ecco la tragedia riccionese del 4 aprile 1971 e – in tutt’altro circuito e in tutt’altre condizioni meteo – la tragedia monzese del 20 maggio 1973, addirittura con il mortale replay poche settimane dopo.
Cosa accadde nel “Perlaverde” romagnolo? L’anteprima del rinvio – per maltempo – della gara di Riccione dal 28 marzo 1971 sfocia il 4 aprile nell’epilogo tragico con l’incidente mortale di Angelo Bergamonti provocando l’alt delle corse su “strade libere”, la fine della “bella epoque” del motociclismo. Una scena classica. Quel 28 marzo di 47 anni fa, l’imperversare di pioggia e vento rendono il circuito impraticabile imponendo al patron Ronci la bandiera rossa posticipando la corsa internazionale di una settimana. Non era mai accaduto prima. Il “Circus” si gode così una pausa al sole di primavera, tornato a splendere sin dal lunedì 29 marzo. Ma il destino non fa sconti e non cancella l’appuntamento con il fatidico giorno.
Domenica 4 aprile si ripresenta la stessa cornice invernale della settimana precedente, addirittura peggiorata. Il cartello pubblicitario sul circuito: “Un pieno di sole a Riccione”, oramai sapeva di beffa. Sin dal mattino del 4 aprile una pioggia fittissima copriva di nuovo la riviera e un vero e proprio nubifragio spinto da una bora tagliente si abbatteva alla partenza della 350, la gara più attesa per la battaglia annunciata e infervorata da strascichi polemici fra i due piloti ufficiali della MV Agusta Giacomo Agostini e Angelo Bergamonti. Chi scrive queste note era lì. Agostini scatta al comando. Bergamonti, partito male, si getta in un inseguimento forsennato. Al settimo giro, il 32enne pilota di Gussola mette Ago nel mirino, pronto per l’aggancio. Il “Berga” allunga ancora la staccata ma una pozzanghera lo tradisce: cade, la 3 cilindri di Cascina Costa si intraversa violenta, innescando la fatale parabola.
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La corsa non viene fermata. Ago vince e sul podio si chiude in se stesso. Bergamonti morirà alle 23,45 al Bellaria di Bologna, dove, viste le condizioni disperate, era stato trasportato dall’ospedale di Riccione. Torneremo sull’incidente in un prossimo post in ricordo del 4 aprile. Quella tragica gara scatenò l’inferno dei “benpensanti” contro il motociclismo, una vera e propria caccia alle streghe, con inchieste e accuse di ogni tipo, con l’incriminazione degli organizzatori ecc.
Il Governo (di fatto una commissione interministeriale), di rado così zelante, rese operativa una anacronistica circolare del Ministero Turismo e Spettacolo del 30 giugno 1962, con lo stop delle corse sui circuiti cittadini. Con i circuiti-show di “Villa Fastiggi” e del “Berloni” Pesaro riuscirà ad aggirare poi quel veto con due storici eventi. Ma sarà un fuoco di paglia. E’ l’addio alle armi. Si chiudeva definitivamente un’epoca ultradecennale, fra gloria e tragedia. Il motociclismo, dai circuiti stradali a quelli permanenti, cambiava teatro forse trascinandosi dietro i mali di sempre ma con meno fantasia e meno cuore.
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