Mugello, i soliti “quattro fanatici” non rovinano la festa dei 150 mila

L’autodromo deve rimanere un luogo di grande sport, di grande festa per tutti.

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 4 giu 2018
Mugello, i soliti “quattro fanatici” non rovinano la festa dei 150 mila

Anche in questa spettacolare e affollata edizione del GP d’Italia al Mugello non sono mancate le “prodezze” di chi va in circuito non tanto per vivere dal vivo una giornata di sport, per tifare o supportare il proprio beniamino, ma per esternare la propria maleducazione che in alcuni sfocia in un vero e proprio istinto al teppismo se pur solo verbale. Non è vero che questa deriva, fortunatamente riservata ad una ristretta minoranza di individui è la conseguenza del pienone in autodromo, anche all’epoca di Agostini c’erano gli spalti colmi di gente, ma è forse vero che è frutto del motociclismo diventato sport di massa, sport televisivo che richiama davanti alla tv un vasto pubblico generalista come altri sport, calcio in primis e come altri sport si porta dietro il positivo e il negativo.

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I tifosi e i cosiddetti “fan”, si sa, sono tutt’altra categoria dai fanatici che possono essere suddivisi in vari segmenti partendo dalla maggioranza dei “fan per bene” su su, in una spirale dove si arriva ai più duri, ai provocatori, fino ai teppisti e a veri e propri professionisti del delinquere.

Non bisogna fare di tutta un’erba un fascio: il fan, singolo o organizzato nel “fan club”, è un appassionato che si lega ad altri nell’ammirare e sostenere “sportivamente” il proprio beniamino; invece il fanatico vero – non l’appassionato che si fa prendere la mano e, un po’ brillo o peggio, esagera – ha una passione che travalica l’ammirazione sportiva e la capacità di intendere e di volere sfociando in atti inconsulti.

Spesso lo sport e il campione diventano solo una scusa per dar sfogo alle proprie perversioni. Ovvio che, in certi casi, quando si entra in un altro contesto – quello della sicurezza – non è più una questione di etica civile o sportiva ma le intemperanze diventano oggetto della legge (uguale per tutti) fino ai reati da codice penale.

Che dire? Da vergognarsi. Punto. Ma ci strappiamo le vesti perché oramai il motociclismo è “ammorbato” come il calcio? Ci laviamo la coscienza cercando il capro espiatorio e puntando il dito contro un pilota o un altro e i loro rispettivi “clan” rei di aver contribuito alla degenerazione del motociclismo una volta bello, pulito, sano, puro con sugli spalti solo i “veri” appassionati super partes capaci di applaudire tutti alla pari? Serve il buon senso, il senso della misura, senza facili generalizzazioni, senza buttare altra benzina sul fuoco.

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E non confondiamo le punte minoritarie dei soliti noti (cioè dei soliti stupidi), fanatici di professione, con chi – magari a tinte troppo forti – esercita il proprio diritto di applaudire più che può il proprio beniamino fischiando più che può il suo avversario. Non bisogna fare di tutta un’erba un fascio, dicevamo, ma non bisogna tacere di fronte ai fatti: ancora una volta alcuni fan si sono comportati male (e qui non conta il numero), sapendo che anche poche mele marce rovinano l’intero cesto e comunque conta il principio del rispetto e del buon senso, troppe volte smarriti.

Purtroppo oggi la violenza è nella società, quasi ovunque, non solo nello sport, una violenza che si sprigiona anche dal modo di pensare, di fare e di comunicare. L’abbiamo già scritto su Motoblog:

“L’autodromo deve rimanere un luogo di grande sport, di grande festa per tutti: non può diventare un lager imbavagliato ma men che meno deve diventare il nuovo Colosseo, una “terra di nessuno” per i nuovi “giustizieri” intenti solo a strumentalizzare le corse e i piloti per coprire il proprio vuoto mentale e l’abisso delle proprie frustrazioni. In autodromo si va per assistere a un grande evento sportivo, ad alto rischio per i corridori, si va per fare festa non per fare casino o, peggio, per fare male agli altri con la scusa del tifo sportivo”.

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