MotoGP: Marquez-show, arieccolo! Gran Dovi. Iannone a podio. Jorge ko
Il gong finale premia Marc Marquez che da ragioniere con il pallottoliere torna nel ruolo di mattatore, il cecchino che non perdona, sesta vittoria stagionale, 67esima in carriera.
La miglior difesa è l’attacco. Specialmente se non è un assalto sconsiderato alla baionetta ma un lavorio di sapiente tatticismo, dosato e incessante per stressare l’avversario togliendogli via via forze, lucidità e velleità di successo. Così, Aragon, da pista si trasforma in ring, con i due combattenti – straordinari per classe e determinazione – che non lasciano nulla di intentato, pur senza la minima scorrettezza, per aggiudicarsi il round. Ma, si sa, vince uno solo.
Il gong finale premia Marc Marquez che da ragioniere con il pallottoliere torna nel ruolo di mattatore, il cecchino che non perdona, sesta vittoria stagionale (67esima in carriera), lasciando al pur superbo Dovizioso l’illusione di una battaglia ancora aritmeticamnete aperta per quel titolo iridato 2018 che il fuoriclasse della Honda sente oramai in tasca.
Dovi – con Lorenzo ko già alla prima curva e con Rossi solo ottavo con la Yamaha in barca – mantiene salda la seconda piazza in classifica generale ma il gap nei confronti di Marquez aumenta passando da 67 punti a 72. Finisce qui? Finisce qui. E’ stato bello. Un secondo posto non si butta via ma qui Ducati arrivava col vento in poppa dei successi precedenti e dell’ultimo trionfo di Misano, per di più con la spinta di una doppietta in qualifica (pole record di Jorge sul Dovi) che alimentava speranze e, perché no!, sogni di gloria.
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Non è stato così. La caduta di Lorenzo (che errore!) alla prima curva dopo lo start era il segnale di una giornata difficile. Dovizioso ha retto l’urto, guidando alla grande la corsa per molti giri e in più fasi. Ma Marquez ce l’aveva nel suo mirino, pronto a sparare il colpo in canna decisivo. Andrea è un signor pilota ma lo spagnolo della Honda, quando serve, fa la differenza. Ciò non significa che anche il “cannibale” sia privo di limiti e senza errori: non è imbattibile (Andrea e Jorge lo hanno dimostrato anche se Marc in qualche gara preferiva la difesa del proprio pesante bottino in classifica…) ma i risultati, oltre che il pedigree, parlano da soli.
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Delusione anche per un Petrucci che non sprofonda ma non eccelle, anche qui con un modesto settimo posto con il pesante gap di quasi 15 secondi. Gran bel ritorno sul podio, invece, di Iannone, che dopo mesi bui sorride due volte per il gran risultato alle spalle di Marquez e Dovizioso e per essersi tenuto dietro Rins.
Suzuki comunque positive, davanti a gente come Pedrosa, A. Espargaro (ah, c’è finalmente l’Aprilia!), poi Petrucci, Rossi, Miller, Vinales. Rossi mastica amaro perché fuori – molto fuori- dai giochi che contano. Valentino, però, non ha alzato bandiera bianca.
E già per questo merita il plauso. Partito 17esimo sgomita forte e si fionda in breve fino al nono posto anche se poi lì si inchioda, con il guizzo finale di scavalcare Miller. 15 secondi di distacco sono un abisso che la dicono lunga sullo stato di crisi della Yamaha. La conferma, se ce ne fosse bisogno, viene da Vinales, decimo posto nell’abisso di 22 secondi e mezzo di gap. Tutto da rifare per la Casa dei tre diapason? Più facile dirlo. Si vedrà. Il resto in cronaca.
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