MotoGP, Yamaha debacle: colpa dei piloti? No, è crisi “tecnica”. Ecco perché

La M1, di fronte al salto in avanti di Ducati e Honda, non regge l’urto e non è più competitiva, superata ad Aragon anche dalle Suzuki.

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 24 set 2018
MotoGP, Yamaha debacle: colpa dei piloti? No, è crisi “tecnica”. Ecco perché

A bocce ferme e a mente fredda, vista anche l’ultima gara di Aragon, la situazione della Yamaha ha un solo nome: crisi tecnica. La Casa dei tre Diapason non vince in MotoGP da ben 24 gare, un record negativo che disorienta il Team e tiene i suoi piloti in uno stato di frustrazione.

Così, in pieno tunnel, Rossi e Vinales arrancano, in una via crucis che viene da lontano e che pare non avere fine. La M1, di fronte al salto in avanti di Ducati e Honda, non regge l’urto e non è più competitiva, superata ad Aragon anche dalle Suzuki.

Al di là delle polemiche più o meno legittime, è evidente che il problema non sta nei piloti, nel loro manico e nella loro capacità di indirizzare lo sviluppo delle moto. Idem per quel che concerne lo staff tecnico di gestione in pista, non secondo a nessuno per esperienze e per qualità. Qui c’è una questione più di fondo, riguarda la “base” del progetto, in primis il motore quattro cilindri in linea della M1, soprattutto una sua componente essenziale: l’albero motore.

Non è facile, dall’esterno, analizzare e comprendere le problematiche di questa Yamaha MotoGP, spesso mascherate o amplificate dalla conformazione dei vari circuiti e dei tipi di gomma adottate. La M1 ha un gran bel telaio. Il nodo (i nodi) riguardano il grip in pista, cioè la mancanza di aderenza, specie in alcune condizioni di pista e di meteo. Soprattutto con asfalto scivoloso e con alte temperature la moto ha minor aderenza, perdendo in frenata e soprattutto in accelerazione. Tutta colpa di una elettronica non adeguata? L’elettronica è fondamentale e Ducati prima e Honda poi hanno fatti passi da gigante.

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Ma la situazione Yamaha impone domande più radicali che, appunto, mettono in discussione le basi tecniche e tecnologiche dell’intero progetto del propulsore, fino all’albero motore. Può Yamaha aver sbagliato l’inerzia dell’albero motore, come già fece Honda nel 2016? A differenza della Formula 1, in MotoGP il giusto compromesso del valore di inerzia dell’albero motore è un fattore importantissimo in quanto l’impronta a terra della gomma posteriore è ridotta e di conseguenza, le variazioni di accelerazione troppo veloci generano una erogazione brusca della coppia. Un albero motore con inerzia ridotta garantisce una maggiore accelerazione rispetto ad uno con inerzia più elevata.

Ma con questa configurazione, per i motoristi e per gli elettronici, è più complicato gestirne la coppia e calibrare l’elettronica, alle condizioni variabili della pista e delle differenti mescole dei pneumatici. E’ per questo motivo che un albero motore con maggiore inerzia garantisce una erogazione della potenza più gestibile, specialmente alle piccole aperture dell’acceleratore. Il problema si evidenzia principalmente in curva, quando il pilota raggiunge la massima inclinazione, con una piccola apertura del gas. In questa situazione la potenza richiesta al motore è minore ed a causa delle basse velocità dell’aria nei condotti di aspirazione la miscelazione in camera di combustione non è omogenea con una elevata dispersione ciclica ed accensioni irregolari.

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Così, in questa situazione, il pilota si trova a gestire una coppia del motore poco lineare, spesso assai brusca. Per far fronte a questi problemi gli elettronici possono intervenire sulle strategie di traction control, accendendo solo alcuni dei cilindri. Se, però, l’inerzia dell’albero è troppo bassa, anche gli interventi elettronici non sono sufficienti a risolvere il problema. Naturalmente aprire l’acceleratore con una connessione lineare della coppia motore, riduce lo stress sulla gomma posteriore, evita il pattinamento e facilita il settaggio del telaio.

Ecco perché, se le grandi difficoltà dei piloti sono derivate da tutto questo (anche per le problematiche che prevedono la piombatura dei motori) non sarà facile, almeno in questa stagione, uscire da questo stato di crisi. Insomma, non è una questione di cilindri a V o in “linea”. Il 4 cilindri Yamaha “in linea” non è tecnicamente superato. Serve però intervenire nel cuore, cioè fare un nuovo albero motore.

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Per riprogettare, calcolare, costruire, testare e rendere “sicuro” un nuovo “albero” servono almeno 3-4 mesi di tempo. Quindi, comunque vada, 2018 addio. Una soluzione pro tempore? E’ possibile. Progettare, costruire e posizionare in tempi molto più rapidi un volano aggiuntivo in un lato dell’albero motore come già si usa in SBK e anche in MotoGP (Honda?) dove per modificare l’inerzia introducono un volano diverso a seconda della pista.

Per una Casa come Yamaha non è certo un’impresa “disperata”. Ma la domanda si impone: cosa vuole fare davvero Yamaha in MotoGP? Così, dalla questione tecnica si passa alla questione strategica. Se son rose fioriranno. Altrimenti il viso “lungo” di Rossi e di Vinales diventerà ancora più “lungo”, scenderanno le motivazioni e svaniranno le aspettative.

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