Moto3, troppe cadute. Perché?

In queste ultime stagioni agonistiche, la categoria dove le cadute sono più numerose, è la Moto3, la categoria d’ingresso del Circus iridato...

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 21 ott 2018
Moto3, troppe cadute. Perché?

Le cadute in corsa e in prova sono da sempre considerate nel motociclismo un fatto normale, addirittura scontato. Fanno parte del gioco. Come i “tuffi” e le spinte nel rugby, i cazzotti nella boxe ecc. Per lo più non fanno notizia, a meno che gli incidenti non abbiano conseguenze gravi per i piloti coinvolti o che a subirne le conseguenze siano i grandi campioni da tutti conosciuti.

Non torniamo qui sulle caratteristiche di uno sport che, al di là dei grandi passi avanti fatti in generale negli ultimi anni sul terreno della sicurezza, resta ad alto rischio. In queste ultime stagioni agonistiche, la categoria dove le cadute sono più numerose, è la Moto3, la categoria d’ingresso del Circus iridato, quella più combattuta a livello di gruppi, con in pista i “giovani leoni” per lo più giovanissimi e meno esperti dei colleghi della MotoGP, in sella a moto tecnicamente “livellate” (motori monocilindrici bialbero 4 tempi con tetto dei giri, monogomma Dunlop ecc.) e con elettronica meno invasiva.

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Non vogliamo girarci attorno limitandoci – a mo’ di esempio – a quanto accaduto negli ultimi Gran Premi, quello del Giappone e quello della Thailandia. Oggi a Motegi nella gara Moto3 si sono registrate sei cadute che hanno provocato l’abbandono dalla corsa stessa dei piloti coinvolti (Martin, Canet, Arenas, Di Giannantonio, Antonelli, Perez), altre cadute hanno avuto conseguenze meno pesanti consentendo il ritorno in pista dei protagonisti.

Il venerdì (FP1 e FP2) e il sabato (FP3 e Qualifiche) si sono contate numerose scivolate, fuoripista, lunghi ecc. Le cadute di oggi in gara hanno creato danni in particolare agli italiani Niccolò Antonelli (frattura di una vertebra e al piede con rientro soltanto nell’ultimo round di Valencia a novembre) e Fabio Di Giannatonio (grande spavento per la brutta botta dopo il violento highside alla curva 12, nessuna grave lesione, ma ricovero all’Ospedale universitario di Dokkyo e obbligo di permanenza sotto osservazione perché il pilota capitolino ha subito vuoti di memoria ecc.).

Nel round precedente in Thailandia le cadute in gara (Moto3) che hanno provocato il forfait sono state 9 (Bastianini, McPhee, Atiratphuvapat, Sasaki, Arenas, Antonelli, Suszuki, Binder, Lopez) più altre minori, più quelle del venerdì e del sabato. Gli stessi leader del mondiale Martin e Bezzecchi sono stati più volte messi out da cadute.

Solo un altro esempio riferito alla gara di Misano con 10 piloti messi fuori corsa per caduta, più gli incidenti di prove e qualifiche. A fine stagione tirando le somme, cercheremo di fare una analisi più specifica e approfondita. Fatto sta che, almeno in Moto3, si cade molto, come nei tempi del motociclismo de: “I Giorni del coraggio”, anche se, per le diverse condizioni di sicurezza, le conseguenze sono meno gravi. In passato una caduta aveva quasi sempre conseguenze gravi o gravissime, anche mortali. Si cadeva soprattutto per problemi tecnici alla moto (grippaggi motore, blocco cambio, cedimento sospensioni ecc.), per l’uso di pneumatici (sempre gli stessi bagnato o asciutto) e freni inadeguati (a tamburo) e per lo stato spesso disastroso dei circuiti (con guard-rail, alberi, muretti ecc.) per lo più stradali, su strade normalmente aperte al traffico quotidiano.

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Oggi i grandi guai tecnici sono rari tant’è che un motore rotto è un evento… Si cade per lo più per errori di “foga”, per contatti, per limare il tempo, per superare il proprio limite, per l’aggancio di avversari, di fatto per le esigenze del motociclismo show-business. Gare con la baionetta, raramente in difesa quasi sempre in attacco. Tempi in prova molto ravvicinati l’un l’altro (15-20 piloti racchiusi in un secondo), gare di grande combattività (ricerca di scie, trenini, volate di gruppo ecc.): un motociclismo che porta pubblico sugli spalti e davanti alla tv in cerca del campione-star, spesso per sfogarsi fra passione che sfocia in fanatismo.

Tutto va bene in funzione di sport di richiamo, di grande interesse e appetibilità, trasversale, di massa: audience, pubblicità, sponsor, diritti televisivi, montagne di soldi per un Circus a piramide, con le punte dorate e le basi nel pantano. La Moto3 è lo snodo fra il pilota con la valigia e il pilota che comincia a guadagnare, diventando un baby-professionista, tutto proteso a scalare le tappe per approdare in MotoGP, la terra promessa. C’è tutto un giro (anche gli stessi famigliari) che preme, che spinge, che punta in alto sempre più in alto ammaliato dai luccichini, dai riflettori, dalle promesse, spesso caduche quando non false.

Dagli altari alla polvere il passo è breve. I regolamenti tecnici sono funzionali a questo tipo di motociclismo da show, in cerca di campioni-star, produttore e volano di business. La passione c’è in tutti (dal pilota in su e in giù) ed è la molla di partenza. Scalando i passaggi, la passione resta ma viene relegata in un angolo per lasciare spazio ad altre esigenze e ad altre aspettative in una spirale di un professionismo esasperato ed esasperante con figure inedite e di dubbia utilità, attirate dal miele delle grandi corse. Si chiama interesse. Si chiamano interessi. Tutto legittimo, per carità. Ma, alzandosi la posta, si alzano anche i rischi. Allora? I rischi non diminuiranno e le cadute pure. Sperando nella benevolenza della dea bendata.

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