Motegi, the day after. Ultimi tre round “inutili”?
Phillip Island, Sepang, Valencia saranno il termometro dello stato di salute del Motomondiale...
Ogni festa che si rispetti, si sa, si chiude con i fuochi d’artificio. Poi, tutti a casa. Per la MotoGP la festa, fra brindisi e musi lunghi, è finita ieri in Giappone. A Motegi, infatti, con Marquez sugli altari per la corona iridata numero 7 e Dovizioso nel ghiaione e tutti gli altri per lo più comprimari, la MotoGP ha chiuso di fatto la stagione 2018.
Ci sono, è vero, ancora tre gare da disputare. Ma Phillip Island (27 ottobre), Sepang (4 novembre) Valencia (18 novembre) rischiano di diventare “minestra riscaldata”, una specie di pratica da sbrigare in un calendario colmo di round fino a straboccare e che già pensa di andare oltre le 19 tappe di quest’anno. Questione di show? Questione di business! E’ la globalizzazione, bellezza!
Il motociclismo modellato per il “mercato” planetario, uno sport usa e getta per fare business, punta a conquistare terre inesplorate, Paesi senza arte né storia di corse, dove però c’è gente che punta al benessere cui vendere scooter (e qualche moto) e, soprattutto, ci sono telespettatori da portare la domenica davanti alla tv per pompare l’audience determinante nel formare quella torta dorata che il promoter Dorna poi concede (a fette o a briciole) a tutto il Circus.
Il mondiale termina oramai un mese prima del Natale e presto si arriverà ancora più sotto aprendo in anticipo la nuova stagione. E’ il mercato, si dice. Ma non è tutto oro quel che luccica. Al di là della MotoGP sostenuta per anni da Valentino Rossi – campione-star, carismatico e buca schermo – non c’è poi una filiera su cui far poggiare le basi solide per un futuro altrettanto brillante e remunerativo per le casse di chi ha in mano la giostra, gigante dai piedi d’argilla. Rossi c’è ma non è più l’icona perché non più vincente (le cause contano poco).
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Se il Dottore non lotta per la vittoria la gente, non solo in Italia, s’annoia e spegne la tv. Sulla scena, travolgente, ecco Marquez il fenomeno dei fenomeni capace di sfuggire alla tenaglia che in precedenza aveva stritolato tutti gli avversari dell’asso di Tavullia. Marquez è il vincente anzi il “travolgente” macina tutto e tutti. Anche per questo non piace all’immensa platea dei “pro Rossi”.
Il baby furetto di Cervera non basta, come non basta il buono&bravo Dovi “faccia pulita” a domarlo. Insomma, anti Marquez cercasi. Tanto meno si tengono davanti alla tv milioni e milioni di persone per le gesta – pur agonisticamente pregevoli – dei “giovani leoni” della Moto3 “motocoltivatore” e di “quelli di mezzo” della Moto2 monomarca di lusso tecnicamente “povera”.
Insomma e in sintesi, il giocattolo rischia di incepparsi anzitempo con la MotoGP tutta-show che senza il vero show s’affloscia e con Moto3 e Moto2 solo contorno. Davvero c’è chi pensa che dal 2019 l’inedita MotoE dia la spinta al Motomondiale? Allora? Allora godiamoci quel che c’è, cioè quel che resta. Phillip Island, Sepang, Valencia saranno il termometro dello stato di salute del Motomondiale. Tempi duri. Solo un trionfo di Rossi in Australia può riaccendere i fuochi. Ma, si sa, non è più tempo di miracoli.
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