SBK: Melandri-Yamaha, la nuova sfida
Quindi “Macho” resta in SBK, in un mondiale che si gonfia il petto annunciando i ritorni in forma ufficiale di grandi Case (Honda e Bmw) ma è tutt’ora inchiodato in una crisi di identità e di gestione.
Fra due settimane, nei test SBK 2019 del 26-27 novembre a Jerez, Marco Melandri sarà per la prima volta in sella alla Yamaha R1M del Team GRT. Scaricato non senza strascichi polemici dalla Ducati dopo una stagione iniziata con la trionfale doppietta di Phillip Island ma poi proseguita a corrente alternata con pochi alti e molti bassi (la Casa bolognese ha scelto Alvaro Bautista come compagno di squadra del confermato Chaz Davies), il 36enne pilota ravennate – col rospo nel gozzo – aveva fatto trapelare l’intenzione di attaccare il casco al chiodo o di sbarcare negli Usa, per l’AMA.
Dietrofront. Si torna all’antico, cioè al presente. Meglio così. Quindi “Macho” resta in SBK, in un mondiale che si gonfia il petto annunciando i ritorni in forma ufficiale di grandi Case (Honda e Bmw) ma è tutt’ora inchiodato in una crisi di identità e di gestione (Dorna) di cui non si vede ancora via d’uscita. Un pilota come Melandri – sarà in squadra con il neo iridato della Supersport ed ex iridato 125 il 29enne tedesco Sandro Cortese – non scuote i valori in campo del campionato e non è certo la ventata d’aria nuova che servirebbe per rilanciare la SBK.
Sarebbe però, oltre che ingeneroso, irrealistico, non considerare Melandri per quello che è: pilota di classe in pista e di peso sul piano dell’immagine e della comunicazione, capace in giornata di grazia di qualsiasi prodezza e centrare il grande risultato, nonché pilota di forte personalità di cui, nel bene e nel male, si parla. Non è questo, poi, al di là dei risultati, quel che si vuole nell’era del motociclismo mediatico e show-business?
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In sei anni, nel mondiale SBK Marco ha pilotato Ducati, Bmw, Aprilia e, al debutto, proprio Yamaha: è stato più volte presentato alla vigilia di campionato come pretendente al titolo, sempre mancato e non sempre per propri limiti. Il miglior risultato è stato quello ottenuto nell’anno del debutto 2011 (proprio su Yamaha), secondo posto finale con quattro vittorie. Poi Marco ha proseguito con il passo del gambero: 3° nel 2012, 4° per tre volte nel 2013, 2014 e 2017 (dopo una … pausa di riflessione di due stagioni), infine 5° nel 2018 con due vittorie, due secondi e cinque terzi posti. Forse con maggior convinzione sulla competitività del bicilindrico di Borgo Panigale, Marco avrebbe potuto raccogliere di più nel 2017 e nel 2018.
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Nella sua carriera in SBK non sono comunque mancate giornate di gloria e soddisfazioni: 22 vittorie, 76 podi, 4 pole, 21 giri veloci e tante belle battaglie, molte incompiute. Pur apprezzando la permanenza in SBK dell’ex iridato della 250 GP, indubbiamente ancora oggi il pilota italiano più carismatico nel mondiale derivate di serie, gli interrogativi non mancano.
Avrà Marco le giuste motivazioni personali e la spinta tecnico-agonistica-psicologica necessarie per esprimersi al massimo livello nell’intero campionato nel ruolo di protagonista e non di outsider? Saranno le R1M del Team GRT sullo stesso piano delle Yamaha di VdM e di Lowes e soprattutto le 4 cilindri della Casa dei tre diapason saranno all’altezza delle nuove Kawasaki (di Rea e Haslam) e delle inedite Ducati V4?
Tutto si vuole da Melandri meno che il solito lamentoso refrain sui problemi, veri o presunti, della moto. Nel mondiale – anche in quello di una SBK in chiaroscuro – il pilota non corre (solo) per divertirsi, tanto meno per lamentarsi. Serve show ma servono soprattutto risultati eclatanti adeguati al pedigree del pilota e all’impegno tecnico e finanziario profuso dalle Case e dai Team. Per Marco è una nuova avvincente avventura. Una sfida. Anche con se stesso. Una prova d’orgoglio. E’ d’obbligo guardare avanti, non indietro. E se per Marco fosse il “canto del cigno” col “colpaccio”?
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