Motomondiale 2018: 1.077 incidenti, una volta era peggio
Nelle tre classi del mondiale 2018 ci sono state oltre 1000 cadute (1.077 per l’esattezza), in linea con quel che accade oramai da 10 anni, con le cadute sempre attorno a mille, una più una meno.
Da sempre si cade nelle corse di moto, si cade tanto anche nel Motomondiale di oggi dove in gara ci sono fior fior di piloti, i più forti ed esperti nel mondo su moto ultra potenti e veloci quanto tecnologicamente raffinate. Nelle tre classi del mondiale 2018 ci sono state oltre 1.000 cadute (1.077 per l’esattezza), in linea con quel che accade oramai da 10 anni, con le cadute sempre attorno a mille, una più una meno.
Il pilota con il record di voli in MotoGP? Il 7 volte iridato Marc Marquez, 23 volte a terra quest’anno senza contare i jolly! L’asso della Honda era andato a terra addirittura 27 volte la scorsa stagione addizionando dal 2013 al 2017 ben 83 voli, 106 in totale! Record dei record su ogni fronte. Quest’anno – dati MotoGP.com – la medaglia del cascadeur spetta ad Alvaro Bautista (21 volte a terra) seguito da Xavier Simeon. (18). Solo quattro cadute per Danilo Petrucci, Maverick Vinales. Dovizioso (5), Rossi (8), Iannone e Morbidelli 11 volte ciascuno.
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In totale, nelle tre classi, chi è andato di più a terra è stato Stefano Manzi (31 cadute) seguito da Lowes (27), Bezzecchi e Navarro (24) e quindi Marquez, quinto assoluto. Seguono Rodrigo (22), Suzuki e Bautista (21), A. Marquez (19), Lecuona e Simeon (18).
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Nell’ultimo round di Valencia – diluvio – record di cadute con ben 155 incidenti! Il 2018 non è una eccezione. Le cadute, si sa, sono da sempre una componente costante e non eliminabile delle corse di moto anche se le conseguenze sono oggi fortunatamente meno traumatiche di una volta. Per capire meglio l’attualità è doveroso tornare al passato. Tralasciando gli innumerevoli incidenti e i tanti piloti periti nelle corse prima del 1949, il Motomondiale sin dalla sua prima stagione è segnato da una lunga lista di piloti sbalzati dalla moto e volati sull’asfalto, feriti e anche deceduti.
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In 69 anni il campionato iridato è stato sempre caratterizzato dagli incidenti ed è stato più volte listato a lutto per le tragedie di uno sport affascinante quanto implacabile: oltre 150 i piloti deceduti! Qui ricordiamo i più noti: al TT inglese del 9 giugno 1949 muore l’inglese Ben Drinkwater (Norton); nel 1951 (15 giugno Albi GP Francia) muoiono Dario Ambrosini (Benelli) e Gianni Leoni e Sante Geminiani (15 agosto Ulster) della Guzzi; nel 1952 (18 maggio GP Svizzera) tocca a Ercole Frigerio (Gilera); nel 1953 (12 giugno TT) Leslie Graham (MV Agusta); nel 1954 (4 luglio GP Belgio Spa) Gordon Laing (Norton) e (11 settembre Monza GP Italia) Rupert Hollaus (Nsu); nel 1957 (6 luglio Spa) Roberto Colombo (MV Agusta); nel 1959 (7 settembre Monza) Adolfo Covi (Norton); nel 1960 (23 luglio GP Germania Nurburgring) Bob Brown (Honda); nel 1962 al TT Tom Phillis (Honda) e Bob Mc Intyre (Honda): nel 1969 (12 luglio Sachsenring) Bill Ivy (Jawa); nel 1970 (2 maggio GP Germania Ovest) Robin Fitton (Norton) e Santiago Herrero (10 giugno TT) Ossa; nel 1971 (4 luglio Spa) Cristian Ravel (Kawasaki) e (8 luglio Sachsenring) Gunter Bartusch (MZ); nel 1972 (9 giugno TT) Gilberto Parlotti (Morbidelli); nel 1973 (20 maggio Monza) Renzo Pasolini (Benelli) e Jarno Saarinen (Yamaha); nel 1974 (8 settembre Abbazia) Billie Nelson (Yamaha); nel 1976 (16 maggio Mugello GP Italia) Otello Buscherini e Paolo Tordi (Yamaha); nel 1977 (3 aprile Imola 200 Miglia) Pat Evans (Yamaha), (1 maggio Salzburgring) Hans Stadelmann (Yamaha), (18 giugno Ryeka) Giovanni Ziggiotto (Harley Davidson); nel 1977 (19 giugno Ryeka) Ulrich Graf (Kreidler); nel 1980 (12 agosto Silverstone) Patrick Pons (Yamaha) e Malcom White (Yamaha); nel 1981 (31 maggio Ryeka) Michel Rougerie (Yamaha), (11 luglio Imola) Sauro Pazzaglia (MBA), (30 agosto Brno) Alain Beraud (Yamaha); nel 1982 (15 agosto Imatra) Jock Taylor (Yamaha); nel 1983 (29 marzo Le Mans) Iwao Ishikawa (Suzuki), (3 aprile Le Mans) Michel Frutschi (Honda), (12 giugno Ryeka) Rolf Ruttimann (MBA), (31 luglio TT) Normann Brown e Peter Huber (Suzuki); nel 1984 (12 luglio Spa) Kevin Wretton (Suzuki); nel 1988 (21 luglio Le Castellet) Alfred Heck (Lcr); nel 1989 (29 maggio Hochenehim) Ivan Palazzese (Aprilia); nel 1993 (1 maggio GP Spagna) Nobuyuki Wakai (Suzuki); nel 1994 (12 giugno GP Germania) Simon Prior (Lcr); nel 2003 (6 aprile GP Giappone) Daijiro Kato (Honda); nel 2010 (5 settembre Misano) Shoya Tomizawa (Suter); nel 2011 (23 ottobre GP Malesia) Marco Simoncelli.
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Da questo lungo elenco sono esclusi i piloti deceduti in gare extra iridate (Guido Leoni e Raffaele Alberti a Ferrara; Luigi Alberti a Monza; Renato Magi a Terracina; Mario Mastellari a Schotten; Paolo Geminiani a Locarno nel 1951; Ray Amm nel 1957 a Imola; Angelo Bergamonti nel 1970 a Riccione; Renato Galtrucco, Carlo Chionio e Renzo Colombini nel 1973 a Monza) e in prove libere su circuiti e su strade (Libero Liberati nel 1962, Sandrino Cinelli nel 1967) – solo per citarne qualcuno – in Italia e nel mondo, sicuramente altri 100 corridori deceduti, in totale, sopra i 200 considerando il TT.
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Per non parlare dei tanti centauri rimasti feriti gravemente. Il tema non facile della sicurezza è sempre stato presente, pur se spesso sottovalutato e affrontato in modo inadeguato. Già nei primi anni cinquanta, dopo l’incidente mortale di Dario Ambrosini ad Albi, fu costituita l’Unione Corridori per la sicurezza per ottenere curve sopraelevate con speciali protezioni, l’eliminazione di pali e piante all’esterno delle curve, tracciati non più sterrati o con pietre di porfido, balle di paglia, moto senza crenature a campana ecc. Sostanzialmente solo palliativi, con moto sempre più potenti e veloci, medie sempre più elevate, tracciati da “giro della morte”. L’epoca successiva del guard-rail fu nefasta. Le cronache raccontano di incidenti, non solo mortali, che coinvolgono piloti noti e famosi in gare internazionali, con copertura mediatica mondiale e quindi di forte impatto sull’opinione pubblica. Ma gli incidenti, anche gravi e mortali, avvengono spesso in corse minori (dove il livello di sicurezza è pari a zero) ovunque nel mondo, senza che nulla si sappia. Il motociclismo resta affascinante quanto rischioso.
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