Piloti e soldi, la “valigia” aiuta ma è il manico che fa la differenza

Ripartiamo da un dato di fatto: i piloti con la valigia ci sono, non sono l’eccezione: senza di loro, pur con pesi e in percentuali diverse, non ci sarebbero (quanto meno non come sono oggi) le gare e i campionati nazionali e mondiali di ogni classe e categoria.

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 5 dic 2018
Piloti e soldi, la “valigia” aiuta ma è il manico che fa la differenza

Il precedente articolo sui “Piloti con la valigia” pubblicato ieri su Motoblog ha avuto il merito di aver riaperto il confronto fra appassionati e addetti ai lavori su un tema “caldo”, sempre attuale, una matassa ingarbugliata. Proseguiamo in questo percorso di approfondimento anche per non cadere in luoghi comuni, semplificazioni e strumentalizzazioni.

I Team senza il contributo economico dei piloti sono “mosche bianche”, le eccezioni riguardano (e non sempre in tutte le categorie) i Team di emanazione delle Case ufficiali, supportati in toto o quasi, direttamente o indirettamente. La maggioranza dei piloti, in tutti i campionati – pur in modo diverso per modalità e quantità finanziarie – può correre se porta la “dote” al Team.

Fra i “galletti” e fra gli stessi “giovani leoni” non pagano solamente quelli che dimostrano di essere subito molto competitivo– meglio se vincenti – considerati “promessa garantita”. Ma sono rari, si contano nelle dita di una fra tutte le categorie. Poi, lo stesso “ragazzo-fenomeno” a mano a mano che cresce (se cresce) inizia a percepire un compenso (assai modesto all’inizio) in relazione ai risultati.

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E’ un triangolo con una base vastissima di piloti (paganti) e un vertice strettissimo di piloti pagati e super pagati. Le prime due-tre file dei piloti MotoGP sono la punta di diamante della piramide e solamente i “Tre moschettieri” o quelli del “poker d’assi” – quindi 3-4 campioni consacrati – diventano un pozzo di… San Patrizio. Parafrasando Gianni Morandi: “Uno su mille ce la fa”. Forse meno.

C’è un abisso anche nei compensi fra i piloti ufficiali di grandi Case. Ovviamente è il pedigree a fare la differenza ed è il mercato a “fare i pesi”. Un esempio? Dati 2017: mentre Jorge Lorenzo ha percepito quale pilota ufficiale Ducati in MotoGP 12,5 milioni di euro l’anno (biennale da 25 milioni!), nel 2019 Danilo Petrucci, sempre pilota ufficiale Ducati, percepisce un compenso pari a circa un decimo del biennale di Jorge (150 mila euro per Petrucci nel 2017); Marquez oltre 9 milioni; Rossi oltre 6 milioni; Dovizioso 1,5 (ripetiamo, nel 2017…) ecc.

Un meccanismo di questo tipo crea, evidentemente, contenti e scontenti e non poche contraddizioni e contraddizioni e incide sulla selezione dei piloti nonché sui risultati di gare e campionati. Ma fino a un certo punto. Un “brocco” milionario resta brocco (non facciamo nomi…), un “fenomeno” miliardario diventa un campionissimo (tipo Mike Hailwood, che sarebbe diventato tale un super vincente anche se squattrinato…) e la terza evenienza la lasciamo ai nostri lettori perché è la classica via di mezzo, quella più affollata.

Da ciò si capisce quanto il motociclismo sia complesso e non certo privo di contraddizioni e di verità anche scomode: sport, oltre che (molto) rischioso, anche (molto) costoso. E più si sale la scala, più costa, ma costa tanto (troppo!) anche nei primi gradini dei campionati minori, falcidiando sul nascere proprio il vivaio, senza il quale non c’è futuro. Il Team ha bisogno di soldi ma anche (e soprattutto) di talenti. Chi scegliere fra un pilota con la valigia piena ma “scarso” che dopo una stagione tribolata viene cacciato e un altro squattrinato ma gran “manico” che potrebbe in futuro portare benefici, anche economici, al Team?

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Il dilemma è se accontentarsi dell’uovo oggi rinunciando magari alla gallina domani. Il problema sta alla radice e riguarda tutta la filiera della gestione delle corse, a cominciare dalle Case, dalla Fim e dalla Fmi, dalla Dorna ecc. Non è sempre stato così nei decenni passati e lo affronteremo nel nostro prossimo articolo. Oggi, ad esempio, per partecipare con un solo pilota nel CIV Moto3 (prendiamo questa categoria perché qui ci sono ragazzi di 16-17-18 anni poi su fino ai 20-22 anni e perché si corre con moto prototipi 250 mono GP 4 tempi cioè moto solo apparentemente semplici e invece raffinate tecnologicamente e costose), serve un Team qualificato e attrezzato, di almeno 3-4 persone specializzate e pagate (meccanici, telemetrista, tecnico sospensioni, motorista, addetto comunicazione ecc.), con moto al top su cui si lavora non solo nel weekend di gara, con trasferte sui circuiti di Misano, Imola, Vallelunga, Mugello.

Ovvio che il CIV è solo la base di partenza. Il CEV e soprattutto il Mondiale sono un altro mondo, anche per i costi. Fatto sta che correre non è … “obbligatorio” e un Team non è una Onlus. Un Team è una azienda a tutti gli effetti e deve far quadrare i conti, altrimenti chiude. Quindi il pilota entra nel Team solo con la valigia, in questo caso del CIV Moto3, con circa 100 mila euro (da 70-90 a 120-140 mila) per la stagione “tricolore”.

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I costi aumentano non di poco partecipando al CEV (oltre 150 mila euro per pilota) e diventano cifre da capogiro (oltre 300 mila) per il Mondiale Moto3. Tali cifre sono da considerarsi “medie” poi ci sono le eccezioni “in alto” e “in basso”. La valigia del pilota è solo una parte delle entrate per il Team. Il famoso budget necessario per correre esce dal mercato, sponsor compresi, ma non solo: nel mondiale la grossa torta Dorna è divisa fra i Team grazie ai grandi introiti dei diritti televisivi.

Più scendi di campionato e meno numerosi e munifici sono gli sponsor e i diritti tv scompaiono. Non sono pochi nell’ambiente gli imbonitori, i tuttologhi, chi fa delle corse un limone da spremere per propri interessi, non sempre legittimi e legali. E’ un discorso complesso, con il classico cane che si morde la coda. Ecco perché al pilotino di 15-16-17-18 anni di buone promesse servono tanti soldi per fare “solo” il CIV Moto3, il primo vero banco di prova per il primo salto di qualità. Ecco, appunto, sin dall’inizio, il “pilota con la valigia”. La valigia robusta aiuta il pilota a compiere meglio e più in fretta i primi gradini della carriera.

Ma la valigia “gonfia” non garantisce la via del successo. E’ il manico che fa la differenza! In pista c’è il fuoriclasse, c’è il campione, c’è il buon pilota, c’è la schiappa. Tutti i piloti vogliono gareggiare e primeggiare, puntando al podio, alla vittoria: ma vince uno solo. Di solito non è quello che ha portato la valigia con i soldi.

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