Il Motomondiale compie 70 anni. Nel ’57 il forfait delle Case italiane: perché?
Le Case italiane erano pur coscienti della funzione delle corse come eccellente banco di prova tecnico e come promoter di immagine e di comunicazione della Marca. Il problema era un altro...
Quest’anno ricorre il 70° del Motomondiale, iniziato nel 1949 e disputato con solo sei gare. Le corse, ovviamente erano iniziate molto prima, addirittura a fine ‘800 andando di pari passo con l’evolversi della produzione di serie. I costruttori di moto – idem per quelli di auto – avevano necessità di pubblicizzare il nuovo mezzo a due ruote con il motore e le corse erano lo strumento ideale, utile anche come probante banco di prova tecnico.
Non è questa la sede per rifare la lunga storia ma non si può non ricordare la prima vera gara internazionale, quella nel 1904 al Parco dei Principi di Parigi riservata alle 250 (superavano i 75 Kmh!). Nasceva così l’epopea del motociclismo dei “pionieri” con i piloti italiani (Calvi, Nazzaro, Appiani, Gnesa, Fieschi, Ruggeri, Garelli, Gilera, poi Brilli Peri, Maffeis, Nazzaro, Sandri, Ghersi, Nuvolari, Varzi, Tonino Benelli, Dorino Serafini ecc.) e le Case italiane (Garelli, Bianchi, Frera, Della Ferrera, Galloni, Gilera, Guzzi, poi Benelli ecc.) in prima fila.
E ci fermiamo qui aggiungendo solo che le corse si indirizzeranno fra le due guerre in grandi campionati (quello “tricolore” era davvero un pre-mondiale) e il campionato d’Europa (disputato fino al 1939 con il trionfo nella 500 dell’indimenticabile pesarese Dorino Serafini sulla Gilera 4 cilindri col compressore) che era esattamente l’antesignano del Motomondiale, avviatosi – appunto – nel 1949. Motoblog affronterà questa ricorrenza con più tappe, adeguatamente, iniziando con questo pezzo di analisi in riferimento a una fase cruciale del motociclismo italiano e internazionale, nel contesto più generale.
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Il motomondiale si può dividere in due grandi fasi: quella dal dopoguerra al 1957 e il dopo 1957 senza più la partecipazione di Guzzi, Gilera, Mondial protagonisti dei primi nove anni iridati. A dire il vero, anche il 1958 fu dominato dall’industria italiana, ma da una sola Casa – la MV Agusta – che fece poker con Carlo Ubbiali nella 125, Tarquinio Provini nella 250 e con John Surtees nelle 350 e 500.
Plausi ma anche critiche al Conte Domenico Agusta accusato di “voltafaccia” avendo la marca di Cascina Costa prima deciso di sottoscrivere il “Patto dell’astensione” insieme alle altre tre grandi Case lombarde poi facendo dietrofront e continuando l’avventura delle corse – pur con la opportunistica copertura della dicitura “privat” – sfruttando la nuova situazione favorevole data dall’assenza di avversari adeguati, almeno per un po’.
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Così, sarà per almeno tre anni un campionato “monocolore” anche se, pur quasi abbandonato dai media e senza copertura televisiva, il motomondiale godrà tuttavia di un seguito e di una partecipazione significativi di appassionati in Italia e in Europa. C’è comunque da dire grazie alla MV Agusta per non avere all’epoca abbandonato il campo cogliendo con le sue straordinarie moto e i suoi grandi campioni allori ovunque e tenendo alta la bandiera di quel che rimaneva del Made in Italy nel mondo, capace quanto meno di contenere e rallentare l’invasione “gialla”.
E c’è da dir grazie ad altre Case italiane che, pur non sempre con “coerenza” tecnica e chiara visione strategica – soprattutto lasciate “sole” dalla FIM, dalla FMI e dai Governi di allora nel cimento internazionale – si impegneranno nelle competizioni rinverdendo il mito di “Davide contro Golia”: Benelli, Morini, Bianchi, Ducati, Aermacchi, Garelli, MotoBI, Rumi, Parilla ecc. su su fino ai nuovi arrivati quali Morbidelli, Mba, Minarelli, Malanca, Sanvenero e poi altri a cominciare dall’Aprilia, dalla Cagiva e quindi il rientro Ducati.
Ma qui si entra nella cronaca odierna. Torniamo al nocciolo della questione: perché la “fiocinata” di Guzzi, Gilera, Mondial che a fine ‘57 abbandonarono il campo dopo aver dominato? All’inizio, la motivazione verbale del forfait non convinse nessuno perché appariva palesemente una scusa: “Abbandoniamo le corse perché i regolamenti dal 1958 proibiscono le carenature integrali”.
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Una trovata maldestra che durò lo spazio di un amen. Così come non convinceva l’abbandono per mancanza di avversari. Infatti, a mente fredda e con la penna in mano nel “Patto” del 26 settembre 1957 si scriveva: “Le Case Moto Guzzi, Gilera, Mondial, al termine di una stagione sportiva di successi” ecc. ecc. “hanno preso in esame la situazione e le prospettive dell’attività sportiva del settore constatando: che le vittorie conquistate … non hanno avuto all’estero termini di confronto per l’assenza delle industrie di altri Paesi, mentre in Italia le competizioni si sono svolte in un clima di continue incertezze e difficoltà dovute a particolari orientamenti delle autorità e di talune sfere dell’opinione pubblica; che le prestazioni delle macchine da corsa hanno raggiunto oramai livelli di rendimento tali da rendere perplessi di fronte al rischio per i corridori ecc. ecc.; Le Case suddette pertanto si trovano d’accordo nel proposito di astenersi a partire dal 1958 fino ad eventuale altra decisione, dal partecipare sia direttamente sia indirettamente alle corse” ecc. ecc.
Seguono il “vivo rammarico” e i “ringraziamenti” di rito a piloti, tecnici, maestranze. La decisione del forfait riflette una incapacità delle Case a interpretare la nuova realtà sociale italiana con il “miracolo economico”, chiuse in una visione provinciale non comprendendo la portata dei mercati internazionali, quello europeo e americano per primi.
Invece di rapportarsi al nuovo e ai nuovi possibili mercati – vere e proprie praterie da pascolare – e cavalcare l’onda di una maggior disponibilità della gente (anche in Italia) a spendere anche rispondendo alle esigenze di mobilità per lavoro e per svago le Case motociclistiche ritennero di fatto chiuso il ciclo di espansione della motocicletta, considerato solo come mezzo di trasporto “povero” per “poveri”, sostituito oramai dall’automobile utilitaria quali le Fiat 600 e 500.
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L’auto invadeva il mercato ma non “copriva” lo spazio della moto nelle sue varie declinazioni: ciclomotori e scooter come mezzo ultra utilitario di trasporto personale specie per recarsi al lavoro muovendosi anche meglio nel traffico già in aumento, e motociclette di livello superiore come mezzo di divertimento, sportivo, di identificazione per la scalata sociale e per i giovani. Serviva anche una svolta tecnica con l’immissione di nuovi modelli che invece rimasero sulla carta.
C’è da ricordare anche che una 500 Fiat costava l’equivalente di 12 mensilità di un operaio, ma poteva essere acquistata facilmente a rate mensili, mentre una Gilera Saturno 500 monocilindrica costava quanto l’utilitaria Fiat e di solito si comparava solo in contanti o con una montagna di cambiali.
C’era un netto divario fra la moto da corsa, raffinatissima e di forte appeal sotto ogni profilo, e il prodotto di serie, per lo più antiquato e poco affidabile. La nostre Case inventarono nell’ante guerra il “quattro cilindri” da corsa ma lasciarono alla Honda la… “mossa” della prima plurifrazionata di serie 750 poi 500, gioielli in tutti i sensi che invasero i mercati per la loro superiorità.
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Ci fu indubbiamente da parte delle nostre Case una visione miope e una voglia frettolosa di chiuderla con le corse e anche con le moto. La dimostrazione di questo errore la daranno di là a poco le Case del Sol Levante, iniziando dalla Honda che entrò nel Motomondiale nel 1959 anticipando grandi successi – tutt’ora in pieno svolgimento – in pista e nei mercati.
Le Case italiane erano pur coscienti della funzione delle corse come eccellente banco di prova tecnico e come promoter di immagine e di comunicazione della Marca. Il problema era un altro: le nostre grandi Case – pochissime le eccezioni – pensavano che la motocicletta fosse un mezzo superato e non avesse futuro. Altro che investimenti nelle corse!
Furono davvero le competizioni-mangiasoldi a mettere in crisi Gilera, Guzzi, Mondial? No. Fu l’incapacità ad adeguare il prodotto alle nuove realtà dei mercati e a non comprendere appieno il valore delle corse anche come strumento di promozione per la produzione di serie, quindi “acchiappa-soldi”. Invece di rilanciare innovando si è deciso di sedersi, tagliando il ramo che più stimolava la pianta a dare frutti migliori.
E’ un po’ il gatto che si morde la coda. Fra (pochi) alti e (molti) bassi, da allora la risalita della “scuola italiana” è stata tentata molte volte. Ma quei limiti pesano ancora oggi. Non solo a danno delle corse e del motociclismo. Non si vive di soli ricordi. Gli assenti hanno sempre torto. Due domande finali. La prima: cosa sarebbe oggi la Ferrari se avesse abbandonato le corse di F1? La seconda: cosa sarebbero oggi Honda, Yamaha, Suzuki se anni fa avessero siglato il loro “patto di astensione”?
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