Motomondiale, Mattia Pasini (ancora) a piedi. E non è il solo. Perché?

Insomma, non un “signor nessuno” e non certo un corridore sciatto e piatto, un ragazzo sincero (anche troppo!?), di grande passione e valore, che lascia il segno anche se spesso un segno che brucia, dato il carattere che lo porta a metterci sempre la faccia e a dire con franchezza e senza timori reverenziali “pane al pane vino al vino”.

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 17 gen 2019
Motomondiale, Mattia Pasini (ancora) a piedi. E non è il solo. Perché?

A poco più di un mese dal primo test iridato di Jerez e a meno di due mesi dal primo round stagionale di Losail il pilota riminese Mattia Pasini è “a piedi”, senza né moto né Team. Così Mattia, nel 2018 vincitore in Moto2 del GP d’Argentina dopo le tre pole in Italia, Germania, Australia, rischia davvero a 34 anni di dover dare l’addio al Motomondiale dopo 15 stagioni ai vertici, 226 gare disputate, 12 vittorie, 30 podi, 19 pole position, 6 giri veloci.

Insomma, non un “signor nessuno” e non certo un corridore sciatto e piatto, un ragazzo sincero (anche troppo!?), di grande passione e valore, che lascia il segno anche se spesso un segno che brucia, dato il carattere che lo porta a metterci sempre la faccia e a dire con franchezza e senza timori reverenziali “pane al pane vino al vino”. Detta papale papale, oramai nell’ultima decade di gennaio, tutti i posti disponibili in Moto3, Moto2, MotoGP sono occupati e Pasini è “out”, con il “rospo nel gozzo”: “Anche la scorsa stagione sono andato forte – ha detto il “Paso” ai microfoni di Sky – ma evidentemente i team più che piloti veloci hanno bisogno di piloti che chiudano i budget”.

Più che una sberla, una fiocinata avvelenata. Non è la prima volta che Mattia resta senza manubrio. Accadde nel 2102 quando fu liquidato dal suo team: “Ho portato i miei soldi, ho venduto dei beni persino la macchina e mi hanno lasciato a piedi”. Ecco, nel 2019 il rischio del bis del 2012: “Sono uno dei cinque piloti che nel 2018 ha vinto almeno una gara – dice Mattia – e mi sono giocato la vittoria in più occasioni. Al momento sono a piedi, ma non porterò la valigia, mettere i soldi per correre non mi rappresenta.”.

E Pasini non è certo l’unico pilota di livello tutt’ora in cerca di sistemazione adeguata. Si ripropone il nodo mai sciolto del rapporto corse-soldi e la annosa questione dei piloti “con la valigia”: o porti soldi o stai a piedi. C’è sempre un altro corridore – più bravo o meno bravo di te, – pronto a sostituirti, soldi in mano.

Qui, a differenza di chi cerca giustificazioni arrampicandosi sugli specchi (“è così perché c’è la crisi economica”, è così “perché i costi delle corse sono aumentati” ecc.), il problema sta alla radice di come oggi è strutturato il motociclismo ai vari livelli, in una piramide dove la passione è la “spinta” per iniziare il “gioco” ma dove sono i soldi a reggere il tutto. Malvolentieri ci ripetiamo: Se non hai la valigia, specie ai primi passi, non puoi crescere.

Da ciò si capisce quanto il motociclismo sia complesso e non certo privo di contraddizioni e di verità anche scomode: sport, oltre che (molto) rischioso, anche (molto) costoso. E più si sale costa, ma costa tanto (troppo!) anche nei primi gradini dei campionati minori, falcidiando sul nascere proprio il vivaio, senza il quale non c’è futuro. Non solo. Senza passione e senza talento non si sfonda ma oggi senza un bel gruzzolo non si può neppure partecipare alle prime garette in minimoto, figurarsi più su dove servono una moto e una struttura tecnica adeguate al tipo di campionato e alle proprie… ambizioni.

Fatto sta che un Team è una azienda a tutti gli effetti che deve far quadrare i conti, altrimenti è costretta a chiudere bottega.La verità è chei piloti, per correre, hanno sempre pagato di tasca propria, soprattutto agli inizi di carriera: ieri come oggi. Sono cambiate le esigenze, ad esempio oggi nessun pilota dormirebbe nel paddock dentro una utilitaria con accanto la moto smontata.

Da sempre i migliori, i piloti vincitori di gare e campionati, sono stati pagati direttamente dalle Case, con pochi extra, soprattutto quando mancava il supporto degli sponsor, giunti debolmente alla fine degli anni ’60- inizi anni ’70, e il motociclismo era privo di valido sostentamento mediatico. Il percorso del corridore è duro. E’ sempre stato duro.

Anche il 15 volte iridato Giacomo Agostini iniziò così, a 18 anni, comperando di tasca propria la sua prima Morini 175 pagandola 500 mila lire in 30 rate mensili. Per il debutto sul micidiale circuito di Camerino il “cadetto” Agostini infilò il suo Settebello nell’utilitaria sgangherata portandosi come meccanico il garzone del … fornaio di Lovere, utile più per la pagnotta che per smontare la candela e fare la carburazione.

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Mino corse con la gomma posteriore liscia (l’antesignana dello slick…) non avendo i soldi per cambiarla. E vinse! Il resto è noto. Ad Agostini, così come a tanti altri campionissimi, nessuno ha regalato niente: si sono fatti da soli, guadagnandosi in pista le moto migliori, meritandosi i trionfi in gare e campionati.

I più si sono meritati – quando c’è stata – anche la fortuna. Valeva e vale il detto: “La moto migliore al pilota migliore”. Ma valeva gara per gara: dovevi vincere, altrimenti a piedi! Ma il refrain, ieri come oggi, è sempre lo stesso. Serve passione, costanza, volontà, manico. Il talento è fondamentale ma da solo non basta per fare la differenza ed entrare nel firmamento dei “big”. Idem i soldi che, senza talento passione, professionalità, volontà, non garantiscono il successo.

Ci ripetiamo: un “brocco”, pur se milionario, resta brocco (quanti ce ne sono stati! quanti ce ne sono!…). Un fuoriclasse, anche in bolletta, lo si vede presto e presto sfonda. Ma c’è una via di mezzo che permetta a Mattia Pasini e ai non pochi come lui di continuare la partita? La risposta non è facile perché oggi il motociclismo è una piramide con una stretta punta vorticosamente ricca e una ampia base “povera”. Da qui un cuneo di proporzioni gigantesche fa chi fa il “nababbo” e chi “tira la cinghia” per sopravvivere.Insomma, siamo nella jungla. Ripetiamo la domanda: Il motociclismo odierno show-business non rischia di diventare “assurdo” per esasperazione tecnologica, mania di gigantismo, invadenza mediatica, impennata dei costi?

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