MotoGP: Honda, 60 anni di mondiale all’assalto del 2019 con Marquez e Lorenzo
In Europa, piegata l’industria tedesca e inglese, debole quella spagnola e d’oltre cortina, messe in soffitta le bicilindriche MV Agusta, solo la bolognese Morini e la pesarese Benelli tentano di arginare l’onda d’urto nipponica.
La presentazione odierna nel Campus Repsol di Madrid della Honda-HRC MotoGP 2019 di Marc Marquez e del suo nuovo compagno di marca Jorge Lorenzo avviene nell’anno del 25° anniversario della partnership della principale Casa motociclistica mondiale con Repsol, una delle prime dieci società petrolifere, e nel 60° anniversario della marca dell’Ala dorata nel Motomondiale. Quale altra Casa può vantare un periodo di competizioni così lungo e così ricco di successi? Va comunque messo nel conto anche il lungo periodo di assenza: 11 stagioni out, dal 1968 al 1978.
Ciò non toglie lustro a una Casa grande protagonista del motociclismo, la prima delle Marche del Sol Levante a sfidare le industrie europee nel Circus iridato. I meriti di Soihiro Honda, il fondatore figlio di un fabbro ferraio, vanno al di là del mondo delle due ruote, dove ha toccato le vette imprenditoriali e sportive.
Infatti è con la spinta del “grande capo della mandria del tuono” – così veniva chiamato – che prende avvio il “miracolo giallo” e il boom industriale nipponico. Il debutto mondiale è annunciato nel 1954 ma viene realizzato cinque anni dopo, nel 1959. Soihiro non si “nasconde” scegliendo l’arena più eclatante e più difficile: quella del Tourist Trophy dell’Isola di Man.
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Cinque bicilindriche 125 a quattro tempi schierate e quattro giunte sul traguardo in sesta, settima, ottava e undicesima posizione con i piloti dagli occhi a mandorla Taniguki, G. Suzuki, Tanaka e A. Suzuki nell’ordine. Fu una corsa tiratissima con il riccioluto emiliano piacentino di Cadeo Tarquinio Provini (MV Agusta) sul gradino più alto del podio davanti allo svizzero Luigi Taveri (Mz) e all’inglese Mike Hailwood (Ducati) – sì Ducati, avete letto bene – i due piloti che successivamente mieteranno innumerevoli allori. L’industria europea commise un errore madornale, sottovalutando e addirittura snobbando il tentativo della Casa di Tokio di puntare sui Gran Premi per entrare nei mercati del vecchio continente e conquistarli.
Il “kamikaze” sconosciuto Kunimitsu Takahashi – cui va l’onore di aver portato la Casa alata alla prima vittoria iridata (1961 GP di Germania, Hockenheim, classe 250) – viene affiancato nella stessa stagione da fior di campioni quali l’australiano Tom Phillis (primo a Clermont Ferrand e a Buenos Aires), il rodesiano Jim Redman (primo a Spa Francorchamps e a Monza), lo scozzese Bob Mc Intyre (primo all’Ulster) e Mike Hailwood (primo al TT inglese, ad Assen, al Sachsenring, a Kristianstad).
Con questo squadrone di cinque piloti ufficiali e con la nuova quattro cilindri 4 tempi, la Honda domina nella classe all’epoca più combattuta e più evoluta tecnicamente, la quarto di litro: dieci successi su undici corse! Aggiunti agli otto della 125 si arriva a diciotto vittorie: un trionfo per la Casa asiatica che conquista così anche i suoi due primi titoli iridati nella 125 e nella 250 con Phillis e Hailwood.
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In Europa, piegata l’industria tedesca e inglese, debole quella spagnola e d’oltre cortina, messe in soffitta le bicilindriche MV Agusta, solo la bolognese Morini (con la monocilindrica “più veloce del mondo” di Tarquinio Provini) e la pesarese Benelli (prima con la “mono” bialbero poi con la inedita quattro cilindri di Silvio Grassetti) tentano di arginare l’onda d’urto nipponica.
Ancora un anno e già nel 1962 cade anche il baluardo della 350, dove la MV Agusta è costretta a cedere lo scettro alla Honda di Redman (iridato anche nella 250). Infine nel 1966 l’assalto Honda alla 500 con una imponente e ultra potente 4 cilindri di quasi 100 cavalli.
A Hockenheim l’esordio scioccante. Redman mette per la prima volta ko la mezzo litro di Cascina Costa, rifilando al giovane Giacomo Agostini 17 secondi. Ma la scorbutica cavalcatura tradirà poi il rodesiano, costretto più volte al ritiro per noie meccaniche e per brutte cadute. Sarà quindi il pilota di Lovere a far suo il primo degli indimenticabili quindici titoli iridati.
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Pur forte di una impresa unica (sono suoi tutti i campionati iridati di marca 1966 nelle 50, 125, 250, 350 e 500), la Honda non conquista il titolo più ambito, quello conduttori nella massima cilindrata. Ma non demorde e rilancia. Nel 1967, a suon di … dollari, toglie alla MV Agusta la prima guida Mike Hailwood (è il refrain dei “due galli nello stesso pollaio” …), cui affida la nuovissima 500.
E’ uno scontro fra giganti, sia per le moto che per i piloti. Al nuovo mastodontico bolide giapponese accreditato di più di 100 cavalli (290 Kmh sul rettilineo di Monza), la MV risponde con una inedita agilissima 3 cilindri, con dieci CV in meno della rivale, ma quasi… perfetta: un “vestito” su misura per il pilota italiano che la guida magistralmente vincendo cinque volte, tre volte secondo e due stop (TT e Ulster). Cinque vittorie anche per Hailwood, due secondi posti e tre volte appiedato da rotture al cambio, fragilissimo.
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Chi scrive ha visto quell’anno le lacrime di entrambi i piloti: Agostini tradito dalla catena al TT, con la vittoria in pugno e Hailwood bloccato a Monza dopo aver dominato (record del giro a Kmh. 204,142!) la corsa davanti a oltre 100 mila spettatori scesi negli ultimi giri fin sul bordo della pista.
Fu un duro colpo per il grandissimo Mike (cui andranno comunque ben due titoli, quello della 250 e quello della 350 e che nel … 1978, dopo la fase delle 4 ruote, tornerà a vincere al TT con la Ducati!) e soprattutto fu un colpo ancor più duro per la Honda, che di lì a poche settimane annunciò l’addio alle corse.
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Sarà, per fortuna, solo un arrivederci. Con il poco brillante rientro a Silverstone del GP d’Inghilterra del 1979 con l’avveniristica 500 NR 4 cilindri 4 tempi da 21 mila giri (già dominavano le due tempi…) affidata all’ex iridato 350 Takazumi Katayama e all’inglese Mike Grant. Un progetto ardito (moto davvero incredibile con motore 8 valvole per cilindro, pistoni ovali, due bielle in ceramica per cilindro, telaio monoscocca “a uovo” e ruote da 16 pollici e tante altre “preziosità”), ma un flop clamoroso.
Ci salirà sopra, con altrettanto grande delusione, anche Freddy Spencer che, con tutt’altro mezzo, nel 1982, a soli 20 anni, vince la prima gara delle 500. Nel 1983, con la nuova NS, l’americano è campione del mondo 500 e poi nel 1985 diventerà “Fast Freddy” compiendo l’impresa dei due titoli della 250 e della 500 nella stessa stagione. Un gran manico, Spencer, genio e sregolatezza.
Sarà poi la volta di Gardner, Lawson, Doohan, Crivillè, Rossi (2001) che chiude l’era delle 500 aprendo trionfalmente quella MotoGP (dal 2002). Quindi Hayden, Stoner, e l’inizio dell’epopea di Marquez, oggi a 25 anni con cinque titoli nella classe regina (sette in totale, per ora…) in sella ai bolidi dell’Ala Dorata. Casa che, come se non bastasse, oltre a Marquez schiera nel 2019 l’altra mostro sacro Jorge Lorenzo. Comunque la si pensi, il motociclismo senza Honda non esisterebbe, almeno non a questi livelli. Davanti all’Ala dorata, giù il cappello.
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