Mondiale 2019, 23 italiani in campo. Quando i “nostri” erano “4 gatti”
Come eravamo messi nei decenni scorsi, quanti italiani – e come - partecipavano al Motomondiale dagli inizi del 1949 fino alla chiusura dell’epopea del motociclismo de: “I giorni del coraggio” avvenuta nel 1973 con la tragedia di Monza?
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I super ottimisti puntano al “tris” tricolore, cioè con i piloti italiani vincitori nel 2019 dei titoli iridati MotoGP, Moto2, Moto3. I pessimisti, all’opposto, vedono “nero”, con gli italiani addirittura “a bocca asciutta”, senza portare a casa neppure una corona d’alloro.
Il dato certo è la folta presenza dei “nostri” in ogni categoria del mondiale: in totale 23 corridori “azzurri” ufficialmente iscritti. In MotoGP su un totale di 22 iscritti, 6 gli italiani (Bagnaia, Dovizioso, Iannone, Morbidelli, Petrucci, Rossi, rigorosamente in ordine alfabetico…). In Moto2 su 32 piloti ci sono 9 italiani (Baldassarri, Bastianini, Bezzecchi, Bulega, Corsi, Di Giannantonio, Locatelli, Manzi, Marini). In Moto3 su 30 piloti, 8 gli italiani (Antonelli, Arbolino, Dalla Porta, Fenati, Foggia, Migno, Rossi, Vietti).
Come noto, l’ultimo italiano ad aver conquistato il titolo iridato MotoGP è stato Valentino Rossi (Yamaha) nel 2009. Gran recupero degli italiani in Moto2, con Morbidelli e Bagnaia iridati nel 2017 e nel 2018. In Moto3, ancora nessun titolo.
Al di là dei numeri dell’albo d’oro – che comunque contano – non c’è dubbio che negli ultimi anni il “movimento” del motociclismo italiano ha prodotto, non solo sul piano quantitativo, risultati importanti. Permangono limiti e contraddizioni sia sul “come” il vivaio dei “pulcini” (minimoto) e poi dei “galletti” (Civ) viene promosso e coltivato (qual è il rapporto fra Fmi e Team e strutture “privat” quali ad es. quelle di Rossi VR46, di Gresini, di Simoncelli, dei Cecchini, di Biaggi ecc. e fra Fmi e i Team meno “nobili”?), sia sulla effettiva “qualità” del … gruppone, tanto che – ad esempio – ancora nel 2019 per tentare di vincere in MotoGP si punta su due “senior” quali Rossi (40 anni) e Dovizioso (33 anni).
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La nostra scuola brilla e lascia il segno ma, al di là di qualche inedita e interessante presenza (arrivano anche piloti … turchi), è ancora la Spagna il punto di riferimento con uno schieramento imponente di campioni giovani e giovanissimi: dallo stesso Marquez fino a Lorenzo, passando per una decina di nuove “certezze” fra cui Vinales, Rins, Mir ecc.
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Realisticamente, quest’anno i piloti italiani sono potenzialmente in grado di essere protagonisti, come e ancora di più della passata stagione, in tutte e tre le categorie, sapendo che niente è scontato e che i pronostici sono fatti per non essere rispettati. Vale, ovvio, anche per gli avversari, Marquez compreso.
Va anche detto che nel motociclismo non ci sono “nazionali”: è sport individuale dove c’è anche un travaso fra piloti e team, ad esempio piloti italiani con Team spagnoli e viceversa, per non parlare di piloti italiani con moto straniere, a cominciare dalle giapponesi. Per cui il “tifo” va fatto sul singolo pilota, non sulla “bandiera”, che pure resta il simbolo che fa battere i nostri cuori di italiani. In altre parole non c’è il richiamo al “nazionalismo” tout-court, ma se vincono (meritatamente) gli italiani non si può non essere (ancora più) contenti.
Per capire meglio l’oggi bisogna andare indietro, al passato. Come eravamo messi nei decenni scorsi, quanti italiani – e come – partecipavano al Motomondiale dagli inizi del 1949 fino alla chiusura dell’epopea del motociclismo de: “I giorni del coraggio” avvenuta nel 1973 con la tragedia di Monza?
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Partiamo dai vincitori di titoli mondiali. Nei primi 25 anni nella classe regina – all’epoca la 500 – solamente tre piloti italiani conquistano il titolo iridato: Umberto Masetti (Gilera) nel 1950 e nel 1952, Libero Liberati (Gilera) nel 1957, Giacomo Agostini (MV Agusta) consecutivamente dal 1966 al 1972 (Ago vincerà anche nel 1975).
Nello stesso periodo solamente un italiano vince nella 350 (Agostini- MV Agusta dal 1968 al 1974), solamente quattro italiani vincono il titolo della 250 (1949 e 1951 Bruno Ruffo-Guzzi; 1950 Dario Ambrosini-Benelli; 1952 Enrico Lorenzetti-Guzzi; 1956, 1959 e 1960 Carlo Ubbiali-Mv Agusta; 1958 Tarquinio Provini-Mv Agusta; poi i tre titoli di Walter Villa-Hd ma dal 1974 dopo la morte di Pasolini); altrettanti (quattro) vincono in 125: 1949 Nello Pagani-Mondial; 1950 Bruno Ruffo-Mondial; 1951, 1955, 1956, 1959 e 1960 Carlo Ubbiali-Mv-Agusta; 1957 Tarquinio Provini-Mondial; solo 15 anni dopo torneranno in alto gli italiani dal 1975 con Paolo Pileri-Morbidelli, poi Pier Paolo Bianchi, Eugenio Lazzarini, ma questa è un’altra storia. Nessun italiano vince il titolo della classe 80. Solo uno, Eugenio Lazzarini nel 1979 e nel 1980 vince nella classe 50, ma dopo il 1973. Nessun italiano vince l’iride nei side.
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Nel primo quarto di secolo del Motomondiale, quindi, sono (solamente?) 12 gli italiani a cingersi della corona iridata portando però a casa ben 31 titoli nelle varie categorie. Questa era, ovviamente la punta di diamante di una presenza dei nostri piloti più sostanziosa numericamente e soprattutto di grande qualità.
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Alcuni di questi, “Campioni senza corona” – vincitori di gare mondiali e vice campioni del Mondo – assi cui è mancata “solo” la consacrazione del titolo forse solo per interventi non favorevoli della Dea bendata. Fra questi non si può non ricordare – specie nelle cilindrate medie e nella massima cilindrata – Remo Venturi, Silvio Grassetti, Renzo Pasolini, Angelo Bergamonti, Alberto Pagani, Gilberto Milani, ma anche altri “signori piloti” quali Bruno Spaggiari, Emilio Mendogni, Artesiani, Albino e Alfredo Milani, Montanari, Frigerio, Colnago, Carlo Bandirola, Gianni Leoni, Luigi e Raffaele Alberti, Romolo Ferri, Gianni Degli Antoni, i Brambilla, Roberto Colombo, Tassinari, Mandolini, Francesco e Walter Villa (che come detto poi farà incetta di titoli) ecc. e altri fra cui molti sfortunati e addirittura periti in incidenti in gara o in prova.
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Un motociclismo assai diverso da quello odierno, non solo perché quando si cadeva il conto era salato, ma perché non c’era – specie dopo il 1957 – la piena consapevolezza del valore – anche tecnico-agonistico e commerciale – del Motomondiale e chi questa consapevolezza l’aveva magari non aveva i mezzi (moto, Team ma anche soldi…) per essere competitivo.
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A parte la classe 500 fino, appunto, al 1973 grazie alla MV Agusta, con l’avvento delle Case giapponesi, chi ne restava escluso – cioè tutti gli italiani – non aveva chance iridate. Sarà Agostini, passando dalla MV Agusta alla Yamaha, a spezzare questa tenaglia.
Un esempio delle difficoltà degli italiani viene proprio dall’era Agostini: quanti erano i “nostri” impegnati a tempo pieno nel Motomondiale da metà anni ’60 a metà anni ’70? Nel complesso, in tutte le cilindrate, una manciata di piloti, in una stagione poco più in un’altra ancor meno: Provini, Venturi, Grassetti, Milani “Gilba”, Pasolini, Pagani, Bergamonti, Parlotti (sporadicamente Gallina, Mandracci, Lazzarini, Visenzi, Buscherini ecc.) spesso ad armi impari, specie con gli avversari di lingua inglese in sella alle super moto giapponesi.
Oggi il pilota che non vince (molti) titoli mondiali pare un “signor nessuno”. Ma non è così e tanto meno era così nei 25 anni di cui sopra. Per i “nostri”, portare a termine una gara era già un’impresa, disputare un intero campionato, una eccezione, un sogno che pochi potevano raggiungere. Portare a casa la pelle valeva ben più di un titolo.
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